Baker Mayfield, da Austin all’Heisman Trophy

Qualche anno fa decisi di investire una manciata di euro nell’abbonamento di Sport Illustrated, la più importante rivista sportiva americana. Era il 2015 e da lì a qualche giorno, proprio come oggi, sarebbe iniziata la “stagione dei Bowl”, senza discussione il miglior periodo sportivo dell’anno, almeno per quanto mi riguarda. In sostanza una o più partite di college football al giorno fino alla finale nazionale, per l’incontenibile gioia di noi appassionati che come animali prossimi al letargo ci abbuffiamo di tutto quello che è sferoide prolato universitario, poco importa quale sia il valore della partita, comunque sempre un Bowl, a cui stiamo assistendo. Il college football è materia imprevedibile e spesso da sfide improbabili escono gli spettacoli più entusiasmanti.

In quel numero di SI trovai una bellissima intervista a Baker Mayfield, allora rising star nel panorama del college football, che raccontava il percorso diversamente lineare che lo aveva visto protagonista: dal premio di “offensive freshman of the year” della Big12, arrivato nonostante l’infortunio dopo solo 8 partite alla guida dei Red Raiders, fino alla decisione di inseguire il proprio sogno e presentarsi alla corte di Bob Stopps, incurante del fatto che Trevor Knight avesse appena finito di asfaltare Alabama allo Sugar Bowl.

Mayfield-2015
Baker Mayfield contro Akron nel 2015

A due anni di distanza Mayfield, grazie alle mattanze sul gridiron (ma anche fuori dallo stesso) è il nome sulla bocca di tutti, e non e solo per aver vinto l’Heisman Thropy, il premio che viene assegnato al miglior giocatore universitario e che l’ha visto precedere Lamar Jackson, vincitore nel 2016, e Bryce Love, autore di una stagione clamorosa a Stanford. Il nativo di Austin, in questo 2017, ha guidato i Sooners alla seconda semifinale nazionale in tre anni, nonostante la sorprendente decisione di Bob Stoops di lasciare dopo 18 anni la sideline di OU a Lincon Riley, uno che a guardarlo penseresti sia appena uscito dalla serie di Dawson Creek e che invece ha saputo gestire una trasizione tutt’altro che banale, oltre che alla perdita (inevitabile) di alcuni giocatori, vedi Dede Westbrook, che avevano contribuito in modo sostanziale alle fortune della happy offense di scena a Norman. Poco aiuto è arrivato anche da una difesa che ha chiuso al 61° posto della graduatoria nazionale e che raramente è riuscita a rallentare le offensive avversarie, costringendo Mayfield agli straordinari su base settimanale.

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Tutto questo non è bastato a rallentare l’ascesa dei Sooners, capaci di riprendersi dalla sconfitta inaspettata con Iowa State mettendo in fila, una dopo l’altra, le avversarie più pericolose della BIG12, e andando poi a vincere il primo BIG12 Championship game dal 2010 contro TCU, un nome che tornerà spesso nella nostra storia, assicurandosi così il pass per le “final4″.

Ho provato a ripercorrere la sua storia e per farlo, in rigoroso ordine alfabetico, ho scelto parole, luoghi o aggettivi che mi potessero aiutare a ricostruire la genesi di quello che Jack Dickey ha recentemente definito “The Baker Mayfield Show”

AUSTIN, TEXAS

Un particolare che viene spesso sottovalutato ma che ci racconta molto del carattere di Mayfield è proprio la sua città d’origine… Born and Raised in Austin, Texas, sede dei Longhorns, Mayfield si è sempre dichiarato tifoso di OU, ed è stato cresciuto a pane&sooners da papà James e mamma Gina che percorrendo le 400 miglia della i35 raggiungevano Norman, sede dell’università dell’Oklahoma, e portavano un giovane Baker ad ammirare il team di Bob Stoops. Sorvolando sugli anni “complicati” che possiamo immaginare abbia passato da giovane adolescente tifoso dei sooner in terra texana “For a kid, that was just about as hostile as it can get,” e che in qualche modo lo abbiano forgiato, il sogno d Mayfield, dopo aver vinto il titolo statale con la Lake Travis High School non è mai stato quella di giocare per l’università della sua città ma piuttosto di approdare alla vicina TCU. Gli  Horned Frogs fanno capire però, senza troppi giri di parole, che non c’è posto per lui in quella squadra, arrivano a sostenere di non voler utilizzare una scolarship per un QB anche se pochi giorni dopo arriverà il committment di un ex rivale a livello liceale di Mayfiled: “I  was pretty insulted”. Baker decide allora di virare sulla vicina Lubbok, sede di Texas Tech, dove arriva da walk-on ed in pochi mesi si conquista la fiducia di Kingsbury ed il posto da titolare.

Mayfield Texas Tech
Baker Mayfield a Texas Tech

CONNECTION

Come in tutte le storie di sport americano che si rispettino non possono mancare le connection, le conoscenze, quelle che, nella nostra storia, portano un nativo di Austin a tifare Sooners e, qualche anno più tardi, a guidarli a due semifinali nazionali da capitano oltre che leader tecnico ed emotivo. Il campanello a cui dobbiamo suonare è quello di Charlie Sadler, compagno di squadra di papà James ai tempi della Carrollton HS (Texas) e poi coach della OL dei Sooners di Switzer negli anni 80. E’ nell’amicizia tra i due e dai frequenti spostamenti sulla I35 per raggiungere Norman che inizia quel legame tra l’università dell’Oklahoma e la famiglia Mayfield e che lo convincerà a lasciare Tech per Oklahoma, diventando il “traditore”

CONTROLLED RECKLESSNESS (black list)

Leggenda vuole che Baker si appunti ogni singolo nome. Università, Coach, Giocatori, Hater, Chiunque. Sapete perché Mayfield scelse Tech dopo il rifiuto di TCU? Per poterci giocare contro, anche se poi la prima contro gli Horned Frogs si risolse sì in una W dei Red Raiders ma con una prestazione “rivedibile” del nostro (21/40 3 INT). Su quella stessa lista ci sono finiti poi anche proprio quelli di Tech a cui Baker non ha mai risparmiato la consueta pioggia di bomboloni su base annuale e la maglia traditore al suo primo ritorno a Bullock. E’ un particolare ma che ben descrive il modo in cui vive la competizione il prodotto della Lake Rivers HS, con passione, energia o come l’ha definita Stoop stesso “controlled reclessness”, e di come faccia a trovare le motivazioni per ogni singola partita, anche quando non ci dovrebbero essere.

“That’s the way he paly the game, seeking not just to win, but to dominate”

Se è più facile giustificare le emozioni dopo una vittoria a Columbus e comprendere la bandiera conficcata nel mezzo della “O”, guardate quello che è successo contro i Jayhawks in una delle ultime partite di regular season, squadra senza talento ed incapace di poter impensierire i Sooners, e capirete di cosa sto parlando. E’ il suo modo di stare in campo, di giocare, come se dovesse sempre dimostrare qualcosa a qualcuno.

Inevitabilmente ci sono gli eccessi, anche fuori dal campo, che sono quelli che portano molti a dubitare ogni volta che sia il giocatore su cui puntare ma di cui Mayfield, paradossalmente, ha bisogno per trovare ulteriori stimoli. E non potrebbe essere diversamente. Lo racconta la sua storia, lo raccontano i suoi successi recenti che lo hanno portato a diventare il leader incontrastato di una delle formazioni più importanti della nazione, voluto e riconosciuto dai propri compagni che dopo la sospensione (parziale) nell’ultima partita in casa contro West Virginia, l’ultima della carriera a Norman per Mayfield, e la rimozione (temporanea) dei titoli di capitano si sono presentati al coin-toss con in mano la maglia numero #6

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WALK ON

Sono i giocatori che arrivano senza borsa di studio o, sarebbe meglio dire, degli studenti con aspirazioni di “fare la squadra”. Il più famoso, e di cui anche i miscredenti potrebbero aver sentito parlare, è Rudy. Se vogliamo alzare l’asticella il nome giusto è quello di Mark Titus, fondatore del Club Trillion e autentico personaggio di culto nei suoi quattro anni ad Ohio State, oggi rispettatissima bic per The Ringer in materia di college basket. Nonostante il poco interesse Mayfiled aveva ricevuto delle offerte da università della power 5 ma decise, anche sotto la pressione dei genitori che non lo avrebbero voluto troppo lontano da casa, di presentarsi da semplice studente a Lubbock. La storia si ripeté 12 mesi più tardi quando Mayfield, che dopo l’infortunio sentiva di aver perso quel feeling con Kingsbury che gli aveva invece permesso di brillare nelle prime otto partite della stagione, decise di fare le valige per inseguire e di trasferirsi nuovamente. Arrivò a Norman nella noncuranza più assoluta tanto che lo stesso Stopps ammise, qualche anno dopo, di non avere idea di chi fosse o di cosa aspettarsi.

Il resto è storia recente: il primo anno lo passa nella practice-squad poi, nel 2015, gli vengono affidate le redini della squadra ed ha inizio la parabola ascendente che ha raggiunto il suo culmine con la vittoria dell’Heisman, ovviamente primo walk-on della storia a riuscire nell’impresa.

Mayfield 2016
Baker Mayfield nel 2016

HEISMAN TROPHY

Era già tra i possibili candidati nel 2015, lo ha vinto in questo 2017 nonostante una stagione irreale da parte di Lamar Jackson che ha chiuso con numeri superiori al 2016 quando il premio lo vinse, circostanza che ha fatto storcere il naso a più di qualche esperto che avrebbe voluto la doppietta del prodotto di Louisville. Gli altri dubbi erano relativi ai pluri-citati comportamenti “rivedibili” che dovrebbero avere un peso nell’assegnazione di un premio che, nelle intenzioni, guarda con attenzione anche all’aspetto accademico di un atleta. Detto che basta andare a leggere la lista dei vincitori dell’Heisman per accorgersi che il lato sportivo è sempre stato quello preponderante nelle valutazioni di chi vota (almeno se ci riferiamo alla storia recente del gioco) le statistiche di Jackson, a mio modo di vedere, rafforzano ancor di più, invece che indebolire, la posizione di Mayfield. Lamar è stato irreale ma non è riuscito ad andare oltre i limiti di un team che lo ha costretto a giocare quasi “solo contro tutti”. A giovarne sono stati soprattutto i suoi numeri ma non i risultati di squadra. Baker, anche grazie ad un supporting cast sicuramente migliore, non ha solo messo assieme cifre da fantascienza, ma ha permesso ai suoi Sooners di sovraperformare riuscendo a nascondere i limiti di una difesa priva di talento e arrivando a chiudere la RS con una sola sconfitta e al #2 della nazione.

Mayfield ha riceveuto un totale di 732 voti per la prima posizione, pari all’ 86% dei voti disponibili, terzo risultato di sempre dietro a Troy Smit (2006) e Marcus Mariota (2014), totalizzando 2398 punti, 1300 in più del secondo classificato Bryce Love e oltre 1600 rispetto a Lamar Jackson, classificatosi terzo.

Mayfield Heisman voti
Il risultato della votazione per l’Heisman Trophy
[quote font_style=”italic” arrow=”yes”]”This is unbelievable for me, being up here among these greats. It’s something that words can’t even describe. God has put me in this position that I’m so blessed, and a lot of times I wonder why. But it’s such an honor to be up here. It’s unbelievable.”[/quote]

UNDERSIZE

[quote font_style=”italic” arrow=”yes”]“Russell Wilson is the only NFL starting quarterback under 6 feet, and Drew Brees is the only NFL starting quarterback right at 6 feet.  I like Mayfield as a prospect, but the pre-draft process will be extremely important for him” – nfl scout –[/quote]

[quote font_style=”italic” arrow=”yes”]“On time TCU asked how big my hands were, in a sense that y hands were too small to grip a football… Well, I confirm that my hands have always been quite big enough to throw a football” – Baker Mayfield -[/quote]

[quote font_style=”italic” arrow=”yes”]“There is a competition during my junior year (a Travis Lake HS), coaches said i was too short and to slow “ – Baker Mayfield  -[/quote]

E si potrebbe andare avanti per ore. Ad ogni livello il dubbio che fosse troppo basso, troppo lento, che non avesse le qualità per farcela sono emersi e puntualmente sono stati smentiti. All’high school, dove è poi diventato campione statale; al college, dove TCU l’ha sedotto per poi rifiutarlo e condannandosi ad anni di batoste, incluse quelle più recenti che sono costate agli Horned Frogs un posto nella top 4 prima e il titolo di Conference dopo; ora in prospettiva NFL dove le misure di Mayfield rischiano di oscurare quello che ha dimostrato di poter fare sul gridiron.

Qualcuno ha avanzato anche dei dubbi sul carattere del ragazzo sostenendo, senza troppi giri di parole, che nella lega pro certi tipi di comportamenti non sono ben visti e non sarebbero accettati (are u kidding me?!). I paragoni, più per le misure che per altro, sono quelli con Brees, che però mi sembra un giocatore molto diverso, e quello con Russell Wilson che Mayfield ricorda in molte cose al di là dell’altezza. Recentemente qualcuno ha avanzato anche un paragone diverso, e che personalmente trovo molto calzante ed è quello con Brett Favre, giocatore che Baker ricorda soprattutto per il modo di stare in campo oltre che per la totale mancanza di coscienza in certe situazioni. Si avvicinasse anche solo alla carriera di uno di questi tre ci sarebbe da essere felici visto che stiamo parlando di tre Hall of Famer presenti o futuri ma molto dipenderà da dove finirà, in che contesto e con quali prospettive.

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La base di partenza però sembra essere decisamente buona e come ho già avuto modo di ripetere più volte in questa stagione durante SCUSATE IL COLLEGE FOOTBALL, “con Mayfield dalla tua parte hai sempre la sensazione che possa accadere qualcosa di positivo”. Gli scout, nonostante le cifre, i premi e quanto mostrato restano molto dubbiosi e è pensiero comune che il giro in cui verrà scelto, nell’ anno in cui dovrebbero uscire sia Rosen che Darnold, dipenderà dai risultati del combine… Mi immagino Baker prendere il cellulare ed aggiornare la propria lista, sorridere, pronto a smentire tutti, ancora una volta.

Il meglio di Baker Mayfield in questa stagione

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Andrea Ghezzi

Padre di Mattia e Lorenzo, Marito di Silvia, Fratello di Zoe (Franci ti voglio bene). Scrivo (poco) e parlo (tantissimo) di Football, anche italiano. Direttore di The Cutting Edge credo solo a tre cose: #mattanza #badaun e #bomboloni.

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