Gli artisti del Coffin Corner – Ritratti di punter

Uno dei lemmi più noti della saggezza popolare declinata sulla NFL recita chiaro e tondo:

L’attacco vende i biglietti, la difesa vince le partite

L’evoluzione del gioco nel tempo ha provato più volte a smentire questo dato di fatto. I regolamenti nel tempo sono stati modificati a favore dello spettacolo, in nome di un gioco offensivo spumeggiante dove i lanci fossero il dato saliente degli highlights della sera. Gli anni Settanta, che per due stagioni videro il totale delle yard corse superare quello delle yard lanciate, dovevano in tutto e per tutto essere archiviati come una specie di Medioevo del football. Ma ogni sistema complesso nel tempo si adatta alle mutazioni ambientali e alle perturbazioni esterne e quando il tutto si riassesta intorno ad un punto di equilibrio, la saggezza dei popoli si prende la sua rivincita. Raramente troviamo nell’Olimpo dei campioni squadre con difese scarse. Anche ai giorni nostri, scordatevi di vedere la squadra con la trentesima difesa su trentadue alzare al cielo il Lombardi Trophy sotto la pioggia di coriandoli. Anzi, se volete una bella conferma potete riguardarvi il Super Bowl LIII, dove un vero e proprio capolavoro difensivo di Bill Belichick e del suo assistente Brian Flores ha silenziato un attacco esplosivo come quello dei Rams, tenuti ad un misero field goal in sessanta minuti.

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Ma nell’economia di una squadra la difesa non è una monade, una entità una e indivisibile scorporata dal resto del contesto. Grandi difese sono andate in difficoltà contro grandi attacchi, a volte per motivi oggettivi di talento (vedere alla voce “Dan Marino vs Bears”), a volte per una strategia precisa mirata a tenerle in campo per più tempo possibile (qui vedere alla voce “Super Bowl XXV, Bills vs Giants”). Insomma ogni difesa, anche quella forte, ha bisogno di essere messa nelle condizioni di fare al meglio il proprio lavoro: questo significa stare in campo per meno tempo possibile e nella migliore posizione possibile, ovvero lontano dalla propria endzone. Qui facciamo nuovamente appello ad un altro assioma, perchè daremo un giusto tributo ad uno dei ruoli più misconosciuti

Il runner e il punter sono i migliori amici della difesa

Andremo a vedere i parametri necessari per valutare un punter e come le skill richieste a questo giocatore non siano per nulla banali. Faremo una carrellata sul presente e sui tempi vicini e poi andremo nel passato, per conoscere quello che è incontestabilmente il Jedi Master del ruolo.
Chiuderemo con una “figurina” vera e propria, un punter del passato del tutto particolare…

“Punt team get ready!”

Terzo e lungo. Sulla sideline nessuno sa che cosa possono inventarsi i vari Brady, Brees o Mahomes in campo al momento: i vari specialisti armano la trincea per il quarto down, soprattutto per far entrare la propria difesa nella migliore posizione possibile.
La parola ora spetta al punter. Dire che questo specialista deve solo “mandare la palla più lontano che può” non è sbagliato, ma è drasticamente riduttivo. Il punter ha due avversari imprescindibili: chi si catapulta nel backfield per provare a correre quella quindicina di yard e arrivare al blocco del calcio e chi aspetta la palla in fondo al campo. Contro i primi non può fare praticamente nulla, ma gestire il secondo e prevenire i danni che può fare con il pallone in mano in certe condizioni spetta in gran parte a lui. Andando a scomodare qualche nome, questo significa che un punter dovrebbe evitare di lasciare tempo e “visione” a gente del calibro di Deion Sanders, Devin Hester, Dante Hall… non ci si può permettere di giocare ad acchiapparella con questi signori in campo aperto, perchè sostanzialmente dopo il primo taglio e il primo blocco li ritroviamo a festeggiare nella end zone opposta. E l’impatto di un calcio riportato in end zone sull’inerzia della partita è pesantissimo.

Gli specialisti dell’angolo morto

Se vogliamo essere sintetici, il rendimento di un punter può essere misurato con tre parametri: potenza, hangtime, gestione dell’angolo.

Relativamente al primo punto, va da sè che la potenza è nulla senza controllo (della direzione, ovvio).
L’utilità di avere una gamba potente è lapalissiana: il progresso nel modo di allenare gli specialisti e forse la stessa evoluzione della specie nel tempo hanno avuto la conseguenza di portare in alto l’asticella. Per fare un nome, quando giocava Reggie Roby la sua gamba era palesemente la più forte della lega, sopra di due o tre yard rispetto a tutti sulle medie per calcio.

Reggie Roby (1961-2005)

Oggi troviamo un buon numero di giocatori che hanno quel tipo di dinamite nella gamba. Ma non perdiamo il focus, si è detto che non dipende solo dalla potenza. Qui subentrano gli altri due parametri nevralgici: tirare calci che stiano molto tempo per aria (hang time) e riuscire a chiudere il ritornatore (il Deion Sanders o il Devin Hester di cui sopra) in un punto del campo in cui le decisioni che può prendere siano ridotte all’osso e prevedibili, nei limiti del possibile: questo significa solitamente piazzare il punt in quell’angolino a ridosso della end zone in cui il fair catch sarebbe penalizzante per l’attacco avversario e le opzioni per il ritornatore sarebbero oggettivamente poche e problematiche. Questo fazzoletto di campo viene individuato dalla pittoresca dizione Coffin Corner, alla lettera “l’angolo della bara”, per illustrare come possa trovarsi a suo agio in quel punto il returner avversario. Sbagliare l’angolo anche di poco manderebbe la palla in touchback, regalando all’attacco avversario una posizione di partenza ordinaria, senza la pressione derivata dal dover giocare a ridosso o all’interno della propria endzone (non contando il taglio delle yard sulla statistica del net average)

Il Coffin Corner Punt da manuale

Altro parametro importante nel bagaglio di ogni punter è l’hang time. La ragione è abbastanza chiara: più tempo quello strano oggetto praticamente senza portanza resta in aria, più facile sarà per i propri compagni convergere verso il ritornatore avversario inducendolo a chiamare il fair catch (ovvero a rinunciare al ritorno) o, peggio, mettendolo sotto pressione col rischio che quest’ultimo maltratti il pallone e non mantenga il controllo dello stesso (il cosiddetto muffed punt, incubo di ogni special team coach). Qui è una alchimia complessa. Prescindendo dalla potenza, ogni punter nel tempo lavora per affinare le proprie traiettorie di calcio, il punto in cui la mano lascia la palla a mezz’aria e l’angolazione della stessa, il movimento della gamba, l’impatto col collo del piede per dare uno spin che sostenga il pallone in aria per più tempo. Il tutto calato magari nel tempo atmosferico di Chicago o di Buffalo, quando non ci si trovi nelle condizioni beate di calciare al coperto o, meglio ancora, a Denver…

Next gen punting… Michael Dickson

Passato prossimo, presente e futuro

Come accennato, il ruolo nel tempo ha visto crescere notevolmente la propria importanza . Avere un buon punter è un asset quantificabile anche al di fuori delle statistiche esclusive del ruolo. Proprio per l’attenzione sempre più parossistica su ogni potenziale vantaggio, il valore intrinseco del punter dall’inizio del terzo millennio ha portato questi specialisti alle soglie di una nuova età dell’oro. L’elenco sarebbe importante e sicuramente parziale, ma alcuni giocatori vanno decisamente ricordati. Darren Bennett, il punter australiano dei San Diego Chargers, che ogni tanto non disdegnava di piazzare qualche bel placcaggio sui ritornatori, vista la sua vita sportiva precedente. Donnie Jones, un globetrotter del ruolo che è riuscito a coronare una eccellente carriera con la vittoria del titolo a Philadelphia nel suo ultimo anno. Shane Lechler, probabilmente il più forte di questa generazione, sette volte al Pro Bowl, sei nella prima squadra All-Pro: al momento dovrebbe essere l’unico punter ad aver concluso due stagioni con una media per calcio superiore alle 50 yard (2009, 2011).

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Shane Lechler

Non possiamo tralasciare Pat McAfee degli Indianapolis Colts, gran punter e showman dello stesso eccelso livello.
Fra i giocatori in attività ci limitiamo a segnalare quello che al momento è probabilmente il migliore del suo ruolo ovvero Johnny Hekker dei Los Angeles Rams.
Hekker ha tutti gli ingredienti che definiscono il cosiddetto complete package. Potenza esplosiva, parabole lente, angoli perfidi. Aggiungiamo che sui trick play va rispettato come pochi, alla luce del 13 su 22 per 184 yard e 1 TD in carriera sui lanci. Bisogna evidenziare come le statistiche di Hekker non hanno subito flessioni dopo i primi 4 anni, cioè non ha risentito del fatto che i Rams si sono spostati da un dome (a St. Louis) a uno stadio all’aperto (a Los Angeles) e non è davvero banale.

Il futuro della posizione probabilmente è già iniziato. Ci sia perdonata la battuta, ma per i punter “il futuro è canguro”. Michael Dickson dei Seattle Seahawks è nativo di Sydney (come Darren Bennett) e ha cominciato ad attirare sguardi già dal 2018, sua stagione da rookie. Un po’ di iperboli giornalistiche dicono che il ragazzo possa instillare dubbi sulla validità delle leggi fisiche, ma resta il fatto che l’hang time che riesce a ottenere è veramente mortifero per gli avversari. Prima di arrivare da studente ai Longhorns, la sua conoscenza del football era solo cinematografica: per sua ammissione non andava oltre The Blind Side e Remember the Titans. Si era ripromesso di vincere il Ray Guy Trophy al college, cosa puntualmente avvenuta. Viste le sue abilità del tutto peculiari, i Seahawks ogni tanto lo utilizzano anche per i kickoff che lui calcia in drop.
Insomma Dickson sembra avere qualcosa che, come Hekker, lo pone al di sopra dell’elite del ruolo. Vedremo.

A questo punto ci tuffiamo nel passato, con il privilegio che una volta tanto se dobbiamo indicare il migliore di sempre nella categoria non sembrano esserci dubbi. Unico punter draftato al primo giro, unico punter nella Hall Of Fame. Per presentarlo andiamo a scomodare quella che forse è l’icona mediatica più nota nella storia secolare del gioco.

Con lui erano divertenti anche i quarti down
(John Madden)

Ray Guy, “the specialist”

E’ raro avere un nome in grado di eliminare sul nascere ogni contesa. Per capire l’impatto sul ruolo e sul gioco stesso che ha avuto Ray Guy è sufficiente ascoltare le testimonianze di chi lo aveva in squadra. Jim Plunkett e Fred Biletnikoff ammettono candidamente di aver perso il conto delle partite che Guy ha salvato, chiudendo l’attacco avversario a ridosso della propria end zone e di conseguenza mettendo in campo nelle condizioni migliori una delle difese più forti della lega.

Ray Guy, Super Bowl XVIII

Ray Guy venne chiamato al primo giro nella draft del 1973, con il numero 23 assoluto. E’ l’unico caso di una prima scelta spesa per un punter, ma non ditelo a John Madden perchè vi risponderà a tono.

E’ stata forse la scelta migliore che io abbia fatto e non ho mai avuto dubbi
(John Madden)

Oltre ad essere il punter che era, Guy era anche un atleta completo in grado di correre, lanciare e placcare. Coach Madden racconta che durante il suo primo training camp, Guy andò a mettersi insieme ai defensive back. Lui stesso andò immediatamente a riprenderlo, con il terrore che potesse infortunarsi nelle fasi di contatto. La classe di questo giocatore sconfina veramente nel mito. Molti analisti concordano sul fatto che prima di lui non esisteva neppure la nozione di hang time. Guy mandava letteralmente in orbita i suoi punt, dando tempo al proprio special team di convergere sul ritornatore e minimizzare i danni. Già nella sua carriera al college, con i Golden Eagles di Southern Mississippi, pareva avere le stimmate del predestinato. Da kicker riuscì a piazzare un field goal da 61 yard sotto la neve contro Utah. Il suo punt più lungo fu di 93 yard. Il premio per il miglior punter del campionato universitario porta ovviamente il suo nome. Il 2 agosto del 2014 è stato introdotto nella Hall Of Fame della NFL, primo e unico punter. Forse il suo gesto più famoso fu un punt durante il Super Bowl XVIII, in cui i Raiders massacrarono per 38-9 i Redskins. All’inizio del secondo quarto Guy saltò ad una altezza impensabile per controllare uno snap di Todd Christensen (uno dei migliori tight end della NFL, usato anche come long snapper) uscito decisamente troppo alto: prese il pallone con una sola mano e fece semplicemente il suo lavoro. L’head coach Tom Flores commentò che senza quel salto probabilmente i Redskins avrebbero riportato quel pallone in end zone e forse sarebbero riusciti a rientrare in partita. E aggiunse che la cosa più impressionante è che in tutta quella situazione Guy non abbia nemmeno perso il ritmo e abbia tirato la solita bomba. Un gustoso aneddoto complottista (ampiamente smentito)  narra che nel 1977 gli Oilers avessero avanzato l’ipotesi che il pallone usato da Guy fosse gonfiato con l’elio…

Diamo a questo fuoriclasse il giusto tributo con qualche cifra sui suoi record:

  • media in carriera: 42,4 yard per punt
  • 210 punt dentro le 20 yard, esclusi i primi tre anni in cui la statistica non era tenuta
  • Cinque punt più lunghi di 60 yard nel campionato del 1981

Ray Guy oggi è un tranquillo signore alla soglia dei settanta che non disdegna di ritornare dai suoi amici di un tempo per farsi una passeggiata sul vecchio terreno di gioco, con qualche vena di malinconia per chi non c’è più. Non ha mai perso di vista le sue origini e i suoi valori

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Apprezzavamo quello che avevamo e non ci mancava quello che non potevamo avere. Eravamo una farm family
(Ray Guy)

Conscio del suo valore e dell’impatto che ha avuto nel football, resta comunque una persona semplice. Passeggiando al di fuori dello M.M.Roberts Stadium, dove giocano i Golden Eagles, quasi si commuove a vedere la sua immagine effigiata a fianco a quella degli altri giocatori famosi e commenta “Fa un certo effetto vedere la propria faccia vicino a quella di Brett Favre”. Per problemi economici fu costretto a vendere molti dei suoi trofei, fra cui due anelli da campione NFL.

Durante il suo discorso di introduzione nella Hall of Fame commentò con una punta di orgoglio

Now the Hall of Fame has a complete team
(Ray Guy)

E per la presentazione, non per caso, ebbe l’onore di avere con sè John Madden.

Ray Guy e la classe del 2014

Dopo questo doveroso tributo, presentiamo per concludere una sorta di “figurina dell’album” con uno dei punter più anomali che abbiano mai calcato i campi di gioco. Sicuramente è anche grazie a lui (ma non propriamente ai suoi calci) che i Miami Dolphins riuscirono a completare l’impresa più celebre della storia di questo sport: la perfect season del 1972.

Larry Seiple, the perfect punter

Pittsburgh, 31 dicembre 1972. AFC Championship: i Miami Dolphins, imbattuti, si giocano l’accesso al SuperBowl andando a sfidare gli Steelers a Pittsburgh. Al tempo la squadra di casa nei playoff non era decisa sulla base del record, quindi si giocava al freddo della Pennsylvania. Freddo per modo di dire, perchè il clima nello stadio poteva essere descritto semplicemente da quello che era accaduto la settimana precedente, durante il divisional contro Oakland: una azione così celebre da essere individuata solamente col nome, senza citare i giocatori coinvolti: The Immaculate Reception. I Dolphins non sembrano la macchina da guerra che fino a quel momento aveva disposto a piacimento del resto della NFL. Qualcosa non va. Csonka cozza irrimediabilmente contro quella che di lì a poco sarebbe diventata forse la miglior defensive unit di sempre, la Steel Curtain capace di portare al titolo gli Steelers per 4 titoli in 6 anni. Chuck Noll, leggendario coach di Pittsburgh, disse

Avevamo tutto. Posizione di campo, inerzia, tutto quanto. Poi quel gioco ha cambiato la partita
(Chuck Noll)

I Dolphins sono costretti al punt su un quarto tentativo, cinque yard da guadagnare. Larry Seiple riceve lo snap, inizia il movimento di punt poi nota che tutto lo special team avversario è praticamente voltato già verso il ritornatore, preparando al meglio il ritorno. Beh, contro Larry Seiple non è mai una buona idea. Questo giocatore non era solo un punter, ma era davvero una sorta di coltellino svizzero degli special team: tre anni prima era stato il miglior corridore della propria squadra. Ora, va da sè che una squadra il cui leading rusher guadagna 577 yard e 5 TD in una stagione da formazioni di punt ha qualcosa da riconsiderare sul suo gioco di corsa, ma proprio perchè in campo c’è un giocatore così particolare, forse tenerlo sempre d’occhio è la cosa migliore. Don Shula in casi come questi gli lasciava carta bianca, con la chiarissima clausola “You better make it”. Seiple gela davvero il Three Rivers Stadium, guadagnando il primo down con una corsa da 37 yard su un quarto e cinque.

La leggendaria corsa di Seiple nel Championship del 1972

Se falliva, Pittsburgh avrebbe riavuto palla a centrocampo con la concreta possibilità di mettere la partita in ghiaccio e i sogni di perfect season di Miami si sarebbero infranti. Seiple venne fermato sulle dodici yard avversarie, poco dopo Csonka segnò il TD del sorpasso su passaggio di Morrall. Poi Griese e Warfield e Kiick  archiviarono la pratica nel secondo tempo.

Completiamo quindi questa panoramica su uno dei ruoli meno esaltati nel gioco, dando il giusto tributo a giocatori raramente sotto i riflettori ma la cui importanza non può essere sottovalutata. Spesso l’impatto che hanno questi giocatori va al di là del singolo episodio, delle cifre, degli attacchi inchiodati a ripartire dalle proprie due yard.

E’ la sicurezza di avere un giocatore, come Ray Guy, di cui fidarsi in ogni situazione, in cui riporre una fiducia quasi trascendente, sapendo che il suo contributo al risultato sarà sicuramente del massimo livello.

Parole di uno dei massimi storiografi del gioco:

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E’ il primo punter di cui si potesse dire che vinceva le partite
(Joe Horrigan)

Merchandising Merchandising

Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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3 Commenti

  1. Ciao Massimo, la tua osservazione è corretta.
    Ricontrollando le fonti in effetti li ha dovuti alienare tutti (ricavò meno di 100mila dollari dalla vendita). Le tre vittorie furono contro i Vikings, contro gli Eagles e contro i Redskins.
    Grazie per la tua attenzione e continua a leggerci!
    Un saluto
    Mauro

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