DeAndre Hopkins, due mani sulla libertà

Nella Bibbia Sansone è un eroe la cui forza prodigiosa risiede nei capelli, sette trecce che racchiudono il dono donatogli da Dio, forza che è solo un mezzo concesso per il raggiungimento dell’obiettivo finale, liberare Israele dai Filistei.

Nella lega più famosa degli USA c’è un giocatore che non può non rimandare alla figura biblica del forzuto figlio di Manoa, DeAndre Hopkins. Alla stregua di Sansone il simbolo che accompagna le gesta del ricevitore NFL sono i suoi rappresentativi lunghi dread, non sappiamo se il talento di D-Hop risieda nella sua chioma, ma siamo sicuri di poter essere testimoni, ancora a lungo, di prove di forza degne del personaggio dell’antico testamento.

DeAndre Hopkins, soprannominato “Nuk”, per l’abitudine da bambino nel masticare ciucciotti della casa Nuk, cresce a Clemson nel Sud Carolina, città nella quale persino l’aria che si respira è intrisa di football.

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Se lo scopo di Sansone era quello di liberare Israele dai Filistei attraverso la sua forza, lo scopo di DeAndre sarà quello di guidare la sua famiglia ad una vita finalmente libera da drammi e difficoltà. Tutto ciò attraverso un solo oggetto, un pallone da football.

L’amore per il gioco

Quando DeAndre ha solo 5 mesi suo padre, Harris Hopkins, viene a mancare su una piovosa autostrada, perdendo la vita in un incidente stradale. Sabrina Greenlee, mamma di D-Hop, è quindi costretta a crescere tre figli da sola, cercando di arrangiare con tre lavori: in fabbrica la mattina, in un club la sera e spacciatrice nel tempo libero.

Non è insolito infatti che il piccolo Nuk trovi in casa la, non troppo gradita, compagnia di qualche criminale del quartiere. Un quadro familiare che potrebbe rimandare alla storia dell’ex-stella NBA Dwyane Wade. A prendersi cura del piccolo DeAndre è quindi sua sorella maggiore Kesha. Quando D-Hop muove i primi passi da adolescente è sua sorella Kesha la stella della famiglia per quanto riguarda il football, anzi, è la stella del quartiere. Ebbene si a Clemson si gioca anche per strada a football, e si, se ve lo state chiedendo si gioca a tackle-football.

Sarà quindi proprio Kesha a far avvicinare DeAndre al football giocato. In quegli anni Nuk è un ragazzino solitario, con la passione per la pallacanestro e una visione stravagante della moda. Sua sorella maggiore però intravede nel corpo ancora giovane ed esile e nei fluenti dreadlock del fratellino, un talento cristallino per il gioco, un talento che può portare la famiglia Hopkins ad una vita finalmente tranquilla. La rincarnazione di Sansone.

Quando pensiamo a figure di spicco, talenti, artisti, nei loro campi, li ricolleghiamo direttamente al mezzo fisico da cui nascono loro immortali opere. Il mancino di McEnroe, le guance di Louis Armstrong, il piede destro di Ayrton Senna, le mani di DeAndre Hopkins.

La passione per il football cresce in DeAndre in modo proporzionato alle dimensione delle sue mani. Nuk infatti, come ricorda la sorella, ha delle mani enormi fin da bambino, unite ad un atletismo fuori dal comune. Le grandi e forti mani di Hopkins ne faranno uno dei migliori ricevitori dello stato e si allungheranno pian piano ad agguantare uno spicchio di libertà.

Alla D.W. Daniel High School Hopkins non abbandona la sua passione per la pallacanestro, giocando da playmaker e vincendo addirittura con i suoi Lions il titolo di campioni della South Carolina, venendo nominato “Independent Mail’s player of the year”. Nonostante ottime prestazioni sul parquet e sulla pista da atletica leggera, D-Hop sorprende e conquista gli scout di tutto lo stato sul campo da football. Sul manto verde DeAndre gioca come ricevitore in attacco siglando 57 ricezioni, 1.266 yard, 18 touchdown, e in difesa da cornerback con 28 intercetti di cui 5 ritornati in end-zone.

Diversi college, tra i più prestigiosi, faranno la corte a Nuk, che però, sceglie di rimanere vicino la famiglia, accettando la borsa di studio dell’università di Clemson.  Giocare per la Clemson University per Hopkins è una tradizione di famiglia. Terry Smith, zio di DeAndre, ex-Tigers, oltre a giocare per la stessa università riesce ad arrivare nella NFL, firmando con i Colts. Carriera professionistica stroncata però da un infortunio al ginocchio e morte sopraggiunta un anno dopo per mano della polizia di Atlanta, in circostanze tuttora poco chiare.

Il cugino Javis Austin gioca invece running-back nei Tigers ed è l’idolo di DeAndre, ma dopo aver perso il posto da titolare e a seguito di un lutto familiare cade in depressione tentando il suicidio con un colpo di pistola. Javis però sopravvive, diventando un punto di riferimento per Nuk, il quale prende definitivamente coscienza di come ricevere un pallone da football possa portarlo fuori da una vita difficile costellata da dolori e solitudine.

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Nei tre anni a Clemson DeAndre domina e colleziona più che ottimi numeri: 39 partite, 206 ricezioni, 3.020 yard e 27 touchdown, numeri che gli valgono la 27° scelta assoluta al Draft del 2013 da parte degli Houston Texans.

deandre hopkins clemson

“Immagina, un pallone può portarti così lontano”

La Teoria M ideata dal fisico Witten è una teoria ancora incompleta, la quale sostiene che ad una variazione dello spazio-tempo potrebbe corrispondere una ciclicità e ripetitività della nostra vita. In una notte di inizio gennaio, su una piovosa autostrada, la ciclicità dello spazio-tempo, il fato o una semplice coincidenza sembrano mettere DeAndre sulle orme di papà Harris. E’ il giorno prima dell’Orange-Bowl e Nuk sta guidando, perde il controllo della sua vettura e si schianta contro degli alberi a bordo strada. Fortunatamente Hopkins ne esce illeso, anzi coincidenza vuole che riporti il più comune infortunio a cui si va incontro su un campo da football, una commozione cerebrale.

Nel 2013 DeAndre entra finalmente nel mondo del professionismo. Veste la maglia numero 10 degli Houston Texans, numero a detta sua che indossa in onore di un cugino in prigione e per l’ammirazione verso l’attaccante del Barcellona Leo Messi.

Con Houston Nuk raggiunge 4 volte il pro-bowl, guida la lega per touchdown ricevuti nel 2017, ma cosa più importante fa innamorare con il suo talento i tifosi Texans prima di lasciare Houston in uno scambio destinazione Tempe, Arizona, alla corte di una leggenda NFL, un ricevitore, anche lui dalle lunghe trecce, Larry Fitzgerald.

Oltre le statistiche e l’efficacia frutto del suo talento, ciò che colpisce di più di DeAndre Hopkins è l’eleganza nel suo stile di gioco. In una lega fatta di botte, corse, scontri, Nuk è probabilmente il giocatore più elegante della lega. Piede destro alla linea di scrimmage, peso in avanti, mani quasi giunte in preghiera, parte lo snap, scatto, posa plastica, colla sulle mani, ricezione completata. Guardare Nuk giocare è un elogio a questo sport e alla posizione del wide-receiver, come dimostrazione di forza prendiamo in esempio la quinta giornata (week 5) della stagione 2018.

Al NRG Stadium di Houston i Texans ospitano i Cowboys in un derby tutto texano. Nei tempi regolamentari del Sunday Night Football D-Hop completa 8 ricezioni che tengono a galla la sua squadra e viene schierato in difesa su un lancio hail-mary da parte del QB avversario Dak Prescott, deviando la palla e portando la partita al supplementare. Il punteggio è ancora fermo sulla parità, Houston gioca un 2nd&9 a 4 minuti scarsi dalla fine della partita. Ci risiamo: mani giunte, piede destro alla linea di scrimmage, peso in avanti, parte lo snap, scatto, posa plastica, ricezione completata, a cui aggiungiamo 49 yard di guadagno, 3 placcaggi elusi. Texans in posizione da field-goal e vittoria

Questa è solo una delle tante partite in cui Hopkins ha dato spettacolo con una prova di forza degna di Sansone e probabilmente nei nostri occhi quando vediamo quei dread su un campo da football ci sovviene subito una delle tante ricezioni spettacolari che, stagione dopo stagione, continua a regalarci. Potremmo definirci dei privilegiati, non solo per essere testimoni di uno dei talenti puri della lega, ma perché al nostro contrario la tifosa numero uno di DeAndre non può vedere le sue gesta avendo perso la vista, ovvero mamma Sabrina Greenlee.

hopkins texans colts

Quando viene segnato un touchdown i giocatori si esprimono in esultanze che variano dal classico spike-the-ball a buffe coreografie di gruppo. Se ponete attenzione alle partite in cui la squadra di Hopkins gioca in casa, dopo una sua segnatura Nuk prende il pallone e lo consegna nelle mani di una donna, la mamma. Sabrina Greenlee ha perso la vista nel luglio 2002 a seguito di un aggressione in cui le fu riversato dell’acido sul viso. La più grande fan di Hopkins, nonché migliore amica e mamma, non può vederlo giocare. Tuttavia il legame è così forte che Sabrina non perde una sola partita casalinga di suo figlio. Sa che quando entra in campo l’attacco Nuk è sempre l’ultimo a mettere piede sul prato, si fa narrare delle figlie accanto a lei tutte le azioni in cui DeAndre è sul terreno di gioco, pretendendo un’analisi ben dettagliata. Mamma Sabrina vuole sapere non solo che tipo di ricezione ha fatto D-Hop, ma quale traccia ha percorso e se ha mancato la palla perché l’ha mancata. In questo modo Sabrina unisce la descrizione delle azioni all’ultimo ricordo del suo DeAndre prima che la vista sparisse. I lunghi dread, i lineamenti del viso, le grandi mani, un minuzioso esercizio di visualizzazione per una ricostruzione personale della realtà che va in scena sul campo.

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Di reale però, sicuramente ci sono, ad ogni touchdown di DeAndre, le braccia protese di mamma Sabrina verso molto di più di un pallone, verso la pace, la libertà.

“Man, just imagine — one football can take you so far.” – DeAndre “NUK” Hopkins.

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Matteo Colangelo

Se vi piacciono l'NFL, Tarantino e la birra belga, siamo sicuramente amici.

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