High School Football, le luci del venerdì sera
[quote arrow=”yes”]“Victories are a byproduct of a larger vision. It begins with a question:
How much do we owe one another?” (Neil Hayes, When the Game Stands Tall)[/quote]
Qualsiasi cosa succede sul campo è il prodotto di tutto quello che la squadra nella sua interezza, non solo gli undici in campo ma anche tutti quelli che stanno fuori, tutto lo staff e chi sta attorno alla squadra, fanno nel corso del tempo, i loro sforzi in allenamento ed il loro lavoro fuori dai 60 minuti di gioco.
Fratellanza, sacrificio, disciplina, cuore, passione, onestà, sono parole d’ordine non campate per aria ma che devono essere messe in pratica senza mezze misure perchè il football è un gioco dove se la squadra ha una falla, non c’è modo di mascherarla e così come le mura difensive delle città venivano attaccate dagli eserciti nemici nei loro punti più deboli, così la squadra nella sua interezza, come fosse un unico corpo, verrà attaccata nel tallone d’achille, per essere distrutta.
IL FOOTBALL
Il football è uno sport di contatto che si sviluppa su un terreno di gioco alle cui estremità l’elemento fondamentale sono le aree in cui occorre arrivare, seppur con un oggetto in mano. L’abilità primaria non è quindi spedire un oggetto in qualche punto, fare “centro” come accade nel calcio o nel basket o nell’hockey, ma arrivare con un qualsiasi elemento della squadra in quel luogo.
I due principali sport che si sono sviluppati a partire da questi fondamentali, sono il rugby (e le sue varianti) ed il gridiron football, espressione cappello che contiene una serie di sport simili tra loro, il cui principale è quello che chiamiamo football americano.
Tra il 1880 ed il 1882 Walter Camp introdusse il concetto di “linea di scrimmage” e successivamente i guadagni obbligatori di terreno, separando definitivamente le strade del football e del rugby. Quest’ultimo si standardizzò come gioco con poche pause e possessi anche piuttosto lunghi, mentre il football si trasformò in un gioco più spezzettato con cambi di possesso più frequenti.
La conquista del campo yarda dopo yarda, scandita dai “down” trasformò un gioco di chiara derivazione britannica in una rappresentazione della corsa alle terre (e della loro difesa) in atto nell’ottocento statunitense. L’attacco del campo e la difesa di quest’ultimo mostrò anticipatamente ai ragazzi come sarebbe stato il loro futuro militare in un periodo dove le guerre erano sanguinosamente di trincea. La rudezza, la violenza necessaria che è insita nel gioco ipnotizzò l’America, il football diventò pane quotidiano e invase l’America borghese ma anche e soprattutto quella rurale che si stava allungando da est verso la già popolata costa dell’ovest negli enormi spazi del Midwest.
Questo sport, si è poi evoluto in maniera importante con diversi altri accorgimenti che hanno portato a spettacolarizzarlo e renderlo più sicuro, ma ad ogni snap si può vedere quanto questa disciplina abbia come cuore pulsante il dominio sull’avversario, sia esso fisico ma soprattutto psicologico: prendere in mano il “momentum” della gara da sempre è fondamentale per la vittoria, ed i paragoni tra gli scacchi ed il football si sprecano.
Lo spazio relativamente ristretto dove si affolla la gran parte dei giocatori in campo costringe questi ultimi ad avere una elevatissima reattività ed a rispettare rigidamente le consegne date dai coach, ma soprattutto a mettere in pratica un affiatamento ed un sincronismo fuori dal comune, questo non si può ottenere se non si lavora sodo e per lungo tempo, se non si è onesti con la squadra ed i compagni e se non si tende a una comunione di intenti.
Questo sta dietro quello che centinaia di migliaia di persone vedono dagli spalti delle leghe professionistiche e collegiali, nei campionati brevi ed intensi che si svolgono tra la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno, ammirando giocatori che sono già piccole celebrità locali, supportando la propria città oppure la scuola che li ha trasformati da ragazzetti a persone adulte.
L’HIGH SCHOOL FOOTBALL E L’AMERICA
L’high school football è una realtà che ogni venerdì sera d’autunno porta migliaia di persone sugli spalti delle locali scuole superiori per vedere ragazzi di 17 o 18 anni giocare a football: qualcosa di inconcepibile per lo sport giovanile europeo, anche quello a più alta professionalità. La UEFA Youth League di calcio, con squadre composte da giocatori under-19 attira non più di 1.000 persone a gara quando i coetanei di college football fanno traboccare stadi da 100.000 posti.
Il concetto di squadra sportiva negli States si fonde con quello di scuola, che nel caso della high school si frequenta per quattro anni (tre, per la senior high school), ed i ragazzi si sentono parte di una struttura che va oltre l’insegnamento, ma che ricomprende anche le forme di svago come appunto gli sport. Il sistema scolastico si occupa quindi anche di parte del tempo libero dei ragazzi, offrendo corsi di arti visuali, informatica, giornalismo.
Oggettivamente è un modello funzionale, perchè struttura le richieste dei ragazzi dentro un contesto scolastico, quindi avvezzo alla didattica, e nello sport non lega i ragazzi a nessun tipo di remunerazione come avviene negli sport professionistici europei, e soprattutto permette alla scuola di “premere” sui ragazzi più preparati sportivamente affinchè abbiano anche migliori risultati scolastici.
D’altro canto, si sollevano spesso polemiche legate al fatto che i voti dei ragazzi che eccellono nello sport siano sempre ritoccati verso l’alto per assicurare loro gli standard minimi per continuare gli studi ed essere reclutati nei college con i programmi sportivi più importanti con un ritorno di immagine anche per le high school: una sorta di tacito accordo tra piano di sotto e piano di sopra per dare l’impressione che si stia trattando di scolari diligenti. Tuttavia è innegabile che questo sistema scolastico/sportivo determini un abbandono scolastico infinitamente più basso dei talenti sportivi: lo sport passa per l’istruzione, e se ipocritamente si negano “aggiustamenti” di voti e giudizi, questo non può certo essere motivo sufficiente per disperdere il patrimonio di lati positivi che questo sistema ha.
Questo metodo non è figlio dell’America ma ha radici nell’Inghilterra vittoriana dove si svilupparono sia le prime regole di sport ed attività ginniche, che il sistema di educazione fisica scolastica che permetteva di mettere in pratica il motto “mens sana in corpore sano” ma soprattutto una modalità che non costringesse i rampolli dell’aristocrazia a vedersela con i figli del popolo in gare aperte: lo sport scolastico e collegiale garantiva all’aristocrazia di vedersela solo con i propri pari, frequentanti esclusivi college.
il sistema di sport collegiale fu trasportato con successo negli Stati Uniti a metà dell’ottocento grazie a canottaggio e baseball, ed importanti istituti come Yale, Harvard, Amherst furono i precursori di questa pratica.
Questo sistema è rimasto il loro caposaldo per quanto riguarda il mondo dello sport e solo le grandi leghe professionistiche si può dire che abbiano in qualche modo rotto l’equazione sport = varsity sport in USA. Tuttavia il mondo è cambiato ed è innegabile che nei college, anche i più quotati, ai figli di aristocratici oggi si siano sostituiti figli di chiunque, anche grazie al sistema di borse di studio, e questo ha aperto l’istruzione superiore a tutti. Tuttavia le borse di studio a sfondo sportivo hanno creato quel limbo in cui i ragazzi sono si, studenti, ma soprattutto sono atleti, e la scuola non è più un esclusivo college londinese che allena i ragazzi per una tradizionale gara di canottaggio all’anno ma istituti che lottano per accordi di sponsorizzazione, attirando studenti anche grazie ai risultati sportivi che ottengono i suoi atleti, altrimenti chi te lo farebbe fare ad esempio ad iscriverti ad Auburn dove avviene di media una sparatoria all’anno?
Il sistema a livello di high school funziona pressoché dappertutto in maniera ottimale, permettendo alla scuola di essere per gli studenti un faro che va oltre le ore di lezione. Mentre per i ragazzi giocare per la propria scuola si identifica nel tenere alto il nome della propria terra, l’onore della propria città piccola o grande che sia, rappresentata dal campo e spesso enfatizzata dal nome della scuola nelle endzone (il punto del campo in cui gli avversari non devono arrivare, costi quel che costi), ma anche comparire nei corridoi della propria scuola nelle foto celebrative, nominati ai piedi dei trofei, ricordati dai giornali scolastici e non solo.
In buona sostanza i ragazzi diventano, ancora in pienissima adolescenza, i rappresentanti della propria comunità, gli eroi locali in una nazione giovane come gli Stati Uniti, che non ha una vera mitologia come possiamo intenderla noi europei, e che costruisce la propria privatissima mitologia locale anche su questo. Dalla diffusione nel secondo decennio del ‘900 grazie alle politiche educative votate alla capillare scolarizzazione, fino all’esplosione a cavallo del secondo dopoguerra all’indomani della crisi del ‘29 e dello spopolamento durante il cosiddetto dust bowl, l’high school football è stato il perno sportivo di una infinità di piccole e medie comunità, sia dal punto di vista della pratica per i giovani, sia dal punto di vista del seguito, e della documentazione anche cinematografica. Provate solo a pensare ad una breve bibliografia o meglio ancora filmografia legata all’high school football ed alle sue storie spesso legate alla forza di volontà, al sacrificio, alla costruzione di una squadra che sia prima di tutto un gruppo che si accetti pur nelle sue diversità.
Il messaggio che se ne ricava è che la gloria è tutt’altro che un prodotto pre-confezionato del Destino, tutt’altro che priva di consistenza: ha un odore ed è quello del sudore, ha un prezzo ed è quello di tutto ciò che sacrificano i giocatori. “There are no Cinderellas”, come recitava un vecchio spot della Nike.
Non è facile comprendere questo aspetto soprattutto per noi italiani che siamo intrisi del concetto di “predestinato” applicato allo sport: le stimmate del campione o ce le hai o non ce le hai, secondo noi. A questo possiamo tranquillamente aggiungere il sistema pubblicitario che ci culla dicendoci che siamo meritevoli a prescindere. Tutto senza discriminare tra chi ci mette il cuore, l’anima, il sudore e chi attende lo svolgimento del proprio Destino passivamente e pavidamente: Self-entitlement, come direbbero gli americani.
Il football americano è l’antitesi a questo, la perfetta rappresentazione di come nulla ci spetti di diritto, nulla ci sia concesso per grazia, nulla possa essere considerato nostro permanentemente per diritto. Tantomeno il successo e la gloria sportiva.
Il football quindi è un fortissimo veicolo di pubblicità non solo di etica del lavoro, ma in generale di messaggi positivi, ed escludendo la visibilità meramente sportiva, diventa a livello di high school una formidabile arma per mobilitare la comunità ad esempio per eventi di beneficenza, ma anche solo per pubblicizzare altri programmi sportivi ed iniziative della medesima scuola, facendo partecipare i ragazzoni del football come una sorta di guest star.
Non è infrequente infatti vedere i ragazzi delle locali squadre scolastiche fare del volontariato sociale, andare nelle scuole elementari ad incontrare i bambini ed in generale diventare dei testimonial per cause positive, grazie alla loro esperienza di sacrificio per ottenere grandi risultati sul campo. Il lavoro “volontario” dei giocatori della squadra, permette così di ribadire il legame con la comunità che li sostiene e da loro ottiene impegno, sia sul campo che fuori.
Fine Prima Parte
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Si vede la mano del Gianni Tormenta è inutile!!
Hai perfettamente ragione, il concetto che ho espresso è sbagliato, bisognava fare riferimento non ai “drive” ma ai singoli down, una partita di football è più spezzettata in quel senso