Oklahoma Sooners: Offense can Hurt(s)
L’arrivo dell’ex quarterback di Alabama e le speranze di playoff dei nuovi Sooners
Se siete anche solo minimamente appassionati di college football avrete senz’altro sentito dell’approdo in maglia crimson and cream dell’ex quarterback di Alabama Jalen Hurts, che nell’ultimo anno aveva perso la titolarità a scapito del sophomore Tua Tagovailoa. La parabola di Hurts ha iniziato la sua fase calante in quella notte del Mercedes-Benz Stadium di Atlanta, dell’8 gennaio 2018, quando, dopo una prima fase di gara non brillante fu inaspettatamente sostituito dal suo coach Nick Saban che schierò al suo posto il freshman samoano, che da quel momento non perse più la titolarità.
Certo, la perdita del vincitore dell’Heisman Trophy Kyler Murray (nella foto) si farà, senz’ombra di dubbio, sentire. Murray è un giocatore semplicemente “non replicabile” e dunque, per quanto Hurts potrà rendere meno dolorosa questa uscita, essa avrà delle ripercussioni sull’attacco degli oklahomans.
È abbastanza usuale che riguardo ai grandi cambiamenti ci siano due correnti di pensiero: quella ottimista e quella nostalgica. Per i primi è chiaro che l’approdo dell’ex pupillo di Saban porterà, assieme alle sue indubbie qualità tecniche e atletiche, un po’ di quella mentalità feroce e vincente tipica di Tuscaloosa, e che da essa, non solo l’attacco, ma tutto lo spogliatoio dei Sooners, possa trarne giovamento. La seconda, invece, è fermamente convinta che dopo Mayfield e Murray, quest’anno non sarà più il quarterback ad essere il faro della squadra, e bisognerà dunque appellarsi a qualcosa di diverso. Questi, però, erano gli stessi che, all’addio di Mayfield, erano scettici sulle potenzialità del ragazzino che fino a quel momento pareva essere più adatto al baseball che al football.
Come sempre, o quasi, però, in medio virtus stat. Se da un lato è corretto affermare che sarà estremamente complicato replicare il modo di gestire l’attacco di Murray, dall’altro, è assolutamente erroneo credere che ciò cesserà di fare dell’attacco di OU uno dei migliori (se non IL migliore) della nazione. E poi Lincoln Riley – head coach dei Sooners – si potrebbe definire un vero e proprio “QB – guru”, visto il lavoro compiuto prima su Mayfield e poi su Murray, i quali, al pari di Hurts, provenivano da una prima esperienza in un altro college (erano cioè dei cosiddetti “transfer”).
Certo, il tempo cambia le cose, ma Jalen Hurts può davvero essere tanto peggiorato da quando, il 9 gennaio 2017, al Raymond James Stadium di Tampa, a due minuti dal termine del Championship Game tra Alabama e Clemson, dopo un touchdown dello stesso Hurts, Kirk Herbstreit, spalla di Chris Fowler per ESPN, esplose in un quasi commosso “a legend is born here tonight in Tampa, in Jalen Hurts!”? Probabilmente no, come, altrettanto probabilmente le parole di Herbstreit furono un po’ avventate, trascinate dall’euforia del topico momento. Hurts non è un disastro oggi, tanto quanto non fosse un fuoriclasse nel 2017. Ma, come è giusto che sia, sarà, anche in questo caso, il campo ad avere l’ultima, decisiva, parola.
Certo che il fatto che l’intera linea offensiva – eccezion’fatta per il centro – dei Sooners abbia preso la via dell’NFL (Cody Ford, OT scelto alla 38 dai Bills; Bobby Evans, OT, scelto alla 97 dai Rams; Dru Samia, OG, scelto alla 114 dai Vikings e Ben Powers, OG, scelto alla 123 dai Ravens) sicuramente non aiuterà il neoarrivato quarterback. La solidità di questa linea, nella stagione passata, rese praticamente inarrestabile la option giocata da Murray. Anche un solo secondo di libertà in più concesso al quarterback per prendere la giusta decisione in un gioco RPO, può fare la differenza tra il successo e l’insuccesso dell’azione stessa. Poi, il resto, ovviamente lo facevano le gambe e il braccio Kyler.
L’attacco di OU, oltre a Murray e ai linemen, ha perso anche un altro importante tassello: il ricevitore Marquise Brown – cugino della superstar degli Oakland Raiders – il quale, scelto alla 25, ha preso la via di Baltimore.
Alla luce di tutto ciò, sembra improbabile che una squadra che l’anno scorso, con tutte le sue stelle, non è riuscita ad arrivare all’atto conclusivo, possa invece arrivarci quest’anno; eppure, qualche argomento in favore dei Sooners c’è…
In primis va considerato l’attacco. Okay, okay, hanno perso molto, ma è davvero necessario segnare 50 punti a partita per essere vincenti? Dipende, ovviamente, da quanti ne segnano gli altri. L’equazione è semplice, e comunque la si veda – la celebre dialettica tra “vince chi segna un punto più dell’avversario” e “vince chi ne subisce uno in meno” – il risultato è il medesimo: vince chi, al termine della partita, ha messo a referto un numero di punti superiori di quelli dell’avversario. È chiaro, quindi, che, se non vinci segnando 50 punti di media a gara il problema dei Sooners (non solo l’anno scorso, ma anche l’anno prima e quello prima ancora) sia il subirne meno, e quindi, in sintesi, la difesa.
Pure senza Murray, senza Brown, e senza l’intera linea offensiva, infatti, quello degli oklahomans resta un attacco più che solido, il quale, pur senza registrare le incredibili 570 yard a partita dell’anno scorso, potrà agilmente segnare oltre 35 punti di media a gara. La chiave sarà il farseli bastare.
In secundis, dunque, arriviamo alla difesa. La difesa non ha perso molto – infatti ben 9 degli 11 “starters” faranno ritorno a Norman – e molti di voi avranno da dire “e cos’è che dovevano perdere?!”. Effettivamente tutti i torti non li avete, ma un anno in più di esperienza a livello collegiale fa la differenza. Non dico che una primavera possa averli cambiati nella miglior difesa della nazione, ma che qualcosa di meglio rispetto all’anno scorso si possa vedere penso sia legittimo attenderselo. Ricordiamo, per dovere di cronaca, che in termini di yard concesse a partita, Oklahoma ha chiuso al 114esimo posto tra le 129 squadre dell’FBS. Non benissimo.
Il ruolo della difesa di una squadra che ha un attacco che segna 50 punti a gara pare semplice: basta non trasformare la partita in uno “shootout game” (per capire cosa si intende cercatevi West Virginia – Oklahoma della stagione passata, rende abbastanza bene l’idea), cosa che però, il più delle volte, non riusciva.
Il nome che nell’ultimo periodo ha attratto i media è quello di Kenneth Murray (toh, un altro Murray) linebaker al terzo anno che nei primi due ha convinto a tratti, ma che, in America ne sono convinti, è pronto a fare il decisivo salto che potrebbe portarlo nell’élite dei difensori (e che di conseguenza potrebbe garantirgli una scelta relativamente alta al prossimo draft). Alla difesa dei Sooners ciò che manca non è il talento, ma l’organizzazione e, anche se pare strano e forse semplicistico, la concentrazione. Molte volte l’anno scorso sono stati concessi dei “big plays” evitabilissimi, chiedere a Sam Ehlinger per conferma.
L’ultima considerazione da fare è di tipo “politico”, se così si può dire. Infatti, nelle ultime due stagioni è stato sempre concesso uno spot ai playoff ai Sooners, i quali non hanno mai ripagato la fiducia conferita loro. Inoltre, negli ultimi 2 anni sono state sempre tagliate fuori le squadre della Big10 ed è dal 2015 che non si vede ai playoff un rappresentante della Pac12 (dagli Oregon Ducks di Marcus Mariota). Ciò per dire che, essendo la partecipazione ai playoff decisa da commissari, i quali, pur cercando di basarsi il più possibile sulle statistiche e sugli algoritmi, sono comunque costretti a prendere delle decisioni che, almeno in parte, sono soggettive, potrebbero quest’anno, a parità di meriti, scegliere di lasciare i Sooners fuori dalla top 4.
Come pare chiaro da quanto detto, le variabili in gioco sono molteplici, e difficili da valutare a priori. Ma sarebbe erroneo tagliare fuori i Sooners dalla lotta al titolo senza vederli prima all’opera. La prima settimana – precisamente l’1 di settembre – ci darà modo di apprendere senz’altro di più sul lavoro fatto dalla difesa in questi mesi, e sull’adattamento di Hurts a questo attacco, anche perché di fronte ci saranno gli Houston Cougars, squadra dall’attacco stellare (quasi al livello di quello di OU) e difesa forse anche peggiore di quella dei Sooners. Se i Sooners riusciranno a domare i texani, magari tenendoli al di sotto delle 350 yard, potremmo, già dal primo di settembre, avere una forte candidata anche per i prossimi playoff.
A noi non resta che attendere, finché nuovamente sul terreno dell’Owen Field tornerà a correre il Sooner Schooner (la celebre diligenza, mascotte di OU), accompagnato dalla note di Boomers Sooners (l’altrettanto celebre canto di battaglia dei crimson and cream).