Quoque tu, Julio

Giornata pesante, mi metto in macchina per tornare a casa ma prima di accenderla do una controllata a Twitter, come se avessi il presentimento di trovarci qualcosa d’importante. Vedo una decina di notifiche e il presentimento s’infittisce. Guardo il video in cui mi sono trovato taggato e capisco che è successo, che dietro le voci che si rincorrono da settimane, dietro quella foto con la felpa dei Cowboys c’è molto di più, c’è il pensiero che avevo cercato di esorcizzare da parecchio tempo. C’è la certezza che Julio Jones non giocherà più per i miei Falcons. 

Percorro la decina di chilometri che mi separano da casa completamente stordito, come se avessi inserito il pilota automatico. Chiudo la porta di casa e mi butto di schiena sul letto. Resto lì, completamente imbalsamato a fissare un un soffitto che è spoglio e triste come il futuro sportivo che mi attende. Dovrei allenarmi, mangiare qualcosa, chiamare la mia ragazza, ma resto lì a pensare a tutto e a niente insieme. Dopo un paio d’ore mi alzo, esco e incrocio mio padre, completamente ignorante di football americano, che mi chiede il perché di quella faccia da funerale. Come faccio a spiegare che il mio eroe mi ha tradito? Che il giocatore che mi ha fatto innamorare dello sport più bello del mondo ha deciso di lasciare la squadra che ho iniziato a tifare SOLO ed esclusivamente per lui? Che il mio idolo ne ha avuto abbastanza, che è arrivato il momento di «vincere qualcosa» e per questo ha detto «I’m outta there?». Non so davvero come spiegare il vuoto che mi lascia dentro questa cosa. Non ho mai provato una sensazione del genere e non so come spiegare cosa rappresenta per me Quintorris Lopez Jones. O forse sì? D’un tratto mi rendo conto che circa vent’anni fa mi è successa praticamente la stessa cosa: «Pa’ hai presente quando Ronaldo è andato al Real?».

Ecco, l’addio di Julio Jones è l’immagine riflessa di quello del Fenomeno. Di quell’estate mi ricordo tutto e niente. Ho la sensazione cristallina di sfogliare incredulo la Gazzetta sotto l’ombrellone, di scavare oltre la copertina sperando di trovare un solo motivo per convincermi che non stesse succedendo davvero. Ricordo interisti più grandi di me suggerire, esagerando ma non troppo, di picchettare Malpensa per impedire a Ronnie di lasciare Milano. Mi fa sorridere pensare che a ventisette anni ho pensato, esagerando ma non troppo, di inchiodarmi davanti a Flowery Branch per sabotare l’addio di Julio. Perché in entrambi i casi non si tratta solo di separarmi da due divinità che hanno indossato la maglia delle squadre che tifo, ma di lasciar andare le ragioni stesse per cui ho iniziato a tifare quelle squadre. Nel 1997 ero un bambino milanista per imposizioni familiari e lo sarei sicuramente rimasto a vita se Luis Nazario da Lima non mi avesse folgorato sulla via per San Siro, come un giovanissimo San Paolo accecato da doppi passi e veroniche che ho consumato centinaia di volte su un VHS che ora è da qualche parte a fare la polvere in mansarda. Per Julio è stata la stessa identica cosa. Al momento sarei un tifoso dei Seahawks se quell’Ercole d’ebano con il numero 11 sulla schiena non avesse stregato i miei occhi da fan talmente ingenuo ed entusiasta da non rendersi conto che la squadra per cui Julio giocava era una calamita di heartbreaks sportivi paragonabile all’Inter dei primi 2000.

Da allora non ho mai guardato con rammarico a questa scelta, nonostante il 28-3, nonostante tutte le porcherie che la squadra ha combinato negli ultimi anni, che poi sono il motivo per cui alla fine anche Julio ha detto basta. Il vuoto che ho sentito è stato riempito dall’odio verso chi ha creato i presupposti per questa situazione, Thomas Dimitroff e Dan Quinn, che con la loro inettitudine hanno creato una nube troppo tossica, un contesto talmente deprimente da propiziare l’addio del giocatore più importante nella storia della franchigia. Insomma Julio ha deciso di non diventare Calvin Johnson o Larry Fitzgerald, che alla fine la strada del martire sull’altare di una franchigia incapace non faceva per lui, che gli ultimi anni li avrebbe giocati per una contender.

Razionalmente non riesco a fargliene una colpa. Julio ha dato tutto quello che aveva fino all’ultimo secondo. Anche se non si direbbe, ha quasi sempre giocato infortunato, nell’ultimo hanno ha saltato qualche partita perché il dolore era troppo. Vederlo combattere contro il suo quadricipite contro i Saints, in una partita in cui quelli là ci stavano umiliando, è stato commovente. Ricordo un terzo e 9 in cui è entrato zoppicando, ha umiliato Marshon Lattimore su una dig route e poi è dovuto uscire perché il dolore era semplicemente troppo.
Come si fa a non adorare un giocatore del genere? Cosa si fa in questi casi? La prassi mi sembra quella di un addio smielato, del tipo «non ti meritiamo» «vai a prenderti il Lombardi che ti meriti e che ti abbiamo impedito di conquistare», robe da Ash che deve dire addio a Charizard. Forse è l’unica reazione possibile e forse un giorno ci arriverò, ma in questo momento sento di odiare anche Julio.

Lo odio perché mi dopo anni di mediocrità assoluta mi sentivo pronto a gasarmi per una stagione dei Falcons. Non che mi aspettassi il Super Bowl, ma il pensiero del mostro a tre teste che sbrana la NFL mi aveva riacceso l’entusiasmo per la prossima stagione. Invece, a quanto sembra, Julio, Ridley e Pitts giocheranno insieme solo nelle grafiche attira-hype di Bleacher Report, e il sogno di rivivere i fasti del 2016 è evaporato ancora prima di materializzarsi.

Al di là dei touchdown, dei catch e della sensazione di terrore puro che sapeva generare negli avversari, quello che ho sempre amato di Julio è stato il suo profilo basso, lontano anni luce dal protagonismo di tanti diva wide receiver. Forse anche per questo non sopporto che abbia deciso di rompere il suo silenzio nel modo più sgangherato e indelicato possibile, in vivavoce dal telefono di Shannon Sharpe in diretta nazionale. Molto probabilmente è stato adescato in modo scorretto (e in tal caso criminale) da Shannon, perché magari non sapeva di essere live, ma mi ferisce comunque la nonchalance con cui dice “I’m outta there, come se Atlanta fosse una topaia (lo è, ma non è questo il discorso) da cui scappare al più presto. Neanche un comunicato, una lettera aperta, uno screenshot delle note dell’iPhone.

Lo odio perché se i Falcons sono diventati una topaia è anche perché nessuno dei leader dello spogliatoio ha alzato la voce quando era il caso di farlo, quando era evidente che la manfrina della brotherhood era uno slogan da olio cuore che nascondeva un’incompetenza inaccettabile. Perché Julio ad Atlanta è sempre stato un Dio, e sono convinto che se avesse schioccato un dito quando era il caso di farlo ci saremmo liberati di Dimitroff e Quinn con un paio d’anni d’anticipo, e ora non saremmo una squadra in cui è impossibile pensare di vincere, forse addirittura saremmo ancora una contender. Se i Falcons degli ultimi cinque anni sono naufragati la colpa è di tutti, anche dei leader che sono stati TUTTI rinnovati a cifre da top of the market. Julio non avrebbe potuto fare di più in campo, ma condivide almeno parte della responsabilità, perché per quanto possa sembrare assurdo, se Atlanta è diventata una topaia è anche per colpa di Julio. Che poi per me i Falcons avrebbero potuto pure continuare ad essere una topaia, ma finché c’era Julio sarebbero stati la mia topaia. Ora ai miei occhi sono solo una squadra senza direzione e senz’anima, perché per me i Falcons senza Julio non esistono.

Pubblicità

Io Ronaldo non l’ho mai perdonato davvero. Consumo ancora regolarmente i suoi video su Youtube, mi esalto ancora come un ragazzino nel guardarli, ma sento che c’è qualcosa di sbagliato nel farlo. La cosa che mi fa stare più male della vicenda è che ho paura che questo odio resti appiccicato al ricordo che ho di Julio anche per gli anni a venire, al punto da macchiare l’immagine immacolata che avrei voluto custodire per sempre. Ho paura che tra vent’anni o giù di lì, quando dovrò spiegare il prossimo tradimento sportivo esclamerò: «Pa’, ti ricordi quando Julio Jones ha lasciato i Falcons?»

Merchandising Merchandising

Alberto Cantù

Se vi è piaciuto questo articolo e in generale vi interessa l'analisi tattica della NFL, potete trovarmi su Twitter.

Articoli collegati

Un Commento

  1. Dove potrebbe approdare?il sito ufficiale della nfl ha fatto dei pronostici ma difficilmente ci azzeccano. Io dico la mia.
    A San Francisco o ai colts

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Huddle Magazine si sostiene con gli annunci pubblicitari visualizzati sul sito. Disabilita Ad Block (o suo equivalente) per aiutarci :-)

Ovviamente non sei obbligato a farlo, chiudi pure questo messaggio e continua la lettura.