Delitto e castigo. Michael Vick

La storia di Michael Vick, insieme a quella di Sean Taylor, Lawrence Taylor, Dan Marino, Barry Sanders, Mike Webster, John Madden e Lyle Alzado, le trovate sul nostro libro “Le Storie di Huddle Magazine” in vendita in formato cartaceo ed ebook su Amazon.

In tempi recenti un aggettivo è diventato molto di moda quando si vuole descrivere l’inevitabilità dell’esito della carriera di uno sportivo. Spesso questa banalizzazione del significato di una parola viene usata per elevarla, ad esempio, al ruolo di trending topic su un qualche social. Può accadere, per paradosso, che il tutto acquisisca una comicità involontaria specie quando l’aggettivo viene elargito a figure che sono appena all’inizio della loro parabola e quindi può ancora succedere di tutto, nel bene come nel male. C’è talvolta il rischio di sconfinare nel grottesco.
Prima di spendere certe parole occorre capire se ci sono i presupposti giusti, se quella costruzione ha fondamenta solide, se quella persona riesce a tenere la rotta anche all’arrivo dei primi dardi dell’avversa fortuna, se vogliamo scomodare Shakespeare.

Insomma, spesso siamo indotti a un po’ di sano pessimismo della ragione quando ci accorgiamo che questo aggettivo viene calato con eccessiva disinvoltura sulle spalle del giovane atleta di turno. Ci rendiamo conto che magari il talento c’è, il confronto con i coetanei parla chiaro, le premesse ci sono tutte ma i risultati nel medio o lungo termine dipenderanno dalla somma di tanti fattori eterogenei, alcuni anche slegati dal dato sportivo e correlati in modo decisivo a fattori di tipo ambientale o umano.

Ci rifacciamo ad una fonte autorevole:

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predestinato [part. pass. di predestinare]. – ■ agg. 1. [di persona la cui sorte futura è stabilita, con la prep. aessere p. a una brillante carriera] ≈ designato, destinato, prescelto

Dare del predestinato ad un atleta sulla base delle premesse dei primi anni di carriera è un rischio per tanti motivi. Il karma, primo fra tutti: sempre e puntualmente in agguato. Si materializza spesso nell’imprevisto o nell’inconveniente peggiore nel momento peggiore. Carriere ormai sulla via della gloria stroncate dagli infortuni ad un passo dal mito: in ogni sport se ne trovano quante vogliamo. Poi possono intervenire anche quei fattori legati all’indole della persona stessa: comportamenti poco professionali possono porre fine a queste parabole nei modi peggiori, talora tragici.
Insomma, dare del predestinato a qualcuno scommettendo fideisticamente sulla sua riuscita non è di solito un’idea brillante.
Ma ci sono anche i predestinati che ce l’hanno fatta, che hanno onorato quella sorta di mantello dorato che altri avevano posato sulle loro spalle, mantenendo ogni promessa, superando ogni imprevisto e riuscendo a costruire alla perfezione il disegno preconizzato da altri.
Ovviamente il football non fa eccezione. C’è il paradosso notevole che ad oggi il nome più ingombrante di tutti è quello di qualcuno che tutto era tranne che un predestinato, come Tom Brady. Prospetto poco più che ordinario ai Michigan Wolverines, nemmeno preso in considerazione per l’Heisman Trophy, draftato con un anonimo numero 199, anno Duemila. Quello che ha fatto in una carriera irripetibile è molto più che trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Ma l’aggettivo predestinato non si applica ad uno come lui, proprio per la scarsa rilevanza che hanno avuto i suoi anni di football prima del 23 settembre 2001, giorno in cui Drew Bledsoe si infortunava per un colpo ricevuto da Mo Lewis durante la partita contro i Jets.

Un predestinato, quasi sempre un quarterback, è per definizione una prima scelta assoluta, al più si può concedere che non abbia vinto l’Heisman per qualche incastro strano. Un predestinato è quella figura che al momento della consacrazione non rappresenta solamente la sua squadra, ma l’intera città. Un predestinato prima o poi mostrerà al mondo il Lombardi Trophy appena vinto, perchè altrimenti si parla d’altro. Un predestinato è un’icona, in tutto e per tutto. E’ uno che sarà un ingombrante termine di paragone per tutti quelli che avranno la ventura di ricoprire lo stesso ruolo nella stessa squadra.

Alla luce di quanto detto, dare questo titolo nella NFL dell’era moderna comincia a diventare impegnativo. Proprio per il fatto che la parabola deve essere compiuta nella sua interezza e proprio perchè non basta essere in traiettoria fino ad un certo punto per poi deragliare.

Possiamo pensare a John Elway, che aveva tutti i crismi del ruolo fin dai tempi di Stanford. Elway si permise di puntare i piedi per non finire a Baltimore, fece un rapido apprendistato a Denver e poi cominciò a mostrare al mondo che cosa era in grado di fare quando tolse il velo alla sua prima opera d’arte, la leggendaria serie offensiva contro i Browns nel Championship dell’11 gennaio 1987 passata alla storia con il nome di The DriveMa anche Elway ha dovuto aspettare gli ultimi due anni della sua luminosa carriera per arrivare ad alzare i trofei al cielo, perchè anche un predestinato ha bisogno di una difesa, di un buon gruppo di ricevitori e di un fantastico animale da backfield a nome Terrell Davis.

Possiamo pensare ad un Manning a scelta perchè, se andiamo a sovrapporre i risultati, i numeri ci sono tutti. Ma se vediamo il vuoto lasciato al termine delle rispettive carriere, le scarpe di Peyton si sono dimostrate molto più difficili da riempire anche per un altro giocatore, altro fior di campione a cui quell’aggettivo poteva calzare a pennello come Andrew Luck. Ma la spietata durezza del football ha spezzato anzitempo la carriera di un quarterback di livello assoluto. Eli Manning ha un record di due Super Bowl vinti su due contro Brady e Belichick (non serve altro), Peyton si è tolto la soddisfazione di guidare due squadre diverse al titolo, cosa mai riuscita a nessun altro quarterback fino all’ennesimo trionfo di Tom Brady con i Buccaneers

Ma quello che sembrava un predestinato naturale si affacciò alla ribalta della NFL nel draft del 2001. Non c’erano aggettivi o schemi in cui incasellarlo con ragionevole certezza: non si era semplicemente mai visto un giocatore così.

Dovremmo aggiungere la clausola nel bene e nel male, perchè stiamo parlando di Michael Vick.

Michael Vick
Michael Vick

Un posto difficile

Newport News è una città della Virginia, nota principalmente per i cantieri navali e il porto. E’ situata fra il James River e la costa atlantica. Non riflette lo stereotipo delle periferie americane ovattate, con le villette e i prati in cui far giocare e crescere bene i figli. In una rilevazione del 2007 emerge una media di omicidi pari al triplo di quella nazionale. Le periferie qui sono difficili: strade ampie, deserte quando non mal frequentate. L’immenso Tom Clancy regala alla città due righe di celebrità, quando decide di muovere da lì una delle tante pedine coinvolte in quel capolavoro che è Caccia a Ottobre Rosso.
In un posto così, il 26 giugno del 1980 nasce Michael Vick. Figlio di due teenagers, porta il cognome di sua madre Brenda poichè il padre, Michael Boddie, non è propriamente un genitore modello: è un pesce piccolo del crimine locale, episodi di abusi sulla sua compagna. Sposerà Brenda quando Michael, che terrà il cognome materno, ha ormai 5 anni.
Brenda è una di quelle donne che non si fermano davanti a nulla per crescere i propri figli. Guida lo scuolabus, cerca di essere presente per quanto possibile, ma la vita lì non è per niente facile. Abitano verso Hampton, una zona di edilizia popolare ad esser generosi. La strada a Newport News è sinonimo di spaccio, sparatorie, omicidi. Michael racconta che da quando aveva dieci anni andava a pesca. Non importava tornare a mani vuote, ma almeno stava in un posto ragionevolmente sicuro. Mike Tomlin, eccellente coach dei Pittsburgh Steelers e concittadino di Michael, ricorda come quel posto sia noto anche con il nome di Bad News. Dal circondario proviene anche Aaron Brooks, cugino di secondo grado di Michael, che avrà una dignitosa carriera prima con i Saints e poi con i Raiders.
In ambienti così, praticare uno sport in un ambiente quasi protetto probabilmente è l’unica strada verso una normalità anche solo apparente. Quindi Michael passa più tempo possibile al locale Boys and Girls Club, dove Mama Brenda lo ha iscritto con le sorelle e il fratello minore Marcus (che avrà una trascurabile carriera nei pro come ricevitore). L’unico legato di un padre problematico è un insegnamento che nel football non è mai sbagliato: mentre Michael Boddie spiega al suo ragazzo quello che sa sui fondamentali, vede che da lui ha ereditato una dote che non è allenabile: la velocità di base.
Michael comincia a far girare gli sguardi già nella squadretta del Club, per la delizia delle sorelline cheerleader. Forse il football può aiutare tutti loro, in un modo o nell’altro, a star lontani dalle strade.
Il primo coach che comincia a sgrezzare un po’ il ragazzo è Tommy Reamon, l’allenatore della sua High School. Reamon lo fa lavorare allo sfinimento sulle basi del ruolo, sul movimento dei piedi e sulla meccanica di lancio. Non ci mette molto a capire che quel ragazzino è diverso dagli altri. Ha un cannone al posto del braccio sinistro, ha un mix di velocità e cambi di direzione che non ha eguali. Sa stare nella tasca in maniera più che decente, legge il gioco in maniera corretta e se per caso deve improvvisare, per il momento accontentiamoci di dire che se la cava. Ma Reamon capisce da subito che per questo embrione di superatleta, così introverso, il football pare essere prima di tutto la classica way out, qualcosa che possa affrancarlo da quel contesto urbano. Diamo atto a Reamon che sa lavorare bene sui suoi ragazzi, avendo già svezzato quarterback più che validi come Aaron Brooks e Allen Iverson, The Answer. Quest’ultimo finirà la sua carriera professionistica nella Hall Of Fame, precisamente nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, dove verrà introdotto nel 2017 dopo aver portato sulle spalle varie squadre, segnatamente i Philadelphia 76ers che lo chiamarono con il numero uno assoluto nel draft del 1996. Più di ventiquattromila punti, medie realizzative impressionanti, prestazioni difensive mostruose. Per inciso, Iverson è alto 1.82. Anche lui risentì del clima negativo di Newport News almeno in un episodio della sua adolescenza, una gigantesca rissa che pagò con un processo (dove venne assolto) per istigazione al linciaggio e un breve periodo in carcere quando aveva diciassette anni. Sotto le mani di coach Reamon, anche The Answer sarebbe potuto diventare un signor quarterback. Ma per quanto fosse forte a football, scelse la palla a spicchi (e fece decisamente bene). La sua carriera venne presa in mano e salvata da John Thompson (1941-2020), più che leggendario coach dei Georgetown Hoyas. Per chiudere la parentesi, Thompson salva la carriera e probabilmente l’esistenza di un ragazzo cresciuto in un contesto problematico (nello stesso quartiere dove risiedeva la famiglia Vick) e ne tira fuori il primo play chiamato con il numero uno assoluto dai tempi di Magic Johnson, qualcuno che nel suo anno da rookie si permette di mandare a vuoto un difensore del calibro di Michael Jordan. Non necessita altro.

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Allen Iverson, The Answer
Allen Iverson, The Answer

Ritornando a Michael, la prima tessera nel mosaico del predestinato la mette proprio Reamon, osservando che Brooks era forte, Iverson ogni volta metteva in piedi uno spettacolo, ma Vick era semplicemente il miglior atleta che avesse mai visto: non si trattava di semplice esplosività, o di velocità: c’era qualcosa di diverso. Prima nella Homer Ferguson High, poi con i Warwick Raiders. Il risultato era sempre lo stesso, come pure era sempre la stessa la domanda che si ponevano i coach avversari, magari dopo una partita in cui il ragazzo metteva a referto tre touchdown su passaggio e il doppio su corsa: come si ferma uno così?

Mama Brenda riceve lettere da decine di università. Anche da Syracuse, dove sta lasciando il segno Donovan McNabb, che incidentalmente è l’idolo di Michael. McNabb è lo stereotipo di giocatore a cui Vick si sta ispirando: un quarterback che sappia correre e lanciare bene, che sia totalizzante per la sua squadra. E contano anche fattori ambientali. E razziali.

Donovan McNabb, la leggenda di Syracuse
Donovan McNabb, la leggenda di Syracuse

Home Sweet Home

Michael resta affascinato da quello che McNabb è riuscito a costruire a Syracuse e accarezza l’idea di provare a farlo a casa sua.

Forse questa è la mia opportunità. La possibilità di lasciare qualcosa che resti nel tempo, e di farlo qui

Sceglie quindi gli Hokies di Virginia Tech: Blacksburg è a meno di trecento miglia da casa. Un programma di fascia media, nulla di più. Fino a quel momento la gloria degli Hokies era stato il magnifico Bruce Smith, stellare defensive end prima dei Buffalo Bills, poi dei Washington Redskins.
Coach Frank Beamer deve inizialmente studiare il giocatore che gli è caduto in cortile. Michael viene aggregato come redshirt nel 1998 e fa il suo debutto nel 1999 contro Madison, non una super potenza. Il suo primo gioco è un lancio nel flat, abbastanza semplice. Basso, corto di quasi due yard, incompleto. Secondo e dieci, il coach chiama una draw per sciogliere un po’ il ragazzo: una prima lettura, un cambio di direzione, in un amen si trova in mezzo ai defensive back che nemmeno possono avvicinarlo. Un touchdown di una sessantina di yard di corsa con una facilità irrisoria, l’impressione che lui sia l’unico che si muove a piena velocità in una scena al rallentatore, o l’idea di un professionista vero contro una squadretta di dopolavoristi. Segnerà altre due volte nella stessa partita, anche infortunandosi perchè non sembra gradire particolarmente l’idea di scivolare in avanti o di uscire dal campo. Le prime reazioni sono abbastanza chiare: Madison non sarà Notre Dame, non sarà Alabama, ma uno così non si è mai visto.

Michael ricorda che proprio da quella partita, con quel gioco praticamente riesce ad accendere la luce su se stesso, a mettere a fuoco e a capire il suo potenziale immane. Ha tutto. Se vuole è anche un buon pocket passer perchè ha una meccanica di lancio pulita e manda in aria spirali perfette, ma non fa drammi se cede un blocco o se una copertura particolarmente ben messa lo costringe ad improvvisare. Anzi, forse quello è il momento in cui il dramma inizia per il defensive coordinator avversario. Le cifre, sia su corsa che su passaggio sono notevoli ma non rendono pienamente l’idea del potenziale che Vick può mettere in campo. Non arriva neppure l’Heisman Trophy, anche perchè va detto che in quegli anni, dopo Ricky Williams e prima di Carson Palmer, non è che i vincitori fossero particolarmente degni di nota: Ron Dayne, Chris Weinke e Eric Crouch non hanno lasciato un ricordo indelebile fra i professionisti. Nelle votazioni per l’Heisman del 1999, Michael si classifica terzo: l’unico freshman mai arrivato a quel punto fu Herschel Walker, probabilmente uno dei migliori prospetti di sempre, che però decise di sprecare i suoi anni migliori nella USFL, convinto dai soldi e dall’ego smisurato del proprietario dei New Jersey Generals, il signor Donald Trump.

Nel suo anno da freshman, Vick guida gli Hokies ad un record di 11-0. Ma al Sugar Bowl Virginia Tech deve arrendersi (dopo aver degnamente combattuto) ai Florida State Seminoles guidati da Chris Weinke, nettamente più forti e completi: Chris Weinke poteva contare su un ricevitore come Peter Warrick, e aggiungiamo anche un kicker come Sebastian Janikowski, sempre un buon asset. Vick chiaramente alle 225 yard su passaggio ne aggiunge, per gradire, altre 97 su corsa. Raccontando delle gesta di Vick e degli Hokies, si fa un po’ di fatica ad usare i verbi al plurale. A detta di tutti, questa squadra vive e muore con il suo quarterback, che riesce a vincere alcune partite letteralmente da solo.
Ribadiamo il concetto: i numeri già parlano di un freshman che ha guidato la NCAA in passing efficiency con un rating di 180.4 (record per un giocatore al primo anno, terza prestazione di sempre), ma bisogna fermarsi a capire quello che riesce a fare questo ragazzo con il pallone in mano. Come passatore è pulito e ben impostato. Ha un mix di velocità e agilità che gli permette di fare un dropback da sette passi nel tempo in cui qualsiasi altro qb ne fa uno da cinque. Gran bel braccio, buone letture già da freshman. Se per caso deve andare in scramble, quando il vostro quarterback medio strappa applausi se guadagna sette-otto yards, Michael ne ha prese venti e si sta guardando intorno per capire se deve ancora trovare la luce del giorno o se può cominciare una banale gara a chi arriva primo. E’ impressionante la naturalezza con cui supera la linea di scrimmage, manda a vuoto o gira intorno ai defensive lineman e ai linebacker. Poi arrivano i defensive back. E lì il ragazzo semplicemente cambia passo.

E in quel caso bisogna tenere presente che si dice che il tempo sulle 40 yards di Michael Vick, quarterback, sia di 4.25. Quattro e venticinque: significa che nove volte su dieci Vick, un quarterback, è il giocatore più veloce in campo e nemmeno di poco.

Michael Vick, in poche parole, non è solo uno One Man Show che si porta gli Hokies sulle spalle.
No. In quel momento particolare Michael Vick è il football universitario.

Michael Vick sulla cover di Sports Illustrated
Michael Vick sulla cover di Sports Illustrated

Ma dopo due stagioni in cui Vick ha praticamente fatto girare la testa a tutti gli addetti ai lavori, forse riemerge il suo obiettivo iniziale: il football come via d’uscita da quel tipo di disagio che fino a quel momento aveva tarpato le aspirazioni sue e della sua famiglia. Michael decide che lui, Mama Brenda, sorelle e fratello forse potrebbero avere qualcosa di meglio e in tempi rapidi.
Dopo la sua stagione da sophomore rinuncia ad un Heisman Trophy quasi già scritto, rinuncia al sogno di un possibile titolo per Virginia Tech che ha portato fino al numero 2 nel ranking nazionale, e si dichiara eleggibile per diventare professionista nel 2001.

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Partire col piede giusto

Ritornando al concetto di predestinato, Vick si affaccia al draft del 2001 come miglior giocatore disponibile nella sua annata, senza nessuna discussione. Non esagera alla combine, dove corre le 40 con un 4.33 che nella NFL identifica un ricevitore veloce, ma che per lui è anche migliorabile con un po’ di buona volontà. Michael entra ovviamente nel mirino dei Chargers, che chiameranno con il numero 1 assoluto. Ma le due parti non si trovano dal punto di vista contrattuale, e il giorno precedente al draft i Falcons bussano educatamente per proporre uno scambio che col senno di poi rischiava di essere equiparato ad un furto con destrezza in tutti gli stati, specie alla luce di alcune trade degli ultimi anni (le due prime scelte per il cornerback Jalen Ramsey o per il tackle Laremy Tunsil su tutte).

Racconta coach Reeves:

Non è stata una decisione difficile. Una combinazione di quel tipo di velocità, agilità e braccio non ti passa davanti tutti i giorni

Atlanta ottiene la prima scelta assoluta da San Diego in cambio della propria prima scelta (numero 5), a cui aggiunge seconda e terza scelta dello stesso draft e il receiver Tim Dwight. La possibile figuraccia di portata generazionale dei californiani viene tuttavia addolcita dal fatto che con quel pick al numero 5 riescono a prendere quello che passerà alla storia come il miglior runner che abbia mai indossato lo stupendo casco blu con le saette: i Chargers cadono in piedi e prendono Ladainian Tomlinson, il sensazionale tailback di TCU che li porterà sulle spalle per diversi anni.
Michael Vick firma quello che al momento è il contratto più ricco mai siglato da un rookie: fra bonus firma, garantito e voci varie i Falcons gli corrisponderanno 62 milioni di dollari per i primi sei anni. Una più che discreta via d’uscita, anche se Michael cerca di mantenere una sorta di equilibrio nei comportamenti tutt’altro che facile, per un ragazzo che si ritrova coperto d’oro dopo una vita in cui l’agiatezza probabilmente non era neppure un termine presente nel vocabolario di casa.

L’anno da matricola non è dei più facili. Vick è un giocatore che non ha completato la sua carriera universitaria, scommettendo integralmente su un atletismo decisamente al di sopra della media. I Falcons non vedono l’ora di collaudarlo, anche se Dan Reeves è un coach esperto e capisce che il ragazzo deve adattarsi alla diversa complessità del gioco, a schemi offensivi e letture più articolate, a difese più veloci e meno decifrabili rispetto a quelle delle università. Non lo fa partire da titolare, preferendogli un veterano solido come Chris Chandler. Lo mette in campo nel terzo quarto della prima partita di campionato, in trasferta contro i 49ers, perchè Chandler si infortuna. Vick entra durante un timeout e uno dei suoi ricorda che prima di chiamare lo schema nell’huddle trova il tempo per mettersi il burro di cacao, tra l’ilarità dei compagni. Qualche handoff per Jamal Anderson, poi due corse consecutive. Una di sette, una di venticinque yard: anche nei pro si ha la sensazione che Vick stia giocando contro avversari troppo lenti. Il cronista tira giù un profetico

This guy can make something out of nothing.
(Questo ragazzo riesce a tirare fuori qualcosa dal nulla)

Poi Chandler si riprende, rientra in campo e finisce la partita. Ma quei due scramble, soprattutto il secondo, non sono passati inosservati: ci sarà da ridere con questo, pensano ad Atlanta.

Due settimane dopo Dan Reeves regala al suo rookie la soddisfazione di un po’ di tempo contro i Carolina Panthers, guidati da quel Chris Weinke che aveva maltrattato i suoi Hokies nel Sugar Bowl giocato nel Duemila. Vick entra nel secondo quarto e mostra a tutti, di nuovo, che rispetto al College Football per lui le cose non cambiano. Perde undici yard per un sack al primo down. Quindi ne corre prima dodici, poi nove. Completa qualcosina nel corto, porta i suoi al field goal, fine del cameo.

Qui bisogna rendere un doveroso omaggio alla lungimiranza del suo head coach, Dan Reeves. Sta cercando di gestire l’immenso potenziale di Vick nello stesso modo in cui anni prima, a Denver, aveva creato le condizioni ideali per far crescere coi tempi giusti John Elway, alternandolo con Steve DeBerg. Quando si dispone di giocatori con quel potenziale, la tentazione di accendere subito i fuochi d’artificio è forte. Ma c’è il rischio che una lettura sbagliata, un intercetto, un calo di tensione al momento meno opportuno possano minare in maniera silenziosa e subdola la confidenza di un giocatore forte ma inesperto. E Vick ha anche giocato almeno una stagione in meno con gli Hokies, quindi è ben lungi dall’essere un prodotto finito.

La sua prima stagione è quindi, necessariamente, di apprendistato. Vede il campo in otto partite, lancia per poco più di settecento yard, due touchdown e tre intercetti. Ma le statistiche su corsa dicono altro. In trentuno tentativi, Vick ha una media superiore alle nove yard a portata. Per lo più si tratta di guadagni su giochi rotti, quando è stato costretto a risolvere la questione con le gambe e non con il braccio. Per completare il quadro, va detto che quei Falcons non sono uno squadrone. Jamal Anderson è un buon runner ma a fine carriera, i ricevitori sono tutti entro le seicento yard ma il gruppo non è malvagio (Tony Martin, Shawn Jefferson, Terance Mathis) e Alge Crumpler è un buon tight end. L’attacco tiene, ma la difesa è ampiamente migliorabile.

Il record di 7-9 non è comunque un dramma, ma ci sarà da lavorare.  Arriveranno Wade Phillips per sistemare la difesa e Warrick Dunn dai Buccaneers, halfback veloce, elusivo e con ottime mani

La successiva stagione 2002 è la logica conseguenza delle scelte avvedute di Dan Reeves. Michael ha una consapevolezza diversa e ovviamente ora ha le chiavi del suo attacco. Le scelte del coach prevengono il cosiddetto fenomeno del sophomore slump, la temuta caduta di prestazioni nel secondo anno. Reeves ha semplicemente mostrato una demo delle capacità del suo rookie.

Michael Vick ora è pronto. E il resto della NFL molto meno.

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La sua prima stagione effettiva da titolare potrebbe sintetizzarsi in un concetto banale ma espressivo, come la convocazione al Pro Bowl, che non è mai un cattivo segno: ma in questo caso sarebbe davvero riduttivo, perchè anche dopo il passaggio al famoso next level riemerge un concetto che si era intuito prima ai tempi del liceo a Newport News, poi ai tempi del college a Virginia Tech: un giocatore come Michael Vick non si è mai visto.

Contro i Panthers
Contro i Panthers, un comodo 30-0

Una stella in ascesa

Analisti e commentatori fanno a gara per trovare il modo migliore per descrivere Michael Vick: chi dice che è come avere Barry Sanders nella posizione di quarterback, chi gli posa addosso con delicatezza la qualifica di “Michael Jordan della NFL” . La fama del predestinato si comincia a consolidare partita dopo partita, quasi azione dopo azione. Gli Atlanta Falcons hanno cambiato passo: la difesa è migliorata e l’attacco a volte è semplicemente inarrestabile: Michael metterà su ottime statistiche: 231 su 421, 2936 yard, 16 touchdown, 8 intercetti e un rating di 81.9. Potrebbero sembrare cifre timide, ma vanno calate in un sistema in cui lui ha ampia discrezionalità nelle letture e in caso di dubbio, anzichè prendersi un rischio su un passaggio, può gestire la cosa in proprio.
E qui il discorso cambia. Il paragone precedente (“Barry Sanders playing quarterback“) non è buttato lì tanto per accontentare l’audience. Anche nella NFL a volte si ha l’impressione che Vick stia giocando contro gente che di lavoro fa altro. E’ troppo più veloce di chi gli si muove intorno. E comincia anche lui a togliere il velo alle sue capacità. Non è facile da descrivere: sembra una massa elastica contro dei corpi rigidi. Il difensore deve esser certo di aver chiuso bene le braccia, perchè altrimenti Vick rimbalza letteralmente altrove per una o due yard e continua a leggere la difesa per lanciare. A volte viene chiuso vicino alla sideline, viene anche colpito: tiene il pallone in una mano, mantiene l’equilibrio con l’altra e riparte. E’ un vero e proprio mal di testa per defensive lineman e linebacker (ricordiamoci che stiamo parlando di gente che gioca a questo livello), ma quando è in campo aperto il trattamento peggiore lo riserva ai difensori più veloci, ai defensive back: perchè quando arriva nel loro raggio d’azione, Michael fa la cosa più scontata di tutte: accelera.
Non è solo un giocatore che prende l’occhio come pochi, è decisamente produttivo. Aggiunge alle yard passate altre 777 yard su corsa con 6.9 di media su 113 tentativi e 8 TD: un runner firmerebbe con il sangue per quei numeri.

Ma stiamo ancora girando intorno al concetto, perchè la cosa fondamentale è che le giocate di Vick non cercano lo spettacolo, lo creano: Michael riesce ad essere concreto e produttivo come nessuno.

Due partite, due trasferte anche impegnative mostrano a tutti il suo valore effettivo.
Il primo dicembre, in casa dei Minnesota Vikings, Michael mette in piedi una performance che fa pensare davvero che sia in grado di vincere le partite da solo: 173 yard su passaggio e altrettante su corsa, guadagnate in soli dieci tentativi. Non c’è bisogno di altro. Segna con una corsa di 28 yard nel terzo quarto, ma la partita è tosta e si va all’overtime. Con la palla sulle 46 yard avversarie, Vick mostra una play action a cui i difensori dei Vikings non credono più di tanto, ma anche arretrando nel backfield, con la sua velocità irreale si è guadagnato un po’ di separazione dagli avversari e può guardarsi intorno. I linebacker ovviamente fanno il loro onesto pursuit verso l’esterno, perchè è quello che devono fare. Michael gli gira letteralmente intorno. Con apparente naturalezza ha bisogno di un unico cambio di direzione verso le 20 yard avversarie, dove fa scontrare fra loro un linebacker e un safety, tiene lontano gli ultimi due difensori (dei sette-otto che ha mandato a vuoto), entra in endzone, alza il pallone per mostrarlo a tutti e senza interrompere la corsa fugge negli spogliatoi seguito dai compagni in delirio.
Michael stesso avrebbe in seguito commentato opportunamente

E’ proprio un fondamentale. Non si schiera mai una copertura a uomo contro un quarterback mobile. E lo hanno fatto per tutta la partita

Tuttavia quei Vikings non erano uno squadrone.
La consacrazione di un predestinato ha bisogno di un avversario più forte in un palcoscenico più difficile. E la consacrazione arriva nel posto giusto e al momento giusto. Il 4 gennaio 2003 i Falcons, secondi nella NFC South, vanno a giocarsi la wild card a Green Bay contro i Packers. Fino a quel momento, in ottantatre anni nessuno è mai riuscito a vincere una partita di playoff in quel luogo carico di storia, quel luogo in cui il solo nome di Vince Lombardi fa togliere il cappello e chinare il capo per qualcosa che è molto più che rispetto. Guidati dall’immenso Brett Favre, i Packers sono gli scontati favoriti di addetti e bookmaker.

Michael Vick non è della stessa idea.

Aiutato da una grande giornata della sua difesa e da un punt bloccato e riportato in end zone nel primo quarto, Vick sfodera una prestazione impensabile per gestione del “clutch time”, ovvero quell’insieme di momenti in cui non si può sbagliare. Non è facile implementare il suo repertorio di cambi di direzione, frenate ed accelerazioni in un posto denominato Frozen Tundra nel mese di gennaio. Michael non fa una piega, mette in piedi uno show vero e proprio che denota una confidenza assoluta nei propri mezzi e un controllo emotivo sui propri compagni e sulla partita difficile da riscontrare in un pari età. Come al solito, guardare le statistiche sui lanci è parziale e fuorviante, perchè a quel quasi anonimo 13 su 25 per 117 yard e 1 TD occorre aggiungere 64 yard in dieci corse, guadagnate nei momenti topici, sui terzi down oppure quando i Packers riuscivano a prendere le misure a Warrick Dunn. Paradossalmente, quello che fra i due pare inesperto è nientemeno che Brett Favre, costretto molto presto a puntare solo sul suo braccio. Gli Atlanta Falcons riescono nell’impresa di espugnare il Lambeau Field nei playoff con un sonoro 27-7.

Michael Vick guida i Falcons nella storica vittoria a Green Bay

Nel successivo divisional Vick andrà a sbattere contro gli Eagles guidati dal suo idolo, Donovan McNabb, che a loro volta perderanno la finale della NFC contro i Tampa Bay Buccaneers destinati a vincere il Super Bowl.

Ma rimettendo il focus su Michael Vick, il denominatore comune che ormai emerge da tutte le sue prestazioni è che non si può sapere che cosa sta per succedere quando ha la palla in mano, perchè Vick può fare tutto: braccio potentissimo, meccanica di lancio veramente da catalogo, letture più che sufficienti, elusività e capacità di improvvisazione difficili da descrivere, unite ad una velocità paurosa. Sembra davvero di avere Steve Young nella tasca (anche Michael è mancino), Barry Sanders mentre affronta lineman e linebacker, Deion Sanders in campo aperto.

La stagione 2003 è stroncata da una frattura al perone sofferta in preseason contro i Ravens. Michael guarisce nei tempi e nei modi necessari, ma chiaramente i Falcons senza di lui non sono la stessa squadra, termineranno con un triste 5-11 che costerà il posto a Dan Reeves, sostituito ad interim da Wade Phillips. Con Vick in campo i Falcons vincono tre delle ultime quattro partite e Michael sembra esattamente lo stesso scherzo della natura svelato al mondo l’anno prima. Al suo rientro contro i Panthers Michael corre per 141 yard in quattordici tentativi e per capire la statura dell’avversario giova ricordare che la stagione dei Panthers finirà a tre punti dal Lombardi Trophy, vinto dai New England Patriots in una finale strappacuore.
Forse la sintesi migliore di questo giocatore è quella, virtuale, che verrà presentata dai game designer della EA Sports: Michael è sulla cover del Madden 2004, e in quella edizione della iconica simulazione sportiva è praticamente un “cheat code” vivente. Con pudore, occorre notare che non è che il gioco ecceda troppo in fantasia: anche nella vita reale, in alcune situazioni Michael Vick è manifestamente ingiocabile.

Sempre nel 2004, la Nike regala al pubblico il leggendario spot della Michael Vick Experience, in cui uno spaurito adolescente entra in una attrazione da luna park e viene rinchiuso in una curiosa imbracatura con paraspalle col numero 7 ed elmetto dei Falcons e viene quindi catapultato in campo, in mezzo ad una folla di difensori inferociti che cercano di fermarlo in ogni modo. Lui salta, cambia direzione, accelera, inchioda e entra in endzone con un salto mortale, senza quasi aver mosso un muscolo ma con una robusta dose di adrenalina in corpo. All’uscita appare l’ologramma di Michael Vick che lo congeda con la frase “Well, that’s not in the playbook, but it should be…”.

L’ologramma di Michael nel video della Michael Vick Experience

Oltre alla fama planetaria che possono dare i due brand appena nominati, Michael è diventato rapidamente il volto con cui identificare la sua squadra e l’intera città di Atlanta: questi primi anni hanno evidenziato, ce ne fosse stato bisogno, che un talento così da quelle parti non era mai passato.

Dal canto loro i Falcons cominciano ad attrezzarsi per affiancare un cast adeguato alla loro superstar. Arriva un nuovo head coach, Jim Mora (ex defensive coordinator dei 49ers) e la squadra comincia ad esserci, più come attitudine che come talento effettivo: Warrick Dunn ha sempre una produzione eccellente, il tight end Crumpler è un bersaglio affidabile e in difesa i due corner DeAngelo Hall e Allen Rossum formano una delle migliori coppie di quel periodo.
Michael continua ad essere decisamente all’altezza, infilando un’altra annata da ProBowler e aggiungendo 902 yard su corsa alle oltre 1100 guadagnate da Warrick Dunn. I Falcons vincono la NFC South con un chiaro 11-5, anche se perdono le ultime due partite di regular season. Ma nel divisional round massacrano letteralmente i Rams per 47-17: Michael non sbaglia veramente nulla, completando 12 passaggi su 16 con 2 TD e aggiungendo 119 yard su corsa alle 142 di un Warrick Dunn in giornata di grazia.
Ma ancora una volta Donovan McNabb e i suoi Philadelphia Eagles si riveleranno un ostacolo insormontabile, e i sogni di gloria di Vick devono aspettare un altro anno. Gli Eagles vincono per 27-10 una finale di conference senza troppa storia. Ma anche stavolta il cammino della squadra migliore della NFC verso il Lombardi Trophy va a sbattere contro i New England Patriots.

La solitudine del numero primo

Vick e i Falcons stanno costruendo per gradi una squadra competitiva. Mora è un coach che capisce da subito quale arma abbia a disposizione con un giocatore così e cerca di non dargli troppa pressione, aiutato in questo dal bravo Warrick Dunn, gran giocatore e grandissima persona. Ma qualcosa in questa squadra sembra incepparsi proprio quando c’è da fare quel passo in più. Vick è un posto riservato al Pro Bowl, l’attacco sulle corse è inevitabilmente il migliore della lega, la difesa non è malvagia ma non è risolutiva, ma alla fine della stagione 2005 il fatidico passo in più non arriva. I Falcons chiudono con un anonimo 8-8, addirittura alle spalle di Buccaneers e Panthers nella propria division. La squadra sembra un motore che comincia a battere un po’ in testa proprio quando è il momento di mettere tutti i cavalli sull’asfalto. La stessa storia si ripete nel 2006, se possibile in maniera ancora più paradossale. I Falcons arrivano ancora terzi nella division con un record di 7-9, nonostante l’annata di Vick, solida sui lanci ma stellare sulle corse: è il primo quarterback a superare le mille yard corse in una stagione nella NFL, con la media assurda di 8.4 yard a portata.

Contro i Redskins, nel 2006. In sottofondo si vede anche Sean Taylor

Non è semplice capire che cosa impedisca ad una squadra guidata da un giocatore così di esprimere a pieno il proprio potenziale, questioni di questo tipo sono veramente complesse.
In quella fase non lo dice e forse non lo pensa nessuno, ma non è da escludere che il problema di una squadra che ha in campo Michael Vick sia proprio Michael Vick.
Michael sembra talmente consapevole dei propri mezzi atletici e del proprio talento da apparirne quasi annoiato. I numeri sarebbero anche dalla sua parte, ma spesso si ha l’impressione che il modo in cui si toglie d’impaccio prescinda volutamente dall’interazione coi compagni di squadra. Pare uno splendido solista che fatica un po’ ad interagire con il resto dell’orchestra.
Ma bisogna aggiungere qualche altra nota: in questi primi anni Michael non ha praticamente mai fatto vita di gruppo con la squadra. Mai un tacchino insieme ai ricevitori o alla linea d’attacco nel giorno del Ringraziamento, mai una grigliata tutti insieme in primavera, mai una presenza al di fuori delle occasioni istituzionali o di qualche meritoria iniziativa per il sociale. Agli allenamenti, ammetterà lui stesso, è l’ultimo ad arrivare ed il primo ad andarsene, entro i limiti in cui ciò non collide con le direttive e gli orari del gruppo. E interagisce malvolentieri con i media, reagendo in maniera spesso seccata a critiche o domande scomode.

Una eloquente espressione di Vick negli anni di Atlanta

Non appena ha del tempo libero dagli impegni della squadra, Michael fa ritorno a Newport News, dove passa veramente tantissimo tempo.
Oltre al suo immenso talento, Michael non mette neanche una briciola in più per provare a far crescere o a cementare lo spirito di gruppo del team. La storia dei vincenti è diversa, perchè parla di un Jerry Rice al lavoro da solo il giorno dopo aver vinto l’ennesimo Super Bowl, di un Peyton Manning che ad ogni nuovo ricevitore preso dalla squadra manda un messaggio di saluto asciugabile nella frase “Domattina alle 8 in campo, già vestito”, di un Tom Brady che fuori stagione costruisce con tenacia e fatica il corpo per giocare “da Tom Brady” ancora per un altro anno.
No. Michael non sembra essere nulla di simile. Al momento più che un predestinato sembra, appunto, un solista in uno sport di squadra. Ma alla fine stiamo ancora parlando di un giocatore al sesto anno di carriera che è già l’icona di una squadra e di una intera città; forse è prematuro tirare bilanci o stroncature.

Newport News. Cronaca locale, 20 aprile 2007

Un tale Davon Boddie, ventisei anni, viene arrestato per possesso e spaccio di stupefacenti dalla polizia della contea di Surry, Virginia. L’indirizzo che fornisce agli agenti per il proprio domicilio è quello di una tenuta in 1915 Moonlight Road a Smithfield, Virginia. Il proprietario della tenuta non è Boddie stesso, ma suo cugino di secondo grado: Michael Dwayne Vick, nato a Newport News il 26 giugno 1980.
La polizia si presenta al 1915 di Moonlight Road il 25 aprile, con un regolare mandato di perquisizione.

1915 di Moonlight Road
1915 di Moonlight Road, Smithfield, VA. La tenuta di Michael Vick

Bad Newz Kennels, la banalità dell’orrore

Smithfield non è un bel posto. Si potrebbe dire che è quasi in linea con la zona.
Kelly Naqi è una brava giornalista della ESPN, assegnata ad una notizia che sembra promettente, giornalisticamente parlando.
Si informa, parla con gli abitanti del luogo. Anche lei ha qualche dubbio.

Per quale motivo una stella della NFL dovrebbe avere una proprietà in una zona come questa?
Ne parlo con un agente immobiliare della zona, che mi risponde:
“Se stai facendo qualcosa che non vuoi che si sappia in giro”
(Kelly Naqi)

Da questo momento in poi diventa veramente difficile trovare parole che siano dettate dall’equilibrio, perchè non è facile trovare una spiegazione plausibile a quello che sta per emergere a seguito di una perquisizione in una tenuta un po’ defilata vicino ai boschi non distanti da Newport News.
Dopo il mandato iniziale, richiesto verso Davon Boddie per l’incriminazione per possesso e spaccio di stupefacenti, la polizia si vede costretta a richiedere subito un secondo mandato per poter investigare anche su altro.
Nella tenuta di Moonlight Road vengono trovati 54 cani, prevalentemente dei pitbull, con ferite e segni evidenti di percosse e maltrattamenti.
Molti di questi sono visibilmente malnutriti. Molti vengono trovati incatenati a dei semiassi di automobili, un accorgimento usato spesso per i cani da combattimento, per tenerli a distanza ed evitare che si soffochino con le normali catene, ammesso che si possa parlare di normalità in questo scenario. Viene individuata una zona adibita ai combattimenti, piena di macchie di sangue. Alcuni strumenti da allevatori, fra cui un cosiddetto “rape stand”, una sorta di gogna in cui rinchiudere le femmine aggressive durante il periodo degli accoppiamenti. Bastoni metallici per separare i cani. Antidolorifici e droghe da prestazione ad uso veterinario, per indurre i cani a combattere ignorando fatica e dolore.
Michael Vick afferma di non aver mai neppure messo piede nella sua tenuta. Alcuni giocatori, fra cui Clinton Portis e Chris Samuels, prendono le sue parti definendo normali i combattimenti fra i cani, specie fra pitbull, e agitando maldestramente l’ipotesi che si stia creando del sensazionalismo intorno ad un personaggio famoso.
Purtroppo per tutti, le cose non stanno così.
Quello che ha trovato la polizia è solo l’inizio dell’orrore.
In una successiva perquisizione emergerà anche una sorta di fossa comune, dove vengono ritrovati i corpi di altri otto cani.

I federali al lavoro nella tenuta degli orrori

La vita del giocatore più intrigante di una generazione sta per cambiare.
Solo e soltanto per colpa sua.
Il giorno 17 luglio vengono incriminati formalmente Purnell Peace (“P-Funk”), Quanis Phillips (“Q”), Tony Taylor (“T”) e Michael Vick (“Ookie”) per una lunga serie di reati, anche interstatali, tutti legati ad un giro di combattimenti clandestini fra cani alimentato a partire dal 2001, anno in cui le disponibilità economiche di Michael cambiano radicalmente dimensione a causa del suo passaggio nei professionisti.
Nello stesso anno, questa infausta unione di una stella dello sport con un gruppuscolo di criminali senza scrupoli nè morale mette in moto una vera e propria organizzazione. Tony Taylor convince Michael ad entrare nel business e ad acquistare un posto dove lavorare in tranquillità. Viene aperto un allevamento, il Bad Newz Kennels. Michael è ufficialmente un allevatore. Con una pennellata di hip-hop un tanto al chilo, con il nuovo logo si fanno fare capi di abbigliamento e gioielleria varia. Forse per nascondere meglio il desolante vuoto di umanità in cui iniziavano a muoversi. Questo gruppo di gentiluomini andava in giro per vari stati per portare i propri cani a combattere, scommettendoci sopra. I cani degli altri, quelli più forti e aggressivi, venivano acquistati a suon di migliaia di dollari (perchè evidentemente per qualcuno fra loro i soldi non erano più un problema). Venivano opzionate intere cucciolate, i cani venivano resi aggressivi a forza di bastonate e privazioni e non era un problema se qualcuno fra questi poveri animali perdeva la vita in questi vergognosi spettacoli.
Il pitbull non è un cane semplice da gestire, ma dobbiamo cercare di evitare banalizzazioni e luoghi comuni perchè in questa fase questi cani sono vittime innocenti della pochezza umana.
Il pitbull non è un cane fatto per stare con altri cani, ma cresciuto nelle condizioni giuste sviluppa una vera e propria venerazione per il proprio umano, tant’è che molto spesso viene utilizzato come baby sitter o come cane da pet therapy per i malati che possono giovarsi della compagnia e dell’empatia che questi animali possono regalare.
Questi spettacoli indegni, queste scene di cani buttati in una fossa e circondati da altre bestie urlanti che scommettono sulla morte di uno di loro andranno avanti per anni. Vari personaggi si alterneranno intorno al nucleo principale di questa accolita di banditi.
Quello che foraggia il gruppo, nel mentre, è entrato dalla porta principale nel firmamento più prestigioso dello sport americano.

Tutto questo teatro dell’orrore è sintetizzato molto bene da un altro grande giornalista

Questo ragazzo aveva tutto, ha voluto rischiare e perderlo per cosa?
Per vedere dei cani che combattevano tra di loro?
Ma su quale pianeta viviamo?
(Peter King, Sports Illustrated)

Emergono nei mesi estivi dettagli sempre più raccapriccianti. I cani meno performanti venivano uccisi nei modi più atroci: a bastonate, annegati, impiccati, sbattuti a terra fino a spezzargli il collo, con le scosse dopo averli bagnati bene.

E sì, in qualche caso anche dal quarterback superstar degli Atlanta Falcons.

L’estate del 2007 è una escalation irreale intorno ai fatti che stanno emergendo. Vick rassicura più volte la proprietà dei Falcons e la NFL stessa fino alla persona di Roger Goodell sulla propria estraneità ai fatti: sì, conosceva quelle persone ma solo per vecchie frequentazioni di gioventù.

No. Michael Vick sta mentendo. Lo farà più di una volta, purtroppo.

Gli atti ufficiali

Quello che sta venendo a galla fra le indagini condotte e le confessioni della banda del Bad Newz Kennels è un quadro di una crudeltà infinita. Cani usati come macchine da soldi, senza il minimo ritegno verso le sofferenze e la vita di questi animali. Questi racconti da umanità degradata sarebbero già spaventosi così, ma la presenza della figura “insospettabile”, della superstar con contratti per un totale superiore ai cento milioni di dollari che avalla queste carneficine è difficile da tollerare per tutti. L’opinione pubblica, inizialmente divisa, diventa decisamente colpevolista. Non si accetta con facilità che un personaggio celebre, idolo di una intera città e di milioni di giovani, metta la sua figura e il suo nome su questo schifo di giro di adrenalina a buon mercato.

Non è semplice mantenere una linea obiettiva su questa vicenda, anche dopo anni.

Forse la cosa più corretta è far parlare le carte.

Il 17 luglio 2007 viene emesso il primo atto di accusa: gli Stati Uniti d’America verso l’intero gruppo del Bad Newz Kennels, identificati per nomi e soprannomi: associazione dedita alla esecuzione di atti in violazione alle leggi interstatali finalizzati ad attività di combattimenti fra cani.

Le indagini proseguono in fretta, perchè il quadro è veramente grave e in mezzo c’è un nome intorno a cui ruota un business multimilionario di interesse mondiale. Serve fare chiarezza prima possibile.

Il 24 agosto vengono emessi altri due documenti ufficiali, entrambi aperti dalla dicitura:

UNITED STATES OF AMERICA
v.
Michael Vick
a/k/a “Ookie”

Uno è un riassunto dei fatti contestati, l’altro è la proposta di patteggiamento, perchè Michael Vick ha deciso di dichiararsi colpevole per tutti i capi di accusa esposti.

Prima di tutto chiedo scusa per tutto quello che ho fatto e per tutto quello che ho permesso che accadesse. Troverò un modo per redimermi, devo farlo. Grazie

(Michael Vick, conferenza stampa del 27 agosto 2007)

Ci limitiamo a riportare sinteticamente quanto agli atti.

“Gli Stati Uniti d’America contro Michael Vick”, 17 luglio 2007

A partire dal 2001, Michael Vick e gli altri imputati citati in precedenza hanno consapevolmente violato la legge in vari modi, infrangendo norme di commercio interstatale per creare e promuovere altre attività illegali, principalmente legate a episodi di scommesse clandestine […]. Hanno organizzato e promosso combattimenti fra animali in diversi stati, includendo il trasporto degli animali stessi. Vick ammette di aver preso parte a questa associazione con l’intento di commettere effettivamente le azioni illegali contestate. Per questa finalità è stata acquisita una proprietà dove in seguito è stato allestito un allevamento di cani, dove venivano allevati e allenati al combattimento dei pitbull. Vick provvedeva a tutte le necessità economiche collegate all’acquisto di animali, farmaci, attrezzature, ai viaggi per i combattimenti, alle scommesse. Gli animali non adatti ai combattimenti o quelli che ne uscivano gravemente feriti venivano soppressi per mano degli stessi componenti del gruppo. L’attività imprenditoriale del Bad Newz Kennels era ancora in essere alla data del 25 aprile 2007. Vick ammette che in questa attività erano comprese anche scommesse non legali e borse per i combattimenti fra i cani, nell’ordine di centinaia o di migliaia di dollari. Vick copriva le necessità economiche di tali attività ma non prendeva parte alla spartizione delle eventuali vincite. Si riportano poi le storie di alcuni fra questi animali, dal loro ingresso nel Bad Newz fino alla loro fine, dovuta o alle ferite per i combattimenti o alle punizioni inflitte dopo prestazioni insoddisfacenti. Vick non partecipa alla soppressione di nessun cane fino al 2003. Vengono narrate le storie di poveri esseri come Jane, Big Boy, Magic, Too Short. I loro viaggi fra stati per combattere con altri cani, le loro vite costrette ad una catena, le bastonate, i maltrattamenti. Le uccisioni. Quando i combattimenti si svolgevano nella tenuta di Vick, lui rimaneva in disparte, in un gabbiotto al secondo piano, perchè evidentemente era troppo riconoscibile e potenzialmente ricattabile. Una volta venne chiamato per nome: fece notare ai suoi che la cosa non doveva ripetersi.
Quando era in Virginia, la superstar dei Falcons Michael Vick, colui che nel 2004 aveva firmato un contratto decennale da 130 milioni di dollari, il Michael Jordan della NFL, si trasformava nell’allevatore Ookie, o in Ron Mexico.
Michael Vick aveva la piena consapevolezza di quello che stava facendo.
Per completezza, ovviamente non era quello l’unico caso del genere che veniva affrontato nelle aule dei tribunali americani. Ma aveva alcune ovvie peculiarità: prima fra tutte, una delle figure coinvolte era una persona di rilevanza nazionale. Poi, caso raro, è stato lo stesso governo federale della Virginia a formulare le accuse perchè, come spesso accadeva, le indagini partivano per altri motivi. Infine, fortunatamente, gli animali coinvolti non sono stati soppressi ed è stata nominata una figura che doveva esplicitamente sovraintendere al loro percorso di recupero. Il tutto a spese degli imputati (specialmente di quello più celebre).

La scure della giustizia

Tutti gli imputati capiscono che solo ammettendo in pieno le proprie colpe possono limitare i danni. Il rischio della pena massima per quel quadro era fra i cinque e i sei anni di reclusione. Vick si dichiara colpevole per tutti i capi di accusa, ammette di avere acconsentito nel tempo alla soppressione di otto cani. Tenta di salvare forse l’ultima briciola di umanità dicendo di non aver partecipato mai in prima persona a questa barbarie, ma il 12 ottobre cade sul poligrafo (la “macchina della verità”) e dopo una drammatica udienza di cinque ore ammetterà la propria partecipazione attiva all’impiccagione di un cane.

Ho portato quel cane di sopra, dove Quanis Phillips gli ha messo una corda intorno al collo.
Poi l’ho buttato giù

Il 10 dicembre 2007 Michael Vick viene condannato a 23 mesi di reclusione. Non potrà comprare, vendere o possedere cani per un periodo di tre anni. Pagherà le spese per la rieducazione e il mantenimento di 53 cani, circa un milione di dollari, e dovrà sottoporsi ad un programma di disintossicazione da droghe e alcool. La data prevista per la sua scarcerazione è quella del 20 luglio 2009.

vick processo
Michael Vick a processo

Ovviamente gli Atlanta Falcons lo rilasciano all’inizio del processo e per la NFL Michael Vick ora è una macchia indelebile sul vestito buono, è un innominabile. Perde contratti e sponsorizzazioni per un importo di circa 100 milioni di dollari.

Il cammino del predestinato si è fermato in modo irreversibile, per colpe proprie e per un contesto umano di uno squallore desolante.

Dungy, Reid e McNabb: il cammino verso la redenzione

Il 20 maggio 2009 Michael Vick lascia il carcere di Leavenworth, Kansas. Passa due mesi nella propria casa in Virginia, controllato tramite braccialetto elettronico. Michael ha avuto tempo per pensare alle sue azioni e ai suoi propositi di riscatto. Ha conosciuto un mondo diverso da tutto, sia dal degrado di Newport News che dalle luci di Atlanta e della NFL. Si è comportato da persona normale in un posto dove la normalità forse è un traguardo. E ha cominciato a scoprire il vero significato dell’amicizia e dei rapporti umani sani. Un uomo ha accettato di fargli da mentore, di mettergli a disposizione un cammino di vita fatto di football e di sofferenza, perchè quest’uomo aveva vissuto anni prima la tragedia del suicidio di un figlio. Tony Dungy, ex capo allenatore (aveva portato Peyton Manning e i Colts al titolo pochi anni prima), va a trovarlo a Leavenworth e ci parla, e soprattutto lo ascolta. Dungy prendeva a cuore il percorso dei carcerati già da tempo, da cristiano evangelico aveva quasi pensato di smettere la vita da capo allenatore nella NFL per andare a parlare con i detenuti. Non può non nascere un feeling con Michael.
E Tony Dungy siede vicino a Michael Vick, a Andy Reid e a Donovan McNabb il giorno 13 agosto 2009, quando fra lo stupore generale e in mezzo a una notevole contrarietà dell’opinione pubblica, i Philadelphia Eagles decidono che sì, quell’uomo forse cambiato merita una seconda possibilità.

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Tra Andy Reid e Tony Dungy

I tifosi non la prendono bene. “Non vogliamo un assassino”, “Nascondete i vostri cani”, “Vick is sick”, gli striscioni nelle strade sono fin troppo espliciti. Michael tace, opportunamente. Ma forse realizza che non poteva trovare un incastro migliore. Andy Reid è un allenatore che riesce come pochi altri a empatizzare, interagire e motivare i suoi giocatori e a tirare fuori il massimo dai suoi quarterback. Lo aveva fatto con McNabb, lo avrebbe fatto anni dopo a Kansas City, regalando al mondo intero le giocate incredibili di Patrick Mahomes. Sì, poteva provarci con Vick. E Philadelphia aveva già avuto una delle sue più grandi icone sportive che in adolescenza aveva speso tempo e vita a Newport News: Allen Iverson, The Answer.

L’ambiente degli Eagles prende confidenza pochi giorni dopo, quando il proprietario della squadra Norman Braman riceve una telefonata in cui viene confortato nella sua scelta, “perchè questo paese deve continuare a dare opportunità, quando possibile”. Al telefono era Barack Obama.

Lo stipendio per il primo anno è necessariamente il minimo sindacale. Michael non fa una piega e accetta di buon grado il ruolo di riserva del suo idolo di gioventù, il grande Donovan McNabb. Forse è uno dei pochi giocatori con cui nel tempo aveva stabilito un dialogo sincero, quindi la coesistenza fra i due è stata sempre liscia. Rimette anche piede in campo, poco alla volta, perchè la ruggine dei mesi in carcere andava smaltita e perchè deve imparare un sistema diverso.
Andy Reid gli permette di scrollarsi di dosso i fantasmi del passato, permettendogli di giocare mezza partita a casa degli Atlanta Falcons. Michael ringrazia, con un TD su lancio e uno su corsa in una partita senza storia.

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A bordo campo con Donovan McNabb

La stagione degli Eagles termina alla wild card, contro gli arcirivali Dallas Cowboys.
E come sempre, nel football esiste una sola logica: quella del next man up: chiunque tu sia, se il progetto del team prevede altro, si regoleranno di conseguenza. E ad aprile 2010 Michael Vick si sveglia con la notizia che il suo amico McNabb è stato scambiato con i Washington Redskins, per una seconda scelta più altri spicci. Il nome nuovo nella città dell’amore fraterno è quello di Kevin Kolb, che aveva mostrato qualche bel lampo nella stagione precedente. Michael ha ormai trent’anni, la vita potrebbe averlo rimesso sui binari, non esce più dal campo mostrando il medio ai tifosi come faceva ad Atlanta. E’ un quarterback maturo che accetta il ruolo di backup e ha cominciato a studiare davvero e a vedersi i filmati delle difese avversarie come mai aveva fatto ad Atlanta.
Prima giornata: arrivano i Green Bay Packers, forti in difesa e terrificanti in attacco, guidati da quel vero e proprio artista di Aaron Rodgers. Kevin Kolb sente la pressione, completa qualcosina sul corto ma dopo pochi minuti deve incassare un sack da Clay Matthews che arrivava come una furia, non visto. In panchina Michael è preoccupato per il suo compagno

Alzati Kevin, per favore alzati

Kolb si è infortunato, Michael Vick infila il casco ed entra in campo, con le chiavi di un attacco NFL per la prima volta dal 2006.
Non è più un predestinato, è qualcuno che ha fatto errori grossi e a cui è stata data una seconda possibilità, cosa che non accade sempre.
Qualche gioco per sciogliersi, e Michael torna di nuovo quella incredibile arma impropria che era stato nei suoi anni migliori in Georgia. Prestazione solida sui lanci, con un TD senza intercetti. Ma il mondo capisce che è tornato il vero Michael Vick, perchè arrivano anche 103 yard di corsa in appena undici tentativi con tutto il repertorio di accelerazioni, inchiodate, cambi di direzione fatti su un fazzoletto di campo. Sì, è tornato.
Michael è ora il perno attorno a cui ruota un attacco che non ha mai avuto e forse nemmeno sognato prima: LeSean McCoy a portar palla, una coppia di ricevitori come Desean Jackson e Jeremy Maclin, la concretezza di Brent Celek come tight end. Verrebbe quasi da dire troppa grazia…
Vick ringrazia e all’età di 30 anni regala a chi lo ha reinserito nel suo ambiente naturale la migliore stagione della sua carriera. Cifre mai viste prima, trenta TD totali (21 su lancio, 9 su corsa), la solita convocazione al Pro Bowl e il premio di Comeback Player of the Year, nonostante qualche partita saltata per un infortunio. La stagione degli Eagles è memorabile e negli occhi di tutti i tifosi resta la leggendaria vittoria allo scadere a casa dei NY Giants per 38-31, quando una magistrale rimonta orchestrata da Vick viene glorificata dal punt riportato in TD da Desean Jackson. Come accadeva ai tempi di John Madden, sarà in seguito sufficiente il nome di “Miracle at the Meadowsland” per sapere di quale partita si sta parlando.

vick eagles giants
Miracle at the Meadowsland, 19 dicembre 2010

Contro i Redskins, in un Monday Night, apre la partita con una bomba di 88 yard su Jackson e sarà il primo giocatore a segnare tre volte su passaggio e due su corsa in appena metà partita (la maglia indossata in quella partita è a Canton).
La stagione degli Eagles finisce come era iniziata, con una sconfitta alla Wild Card contro i Green Bay Packers, che riporteranno a casa per la quarta volta il trofeo che porta il nome del loro eterno allenatore, Vince Lombardi.

Vick rimarrà a Phila anche nel 2011 (8-8), nel 2012 (4-12) e nel 2013 (10-6).
Ma il tempo sta iniziando ad intaccare anche lui, e nel 2013 Chip Kelly gli preferisce un giocatore sicuramente meno esplosivo ma di una saldezza mentale non comune come Nick Foles, colui che avrà ragione addirittura contro Tom Brady in uno dei Super Bowl più belli della storia recente.
Michael Vick ormai è un trentaquattrenne che ha dato tutto nella prima fase della sua carriera, perchè per il suo tipo di gioco non poteva non essere così, ha buttato via in un carcere forse i suoi anni migliori e poi ha dimostrato quello che poteva essere, se solo la sua testa avesse gestito la propria vita nel modo fantastico in cui gestiva quello che succedeva su un campo da football.

Un anno come backup ai Jets, uno come backup agli Steelers, chiamato dal suo concittadino Mike Tomlin.
Grazie Michael, per quello che comunque sei riuscito a far vedere su un campo da football.

Vite (non solo umane) parallele

Alla fine del 2007 i cani tenuti in condizioni indegne nella tenuta di Moonlight Road sono stati mandati presso varie strutture per provare a riconnetterli ad una vita normale dopo tanto orrore. Due associazioni (la Best Friends Animal Society nello Utah e la Bay Area Doglovers Responsible About Pit Bulls di San Francisco) hanno fornito nei mesi successivi un resoconto puntuale sulla vita di questi animali, le vere vittime di questo mistero insondabile. Audie, operata alle zampe a spese di Vick, è stata adottata da una famiglia e ha preso parte a concorsi di agilità. Anche Harriett è stata adottata ed è andata a vivere in una fattoria, dove corre libera e gioca con tutti. Ginger vive con la sua nuova padrona, che si lamenta perchè lei occupa molto più della sua metà del letto. Poi ci sarebbero anche Frodo, Iggy, Ernie, Teddles, tanti altri. Tutti con una famiglia, o con qualche malato a cui tenere compagnia. Bonita era ridotta troppo male e non è sopravvissuta ad un intervento.
Non erano assassini, non erano macchine da soldi. Erano animali, in mezzo alle bestie.

Ginger nella sua nuova casa

Michael Vick ha cercato di onorare fino in fondo la sua promessa di riscatto. Ha frequentato e prestato servizio in varie organizzazioni dedite alla tutela dei diritti degli animali, quali la PETA e la Humane Society. Si è reso promotore di una legge per punire chi assista a spettacoli di combattimento fra animali, con pene particolarmente severe per chi conduca minori a tali eventi.

Fra i compagni di squadra negli Atlanta Falcons, Michael aveva al suo fianco un esempio di uomo vero: Warrick Dunn destinava parte dei suoi guadagni ad una fondazione benefica che si occupava di fornire alloggi a madri single o a famiglie in particolari condizioni di indigenza. Nel 2006 la sua fondazione Habitat for Humanity trovò una casa dignitosa a Gainesville, in Georgia, per una mamma con tre figli: uno dei tre si chiamava Deshaun Watson: oggi è il meraviglioso quarterback degli Houston Texans.

La fantastica partita vinta praticamente da solo contro i Minnesota Vikings nel 2003 è entrata nel libro dei record per le 173 yard su corsa guadagnate da Vick. Quel record ha resistito per 10 anni, fino al gennaio 2013. E’ caduto in una gara di playoffs fra i Green Bay Packers e i San Francisco 49ers, ad opera di un altro giocatore la cui carriera è deragliata per motivi diversi dal football: Colin Kaepernick.

Non ha senso esprimere giudizi di alcun tipo, sarebbero comunque soggettivi. Michael Vick ha pagato il suo debito con la giustizia e ha cominciato a lavorare sui propri irrisolti personali. Ha ritrovato suo padre, e qualche volta lo ha portato a pesca, ovviamente a Newport News.
E’ un marito e un padre sereno, e ora i suoi cani gli corrono incontro allegri e scodinzolanti.
A chi ama questo sport ha lasciato il grande rimpianto di un talento inespresso che forse avrebbe potuto riscrivere la storia del suo ruolo e del gioco stesso in quegli anni.

michael vick
Michael impegnato in una campagna contro i combattimenti fra cani

Forse, per uno strano e crudele destino, l’unico che poteva fermare Michael Vick era solo e soltanto Michael Vick.

Il nostro libro (cartaceo e ebook)

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

2 Commenti

  1. Ho sempre ammirato questo giocatore come grande atleta meno come uomo. Per il suo talento avrebbe meritato il superbowl…
    Bellissimo articolo con dettagli che nn conoscevo. Poi gli eagles dai tempi di randall cunningham mi hanno sempre affascinato.
    Ora ammiro lamar jackson suo degno erede, ma non con la tecnica di lancio di vick

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