Dan Quinn è andato, ma è troppo tardi per gioire

Dopo una sconfitta che li ha fatti piombare a 0-5 per la prima volta dal 1997, gli Atlanta Falcons hanno deciso di licenziare Dan Quinn e Thomas Dimitroff, rispettivamente Head Coach e General Manager della franchigia. La notizia è arrivata verso le 23 italiane, ma era nell’aria dal momento in cui, con la partita sul 20-13 per i Panthers, Matt Ryan ha lanciato un goffo intercetto che ha chiuso qualunque speranza di rimonta. In realtà, Quinn era un dead man walking da settimane, almeno da quell’onside kick contro i Cowboys. La radice dei problemi che hanno portato a questo licenziamento è molto più profonda: il coro del #firedanquinn si sentiva forte e chiaro almeno da un paio d’anni e si era fatto assordante dopo il terribile avvio della stagione 2019, quella del record di 1-7, seguito da un clamoroso 6-2 che convinse il proprietario Arthur Blank ad allungare ancora di una tacca un guinzaglio che aveva raggiunto dimensioni chilometriche.

Per un tifoso Falcons è proprio questa la cosa più frustrante, che i segnali c’erano da anni, che gli errori sono sempre stati quelli e non sono stati affrontati quando era il momento, sperando in una redenzione di questo corso tecnico francamente troppo ottimistica. Tanti osservatori “neutrali” hanno dato per scontato che questa notizia abbia dato a noi tifosi Falcons un senso di liberazione simile a quello che hanno provato i tifosi dei Texans settimana scorsa e a quello che verosimilmente proveranno i tifosi Jets nelle prossime settimane. Purtroppo non è così, almeno per quanto mi riguarda. Più che sollevarmi, questo repulisti a scoppio ritardato mi lascia un fortissimo amaro in bocca, per una serie di motivi.

Primo, Dan Quinn è una brava persona, e non è mai bello quando una brava persona perde il posto di lavoro. Se il nostro allenatore fosse stato un personaggio riprovevole come Adam Gase, che pur di salvare la poltrona è disposto a rischiare la salute dei propri giocatori, questo licenziamento sarebbe stato veramente una liberazione.

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Se Quinn fosse stato un despota imbevuto di potere come Bill O’Brien, probabilmente mi avreste sentito intonare l’alleluia fin da casa vostra. Invece no, dal punto di vista personale non c’è nulla che si possa recriminare a Dan Quinn. La cultura dei suoi Falcons non è mai stata tossica perché Quinn non ha mai fatto dei suoi giocatori un capro espiatorio, nemmeno dopo lo scivolone di Julio, nemmeno dopo li 28-3. Per questo anche nei momenti peggiori non c’è mai stato un ammutinamento, anzi, i leader dello spogliatoio lo hanno sempre supportato. Perché Dan Quinn è e resta una brava persona, semplicemente non è e non è mai stato un grande allenatore. Salvo una breve parentesi nel 2017, le sue difese non hanno mai nemmeno annusato la top 10, e quando l’attacco ha smesso di produrre a livelli storici la squadra è regredita verso una mediocrità inaccettabile viste le premesse, le promesse e le aspettative che questo roster ha generato negli ultimi anni, tutte tradite da record mediocri.

La cultura dei Falcons di Quinn non è mai stata tossica, ma non è nemmeno stata vincente. Anzi, col tempo lo spettro del Super Bowl LI si è impadronito della franchigia, incatenandola ad un passato che non si poteva riscrivere e che non si è nemmeno riusciti a vendicare. Nessuna squadra (ok, probabilmente i Bills anni ’90 avrebbero qualcosa da dire) è mai riuscita ad essere identificata come “perdente” fino a questo punto. Non un tipo di perdente qualsiasi, ma quello della peggior specie, quello che ad un passo dalla vittoria finisce per liquefarsi alla prima difficoltà.

I Falcons non sono mai stati una squadra perfetta, ma sono sempre rimasti sopra il par a livello di talento, un talento che ultimamente è stato sprecato in modo quasi criminoso. Ed è propio questa la cosa più deprimente per i tifosi, che questa doveva essere una squadra in win now mode, con tutti i giocatori più importanti blindati da contratti pesantissimi che andranno a zavorrare il salary cap per anni. Con tutti i soldi spesi, il minimo che ci si potesse aspettare era una presenza fissa ai playoff, o almeno l’illusione di poter competere per la postseason. Niente di tutto ciò, negli ultimi tre anni i Falcons sono usciti dai giochi ancora prima del giorno del ringraziamento. È questo l’altro motivo per qui non c’è nulla da festeggiare: i cocci sono già rotti, licenziare Quinn nel 2020 non porterà indietro le ultime due stagioni, non renderà più giovani Matt Ryan e Julio Jones, non farà spiccare il volo ai tanti giocatori che sono peggiorati (o non sono mai sbocciati) sotto la tutela di questo coaching staff. Nessuno darà indietro i tre anni di prime Ryan e Julio hanno sacrificato per un coaching staff e una dirigenza incompetenti. Ora il primo ha 35 anni ed è chiaramente in fase calante, il secondo ne ha 31 e francamente non si merita la fine di Larry Fitzgerald.

jones ryan falcons

Non che loro due e il resto dei leader nello spogliatoio siano immuni da colpe per il disastro degli ultimi anni, ma le responsabilità tecniche dei giocatori scompaiono di fronte all’inettitudine generalizzata della coppia Quinn-Dimitroff. Gli svarioni tattici, l’incapacità di migliorare i giocatori a roster e la difficoltà di sceglierne di nuovi hanno azzerato le possibilità di un ritorno al Super Bowl, la possibilità di competere nel presente e, cosa ancora più grave, anche quella di azzerare e ripartire. C’è poco da festeggiare per l’addio di Quinn, perché i danni della sua gestione impediscono ai Falcons di fare quello che sarebbe logico, demolire tutto da subito e ripartire. Non è per niente facile smantellare un roster come quello dei Falcons, non basta riempire il salary cap di tritolo e farlo brillare per ripartire da zero. La grande rivoluzione, se mai ci sarà, è da aspettarsi per il 2022, non per il 2021: solo i contratti di Ryan e Jones per il 2021 portano via più di 60 milioni di dollari, una montagna di dead money irrecuperabile. Non si può nemmeno partecipare al tank for Trevor Lawrence, perché pur con tutti i suoi limiti questo roster è troppo superiore a quello di Washington, Jacksonville e delle derelitte newyorkesi. Raheem Morris, l’interim head coach scelto per traghettare la squadra fino a gennaio, riuscirà sicuramente a spremere da questa squadra le vittorie necessarie a toglierla dalla top 3 al prossimo Draft. Ci piacerebbe immaginarci Trevor Lawrence tornare a casa – la futura prima scelta assoluta ha giocato in high school in Georgia e ha dichiarato che all’epoca tifava proprio i Falcons, ma di queste fantasie verosimilmente non resterà più che un’immagine photoshoppata da qualche tifoso troppo entusiasta.

C’è davvero poco a cui aggrapparsi per noi tifosi dei Falcons. La franchigia sembra bloccata come Aldo nello sketch della montagna ne I Corti, non può “né scendere né salire”, né scendere da subito fino a rifondare su un nuovo quarterback, né salire verso il posto che dovrebbe occupare nei piani alti della NFC.

La crudele ironia di questa situazione è che i due responsabili di questa situazione si riprenderanno molto più in fretta della franchigia che hanno rovinato. Fuori da Atlanta la reputazione di Dimitroff è molto più cristallina di quanto sia presso la fanbase dei Falcons, che si ricorda bene la gestione caotica delle ultime free agency e gli scivoloni presi al draft.

quinn dimitroff

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L’ex GM resterà disoccupato a breve. Lo stesso Quinn cadrà in piedi, si troverà un impiego da assistente o coordinatore in uno dei mille rami del coaching tree a cui appartiene oppure tornerà ad allenare al college.

Dan Quinn e Thomas Dimitroff se ne sono andati, ma la nube radioattiva di questo disastro nucleare aleggerà a lungo attorno al Mercedes-Benz Stadium. Per quanto tempo? Dipenderà dalle scelte del proprietario Arthur Blank, che dopo aver ritardato per anni l’inevitabile sarà chiamato a scegliere il General Manager e l’Head Coach chiamati a bonificare questa Cernobyl sportiva, a decidere se è il caso di “scendere” e ricostruire da zero o provare a “salire” dando un’ultima possibilità ai veterani di questo roster. L’importante è che i Falcons smettano di stare fermi aggrappati a una roccia di mediocrità e rimpianti.

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Alberto Cantù

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Un Commento

  1. Non sono tifoso dei Facons, tuttavia la sconfitta al Superbowl è stata dura da digerire. Quella squadra a livello offensivo ha espresso un gioco di altissimo livello, avrebbe meritato di vincere.

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