Il riassunto della Championship week NCAA

Partiamo dall’epilogo. Le semifinali nazionali, come ampiamente annunciato e prevedibile, saranno Alabama – Notre Dame e Clemson – Ohio State. Ci fanno storcere il naso, perché “son sempre le solite”, però è palese che ora, questo sia quanto di meglio il college football possa offrirci.

Nonostante quanto ne pensi Kellen Mond…

La settimana dei Championship si è aperta venerdì, prima con la notizia della cancellazione, ahinoi, del match di SunBelt tra Coastal Carolina e Louisiana, per il solito motivo, e poi, finalmente con un po’ di football giocato.

Il primo kickoff della settimana si è dato ad Huntington, West Virginia, al Joan C. Edwards Stadium, casa dei Thundering Herd di Marshall, che hanno ceduto il passo ai Balzers di University of Alabama at Birmingham (UAB). Marshall, dopo un avvio di stagione da record con sette vittorie e nessuna sconfitta ha completamente staccato l’alimentatore del proprio passing game e si è vista sconfiggere due volte di fila in casa: prima, piuttosto malamente, da Rice (20-0) e in questo weekend da UAB. Per gli Herd non ha funzionato praticamente nulla nel primo tempo, chiuso addirittura con 0 yard all’attivo nel passing game. Nella ripresa qualcosa di meglio si è visto, ma le solite 150 yard corse dal RB dei Blazers Spencer Brown sono bastate agli ospiti per portarsi a casa il titolo.

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Anche il secondo match di giornata ha visto il compiersi di un upset, con Ball State che ha tenuto a 28 punti l’attacco di Buffalo e a 2.6 yds/carry l’incontenibile (fino a venerdì, perlomeno) Jaret Patterson, RB dei Bulls. Con 28 punti nel solo secondo quarto i Cardinals hanno scavato il solco che poi, alla fine è risultato decisivo.

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In questo pazzo venerdì, pure il terzo e ultimo titolo in palio – quello di campione di Pac12 – è stato vinto dagli sfavoriti. Oregon, in realtà, era qualcosa più di una semplice sfavorita: era un rimpiazzo di una squadra che già sarebbe stata sfavorita, e che è stata colpita dal covid. Oregon si è trovata così a vincere una gara che non meritava neppure di giocare, e si metterà in bacheca il trofeo più insulso degli ultimi anni (il “titolo di cartone”, come ha detto qualcuno). La partita, comunque, è stata godibile, aperta da due errori – alla fine fatali – di Kedon Slovis, che hanno dato subito un bel vantaggio ai Ducks, poi bravi a mantenerlo fino alla fine. Ottima la prova del front difensivo di Oregon che ha mantenuto una pressione costante sul povero Slovis, certo non nella miglior serata della sua vita. Molte letture sbagliate (una su un 2nd and goal nel terzo quarto molto facile, che avrebbe portato ad un TD, invece dei 3 punti) e alcuni errori tecnici e di inesperienza. Nell’ultimo quarto due sono stati gli errori inammissibili commessi da USC: il primo è quello dello special teamer che non si ricordava di essere uno special teamer, e il secondo è l’intercetto di Slovis in un tentativo di lanciare in sideline.

Il sabato si è aperto con due partite che ci hanno tenuto incollati al televisore dal primo all’ultimo minuto.

La prima è quella di Indianapolis, tra Ohio State e Northwestern, con gli Wildcats super sfavoriti che hanno tenuto testa ai Buckeyes – ancora affetti da covid – per buoni tre quarti. La partita perfetta, si era detto, sarebbe servita ai ragazzi di Pat Fitgerald. Beh, purtroppo la perfezione c’è stata solo nella prima mezz’ora, mentre nella seconda i due errori di Peyton Ramsey (l’intercetto in endzone e il fumble un paio di drive dopo) sono stati sfruttati da una Ohio State che aveva ritrovato fiducia.

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Male Justin Fields, apparso un po’ spaesato senza il compagno di merende Chris Olave. Eccellente è stato il lavoro del front di Northwestern nella pressione e nel mescolare spesso le carte in tavola grazie a fire zone blitz e altri concetti affini. Però, se la pressione è andata quasi sempre a buon fine, le colpe non sono tutte della Oline (che era altresì priva di 3 starter), ma anche, se non soprattutto, di Fields, troppo lento nelle letture e macchinoso nel muoversi nella tasca. Se Ryan Day può festeggiare il suo secondo titolo di BigTen, e la sua seconda ammissione ai Playoff in altrettanti anni alla guida dei Bucks’, dovrebbe costruire un monumento all’ex Oklahoma Sooner Trey Sermon, autore di una prova leggendaria da 331 yard e 2 TD.

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Nell’altra sfida delle 18 a vincere sono stati, ancora una volta, i Sooners di Lincoln Riley, che chiudono una stagione partita come peggio non poteva, con la gioia del 6° titolo di conference consecutivo, questo decisamente più sudato dei precedenti. 27-21 al termine di una bella gara che vedeva un netto cambio di tenore quando la palla passava in mano ai Cyclones. Buona la prova di Spencer Rattler e dell’attacco di OU, e se ha segnato solo 27 punti i meriti sono tutti della difesa dei Cicloni, autrice di una prova quasi perfetta. L’attacco di ISU ha però stentato per tutto il primo tempo, e alla fine le 322 yard di Brock purdy non bastano a cancellare i 3 intercetti, l’ultimo dei quali lanciato nel drive conclusivo che avrebbe potuto regalare il titolo ai suoi. Occasione sprecata per Matt Cambell, ma ci riproverà l’anno prossimo.

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In serata c’è poi stata la sfida tra Clemson e Notre Dame. Può capitare che Clemson perda una partita, ma non ne perderà mai un’altra con la stessa avversaria. Teorema dimostrato. Trevor Lawrence ha giocato da grande, punendo anche oltre alle proprie colpe una difesa degli Irish che ha pagato qualche mistackle di troppo e la difesa di Venables è stata perfetta sia nella pressione che nelle coperture. Risultato? 34-10. Tutte e due dentro, però “Pigliateveli voi i Tide in semifinale, va là”. E quindi, the stage is set per “Alabama vs. Clemson Vol. 5”, in finale.

Sempre in serata si è chiusa come era giusto si chiudesse la campagna di San José State, che ha trionfato nel Montain West Championship battendo 34-20 Boise State. 32/52, 453 yard, 3 TD e 0 INT la linea delle statistiche del QB nick Starkel che sembra il fratello intelligente di quello visto ad Arkansas l’anno scorso. Stagione degli Spartans che, per quanto breve, resterà indelebile nella storia dell’ateneo.

Stessa sorte è capitata a Cincinnati, che ha chiuso in bellezza un cammino memorabile battendo 27-24 Tulsa e aggiudicandosi il titolo di campione della AAC. Stavolta, al termine di una partita combattuta e piacevole, sono stati i Golden Hurricanes a soccombere allo scadere, a differenza di quanto accaduto loro praticamente in ogni match della stagione fino ad ora. Rimane il rammarico per i Bearcats di non essere riusciti a convincere la commissione Playoff fino in fondo, però, guardando l’altro lato della medaglia, hanno dimostrato che è totalmente impossibile per una squadra proveniente da una conference G5 essere ammessa tra le prime 4. Se si arriverà ad un’estensione Playoff, molto si dovrà a questa inconfutabile prova fornitaci dai Bearcats, dopo quella già data un paio di anni fa da UCF (che ci ha tenuto a ribadirlo).

Cincy, comunque, andrà a giocarsi un interessante Peach Bowl contro i Georgia Bulldogs, per chiudere la stagione con la ciliegina.

L’ultimo match del weekend è stato forse il più affascinante. Avete presente i tempi in cui la SEC perculava la BigXII per le partite da oltre 90 punti? Beh, abbiamo decisamente voltato pagina. Alabama – Florida è stato un vero e proprio shootout tra i due migliori attacchi (Clemson permettendo) della nazione. Come sempre accade in partite come queste, sono le difese ad essere decisive, perché i punt sono molti meno dei touchdown, e vince chi riesce a fermare l’avversario una volta in più. E, infatti, assegnando i punti “al negativo”, ossia 7 punti per ogni “stop” e 4 punti per ogni “ field goal concesso” (ovvero la differenza tra punti subibili e punti effettivamente subiti) si vede che la difesa di Alabama ha battuto quella di Florida 25-18. È un tipo di conteggio non convenzionale, che però nella SEC del 2020 restituisce risultati più ortodossi rispetto a quelli reali, per i quali spesso è servito il pallottoliere.

Kyle Trask è stato fenomenale nel tentativo di rimonta dei suoi, e se c’è un QB che merita di vincere l’Heisman Trophy è senz’altro lui. Ma, ad ora, il favorito per l’Heisman è legittimamente il WR dei Tide Devonta Smith, autore dell’ennesima prova for the ages della sua stagione: 184 yard su 15 ricezioni e 2 TD. Se da una parte è Smith, dall’altra l’extraterrestre risponde al nome di Kyle Pitts, TE dei Gators che ha chiuso la stagione senza un singolo drop e dimostrando una superiorità a tratti imbarazzante nei confronti dei suoi marcatori.

È successo anche altro nel weekend di college football, ma è logicamente passato in secondo piano rispetto alle suddette sfide di cartello, tutte con una variabile in comune: tanti, tantissimi punti segnati. Dai 56 di Penn State, ai 51 di Mississippi State, passando per i 45 di Utah e i 46 di Arizona State, arrivando infine alle due tarantiniane sparatorie: quella tra LSU e Ole Miss – vinta dagli ancora-per-poco-campioni-in-carica 53-48 – e quella tra Stanford e UCLA – vinta al secondo OT dai Cardinal grazie allo stop difensivo sul tentativo da due punti dei Bruins.

Infine, si sono giocate anche Tennessee – Texas A&M, vinta dagli Aggies nonostante fossero concentrati altrove, e Air Force – Army – squadre che si limitano a sparare in poligono, o sul campo di battaglia, mentre sul gridiron ci regalano dei 10-7 mozzafiato – con i Cadets che, dopo aver sconfitto Navy hanno battuto anche l’aviazione, accaparrandosi il Commander-in-Chief’s Trophy.

E con questo è tutto per la regular season 2020. Ora è tempo di Bowl e di Playoff. A risentirci.

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