Visita alla Wilson

Cosa c’è di più iconico di un pallone, nel football? Tutti gli sforzi, le azioni di gioco, gli schemi, gli studi prepartita, le tattiche, hanno come unico scopo quello di portare (o impedire alla squadra avversaria di portare) il pallone oltre la goal line per segnare i fatidici sei punti che premiano il touchdown.

Il pallone è il vero protagonista della partita, tutto il resto è contorno, esecuzione, esecutori ed osservatori che si esaltano o si disperano a seconda della fine che fa lui: il pallone.

Lo sferoide prolato che conosciamo oggi è decisamente diverso da quello usato nella seconda metà dell’800, quando il football ha avuto inizio nella versione che conosciamo oggi grazie alle influenze canadesi su un gioco che era molto simile al calcio. La palla usata a quei tempi era essenzialmente rotonda, ricavata dalla vescica del maiale e rivestita di pelle, con dei lacci per tenerla chiusa una volta gonfiata. Le operazioni di gonfiaggio erano piuttosto difficoltose e potevano durare fino a 35-40 minuti. La leggenda narra che un bel giorno dei primi del ‘900, due squadre, stanche di gonfiare il pallone per mezz’ora, si accordarono per giocare con una palla gonfiata solo a metà, nonostante la sua forma fosse decisamente più ovale che rotonda. Quando, poi, nel 1905 venne introdotto il passaggio in avanti, fu subito chiaro che la forma del pallone avrebbe dovuto essere modificata per rendere più agevole utilizzare questa tattica del diavolo chiamata forward pass e, finalmente, nel 1912 la forma del pallone fu definitivamente modificata in quella che ancor oggi vediamo, seppur con alcune successive modifiche minori in circonferenza e peso.

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Nel 1941, Tim Mara, proprietario dei New York Giants, giunse ad un accordo con la società Wilson, che divenne così il fornitore ufficiale dei palloni per la NFL.

Per l’occasione la Wilson sviluppò un pallone che George Halas, proprietario dei Chicago Bears, propose di chiamare “The Duke” per riconoscere a Mara il gran lavoro svolto per raggiungere quella partnership commerciale. “The Duke” deriva dal nome del figlio di Tim Mara, Wellington, così chiamato in onore del famoso Duca che sconfisse Napoleone a Waterloo.

Dal 1941, The Duke è stato l’unico pallone con cui la NFL ha giocato tutte le proprie partite fino ad oggi, costituendo la più lunga partnership tra una lega ed un’azienda di fornitura di materiale tecnico sportivo. In realtà il nome “The Duke” sparì nel 1970, dopo la fusione con la AFL, ma tornò ad indicare il pallone per eccellenza della NFL nel 2006, alla morte di Wellington Mara.

Pochi anni dopo l’accordo con la NFL, la Wilson acquisì una piccola fabbrica di palloni e guanti da baseball situata a nord di Ada, una piccola cittadina dell’Ohio ad un’ora di distanza da Toledo. Nacque così la Wilson Sporting Goods Company, che stabilì ad Ada la sua Wilson Football Factory, dove spostò la produzione dei palloni “The Duke”. Dal 1955 ad oggi, tutti i palloni utilizzati dalla NFL in partite ufficiali o di preseason, arrivano da qui, da questa piccola fabbrica nel mezzo del nulla dell’Ohio, che abbiamo avuto la fortuna di poter visitare nell’ambito delle attività organizzate a corollario dell’Italian Bowl XLII giocato a Toledo, OH, lo scorso 1° luglio.

Ed è così che, in una assolata mattina di fine giugno, ci ritroviamo fermi in auto alla fine di una strada bloccata per lavori proprio di fronte alla ”Fabbrica dei palloni” della Wilson, dove giunge in nostro aiuto Andy Wentling, Plant Manager della Wilson, cioè il responsabile della baracca che andremo a visitare sotto la sua sapiente guida.
Grazie alle sue indicazioni raggiungiamo il parcheggio principale, dove troviamo anche l’onnipresente sindaco di Toledo Wade Kapszukiewicz con una troupe televisiva che ci seguirà durante tutta la visita. Tempo per i convenevoli in favore di telecamera, delle ormai abituali affermazioni del sindaco secondo cui il football è nato in Ohio ed il passaggio in avanti è stato concepito a pochi chilometri da Toledo (signor Sindaco, credo che io e lei si debba fare una veloce chiacchierata, una volta di queste, che le devo spiegare un paio di cose…), e siamo pronti ad entrare nella fabbrica delle meraviglie.

A vederla da fuori non le daresti due centesimi, e non ti stupisce il fatto che i lavori che bloccavano la strada siano quelli per costruire la nuova fabbrica che rimpiazzerà la vecchia tra 12 mesi.

L’ufficio che ci accoglie ha alle pareti diversi palloni marchiati dei vari Super Bowl del passato. C’è anche quello del Super Bowl prossimo venturo che Andy ci intima di non fotografare nella maniera più assoluta perché non bisogna svelare il design prima della presentazione ufficiale NFL (in realtà basta prendere il pallone dello scorso Super Bowl e cambiare il logo con quello nuovo, non è che ci voglia molta fantasia…).

Entrare nel reparto di produzione vero e proprio è un’esperienza particolare. Si viene proiettati indietro nel tempo agli anni ’50. L’ambiente non è climatizzato, e si sente. Il rumore è ragguardevole, tra macchine da cucire, presse per tagliare e stampare, macchine per gonfiare e sovragonfiare i palloni, ecc. ecc. ed il tutto è rinchiuso in spazi decisamente ristretti. La nuova fabbrica, ci dice Andy, sarà più confortevole e funzionale, ma una cosa resterà uguale nonostante tutto: i palloni continueranno a venire fatti quasi completamente a mano. Tutte le attività, infatti, sono eseguite rigorosamente a mano tranne un paio che sono state automatizzate per ovvie ragioni (inserimento dei sensori nei fogli di pelle ed il relativo taglio), ed il fatto di fare tutto a mano è veramente un orgoglio personale ancor prima che aziendale, ed il mantra di chiunque, qui dentro, passa per l’orgoglio di essere quelli che mettono le mani sui palloni che si usano poi in partita nella NFL.

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Alcune premesse prima di iniziare il tour: in questa fabbrica, e solo in questa fabbrica, vengono confezionati tutti i palloni usati nella NFL, e questo fin dal 1955 e forse anche prima. I Duke usati in NFL provengono tutti da qui, a differenza dei Duke destinati alla vendita, che vengono confezionati altrove. In questa fabbrica si confezionano solo ed esclusivamente palloni in pelle. NFL, College, CFL, da memorabilia, customizzati, ma sempre e solo in pelle. Niente composito, niente plastica. Fotografare o filmare dentro la fabbrica non è vietato, ma è sempre meglio chiedere autorizzazione. Alla fine, potremo fotografare di tutto e di più, ma sempre meglio chiedere prima. Del resto in rete è pieno di foto e filmati del processo di creazione di un pallone provenienti proprio da Ada.

La visita inizia dal primo step della produzione, il cosiddetto “Cutting”. Un operatore fa passare un enorme foglio di pelle bovina sotto una pressa che taglia, grazie ad una guida, dei pannelli ellittici tutti uguali. Uguali non tanto nella forma, che usando sempre la stessa guida, il taglio è uniforme per forza, quanto nel colore e nell’aspetto della pelle. L’operatore deve essere attento a selezionare quattro pannelli che abbiano lo stesso colore e la stessa tonalità, dato che in un figlio enorme di pelle come quello che viene usato, è facile che la tonalità del colore cambi anche solo impercettibilmente.

Una volta tagliati i quattro pannelli, essi vengono passati ad una macchina che sgrossa la parte posteriore e ci applica un sottile strato di tela, dopodiché vengono stampati tutti i logo e le scritte e, nel caso dei palloni NCAA, vengono applicate e cucite le strisce bianche. Fatto ciò, i pannelli passano alla seconda fase, quella di “Sewing”.
La fase di cucitura è cruciale. Il margine di errore è davvero minimo, ed i quattro pannelli devono essere cuciti assieme in maniera più che perfetta per evitare problemi e difetti nelle fasi successive. Non è facile imparare a cucire perfettamente i palloni, ed un’addetta ci impiega mediamente quattro mesi, prima di maneggiare la cucitura senza problemi. La prova finale, però, è molto cruda: a detta di una cucitrice, non impari davvero a cucire i quattro pannelli del pallone fino a che non ti sei piantata un ago in un dito.

Non so se avete presente quali dimensioni abbiano gli aghi necessari a perforare la pelle per fare le cuciture necessarie. Basti dire che piantarsi uno di quegli aghi in un dito e piantarsi un chiodo non fa molta differenza. È un po’ un passaggio rituale. Lavorando alla macchina da cucire sette ore al giorno è inevitabile che prima o poi capiti di rimanere infilzati, ma nessuno ne fa un drama. Anzi, spesso e volentieri, quando capita, la persona viene portata in ospedale, dove le viene estratto l’ago e curata la ferita, e poi torna al suo posto di lavoro come se nulla fosse successo.

Dopo la parte di cucitura, arriva la parte più impegnativa dell’intero processo. Il pallone è infatti cucito nelle sue quattro parti che lo compongono, ma è rivoltato al contrato. È quindi necessario passare alla fase di “Turning” affinchè il pallone inizi a prendere le sue sembianze normali.

Un addetto prende il pallone, inserisce valvola e camera d’aria e, attraverso un perno metallico, lo rivolta completamente, portando all’interno la camera d’aria. Questo è uno dei tanti processi che si potrebbero automatizzare, ma vedendo l’impegno e lo spirito con cui questi ragazzoni rivoltano un pallone in pochi secondi, capisci subito che si perderebbe un elemento fondamentale al quale alla Wilson tengono molto, cioè l’orgoglio di essere coloro che costruiscono il pallone NFL. Lo abbiamo detto già prima, ma è un concetto che si ripete continuamente.

Una volta rivoltato, è il momento del “Lacing”. Un addetto, utilizzando uno strumento apposito, inserisce i lacci nei fori ad esso dedicati e, con estrema maestria, effettua la legatura finale del pallone. Anche in questo caso la velocità e la maestria dell’addetto, che infila i lacci ad un pallone in men che non si dica, non ti fa nemmeno venire voglia di chiedere perché non si automatizza anche questa parte.

Siamo quasi alla fine. Dopo i lacci c’è il cosiddetto “Molding”, un processo durante il quale il pallone assume la sua forma definitiva. In questo processo il pallone viene inserito dentro un tubo metallico che ha il compito di contenere il pallone stesso mentre viene gonfiato ad una pressione altissima ed evitare che esploda.

Questo iper gonfiaggio serve a distendere completamente tutte le cuciture interne, a sagomare perfettamente la palla ed a dargli l’aspetto che tutti conosciamo, pronto per essere gonfiato alla giusta pressione ed essere utilizzato. Questo è l’ultimo passaggio, ed è davvero incredibile come il pallone cambi completamente dopo la fase di molding.

Questo video fa vedere tutto il ciclo di produzione. E’ di 15 anni fa, ma è esattamente quello che succede ancora oggi fatta eccezione per l’inserimento dei sensori nei palloni, che allora non esistevano.

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Come “bonus track” c’è qualche spiegazione in più sui palloni NFL. Da qualche anno a questa parte, i palloni sono pieni di sensori che fanno sì che, registrando i palloni su una piattaforma apposita, la Wilson sappia sempre cosa sta succedendo ad un singolo e specifico pallone. A che velocità viene lanciato, a che altezza, con che spin, chi lo maneggia, per quanto tempo, da dove a dove, e tutta una serie di dati che vengono forniti a tutte le squadre NFL su una piattaforma aperta, così che ogni squadra tenga sotto controllo i propri palloni.

Su ogni pallone che esce dalla fabbrica di Ada destinazione NFL c’è il logo della squadra a cui andrà il pallone ed un numero progressivo, che servirà per monitorare vita morte e miracoli di ogni singolo pallone.

Qualche numero? La fabbrica Wilson di Ada produce circa 4000 palloni al giorno, circa 600mila in un anno. Ogni cucitrice cuce  tra i 100 ed i 180 palloni al giornoi, mentre i “rivoltatori ne preparano circa 200. Ogni squadra riceve, per la stagione NFL, circa 1500 palloni, metà dei quali viene usato in allenamento ed il restante in partita. Ogni pallone è numerato, come abbiamo detto, ed il nostro compito, per la stagione 2023, è cercare di capire che fine farà il pallone 301 dello stock dei Colts. Se qualcuno per caso si imbatte in una foto in cui compaia il pallone 301 dei Colts, ci faccia un fischio: quel pallone l’abbiamo tenuto in mano anche noi.

wilson palloni 4

     

    La visita si conclude nell’ufficio di Andy, dove fa bella vista anche una copia di Wilson, il pallone di Tom Hanks in Castaway e dove vengono consegnati i palloni che verranno usati per l’Italian Bowl. In realtà verrebbero anche omaggiati due palloni ad ogni partecipante, ma dopo aver fatto la scena di portarli fuori dall’azienda a puro appannaggio delle telecamere al seguito, i palloni verranno inglobati in un bagagliaio dal quale non riemergeranno più.

    Siamo ai saluti, è ora di tornare a Toledo. Non abbiamo nemmeno fatto colazione, e qualcuno del gruppo reclama. Ci attende un libanese.

    Immagini di Luigi Dal Zio

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    Massimo Foglio

    Segue il football dal 1980 e non pensa nemmeno lontanamente a smettere di farlo. Che sia giocato, guardato, parlato o raccontato poco importa: non c'è mai abbastanza football per soddisfare la sua sete. Se poi parliamo di storia e statistiche, possiamo fare nottata. Siete avvertiti.

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