Nel bene e nel male: Lawrence Taylor (seconda parte)

Nel giorno del Super Bowl LI vi presentiamo la seconda parte della storia di Lawrence Taylor. La prima parte la trovate QUI.

La notte che cambiò il gioco

I Giants del 1985 cominciavano a prendere in tutto e per tutto la forma di una squadra di Parcells. Sostanza, solidità, opportunismo, pochi fronzoli. Controllo della palla e dell’orologio in attacco, difesa che vinceva le partite come da proverbio.
Lunedì 18 novembre 1985 i Giants andavano a far visita ai Redskins al RFK Stadium. Monday Night Football, diretta televisiva in tutto il paese.

Una fase di quella partita sarebbe stata eternata addirittura nei primi fotogrammi in un film uscito nel 2009, a ventiquattro anni di distanza da quegli istanti drammatici.
Una voce femminile (Sandra Bullock) commenta i frame di una azione, secondo per secondo.
Questa azione cambiò la percezione dell’importanza della pass protection nel football moderno e portò alla luce il concetto di lato cieco (The Blind Side è il titolo del film).

ATTENZIONE: il trailer che segue contiene immagini esplicite…

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[clear]

One Mississippi
Joe Theismann, quarterback dei Redskins, prende lo snap e dà la palla al suo running back.

Two Mississippi
E’ un gioco a sorpresa, una flea flicker: il runner lancia la palla indietro al quarterback.

Three Mississippi
Fino a questo momento il gioco è stato definito sulla base di quello che il quarterback può vedere.
Tra poco verrà definito sulla base di quello che non può vedere.

Four Mississippi
Lawrence Taylor è il miglior giocatore difensivo della NFL. Lo è stato dal momento in cui ha messo piede in campo nel suo anno da rookie. Sta per cambiare il gioco del football per come lo conoscevamo fino a quel momento.

[voce del commentatore] Rivediamo ancora dall’altra angolazione. Se siete deboli di stomaco vi suggerisco di non guardare.

Il leggendario Joe Theismann non ha mai più messo piede su un campo da football.

Cosa era successo?

Joe Theismann, ricevuta la palla indietro da Riggins, stava per lanciare. Di fronte a lui Harry Carson superava il blocco del centro Jeff Bostic e partiva a caccia del quarterback. Alla sua sinistra, non visto, arrivava Lawrence Taylor che in quel gioco aveva battuto in velocità sia il tackle Joe Jacoby che il tight end Clint Didier. Theismann provò a evitare Carson avanzando, ma non poteva vedere Taylor che a piena velocità gli si abbatteva addosso. Poteva sembrare l’ennesima azione di successo del miglior edge rusher della lega in quegli ultimi anni, ma qualcosa andò diversamente. La gamba destra di Theismann rimase incastrata sotto il ginocchio di Taylor. Un rumore secco, due. Tibia e perone del povero Theismann spezzati, la scena orrenda della gamba piegata in più punti in modo assolutamente innaturale, con tutti i giocatori in preda al panico. Paradossalmente il più lucido in quel momento fu proprio Theismann, che ricordò

Provai un dolore incredibile. Le ossa si spezzarono come grissini. Ma per fortuna il corpo umano è una macchina meravigliosa. Un istante dopo il dolore non avvertii più nulla sotto il ginocchio. Le endorfine stavano facendo il loro lavoro, non sentivo più male

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L’infortunio che chiuse la carriera di Joe Theismann

Lo stesso Taylor capì subito cosa era successo al suo avversario. In campo era un giocatore talmente dominante che non aveva bisogno di ribadire la propria presenza con una condotta intimidatoria. Già il fatto di vederselo lì, in piedi, di fronte al tackle di sinistra intimoriva a sufficienza il resto della NFL. Ebbe una reazione genuina, istintiva. Come avrebbe ricordato Theismann in seguito, Taylor si mise a urlare quasi disperato per fare accorrere i medici in campo e lui stesso ammise di non avere avuto il coraggio di girarsi per vedere le condizioni del suo avversario e non volle mai rivedere quelle immagini in televisione. Theismann difese sempre la condotta di Taylor, affermando lui stesso che purtroppo nel football poteva succedere anche questo e che in passato, se solo avesse voluto, Taylor avrebbe potuto fargli praticamente di tutto poichè le due squadre si fronteggiavano due volte ogni campionato.

Quei pochi drammatici secondi ebbero due conseguenze non reversibili: per prima cosa, si concluse la carriera di Joe Theismann, un gran quarterback ancora nel pieno della sua maturità che aveva da poco partecipato a due Super Bowl consecutivi vincendone uno.
La seconda conseguenza fu quella che veniva esposta poco dopo nel film citato:

Tutti voi potreste pensare che di solito il giocatore più pagato di una squadra sia il quarterback, e avreste ragione. Quello che potreste non sapere è che molto spesso il secondo giocatore più costoso, grazie a Lawrence Taylor, è il tackle di sinistra.
Questo perchè, come ogni brava casalinga sa bene, il primo assegno che staccate è quello del mutuo, ma il secondo è quello dell’assicurazione.

(The Blind Side)

Ogni capo allenatore arrivò a capire, con un brivido, che quell’incidente poteva accadere anche al suo quarterback: da quel momento in poi il tackle sinistro, quello schierato sul lato cieco del QB, non poteva non essere il miglior bloccatore della squadra. Nessuno poteva permettersi di finire in quel modo una partita contro i Giants di Lawrence Taylor.

Millenovecentottantasei: l’anno del trionfo

Come prima accennato, Parcells e il general manager George Young avevano lavorato bene negli ultimi anni, scegliendo bene a partire da Phil Simms e Lawrence Taylor e aggiungendo via via sempre giocatori di buon livello, sia nelle linee che nelle cosiddette skill position, come l’ottimo tight end Mark Bavaro da Notre Dame, selezionato nel 1985. La squadra era pronta davvero: Joe Morris poteva avvalersi di una buonissima linea offensiva (su tutti il centro Bart Oates e il left tackle Brad Benson) nonchè del fullback Maurice Carthon (ex Generals). Simms non era più al centro delle controversy degli anni precedenti: lui era titolare e il giovane Jeff Hostetler era il backup (e che backup…). Bobby Johnson, Lionel Manuel e Stacy Robinson erano ricevitori affidabili anche se non esplosivi. La difesa aveva il potenziale per succedere a quella dei Chicago Bears sul trono di migliore unit della lega: l’arcinoto gruppo di linebacker era stato arricchito dalla prima scelta Carl Banks, outside linebacker che rimpiazzò il veterano Van Pelt. Una linea solida, con i veterani Jim Burt, Leonard Marshall e George Martin e con quel livello di pressione sulla tasca i defensive back Collins, Williams, Hill e Kinard misero a frutto le proprie doti al meglio, visto il quantitativo di intercetti e turnover a favore.

Una regular season da rullo compressore, terminata con un eloquente record di 14-2. La difesa concesse la miseria di 14.8 punti a partita. Lawrence Taylor mise a segno 20.5 sack (solo Michael Strahan e J.J. Watt sarebbero riusciti a superare i 20 sack in una stagione) e per la prima volta un difensore venne eletto Most Valuable Player della NFL, addirittura con voto unanime.

La squadra del New Jersey era chiaramente la favorita della NFC e il cammino nei playoff tenne fede al pronostico.
Annientati i San Francisco 49ers con un 49-3 irriverente, in una partita sintetizzabile dall’azione in cui Montana venne livellato a terra dal NT Jim Burt e il lancio venne intercettato da Lawrence Taylor, che anticipò tale Jerry Rice e riportò in TD per 49 yard (scherzi dei numeri…).
Il Championship contro i Redskins venne liquidato quasi come una ordinaria giornata lavorativa, chiudendo la partita sul 17-0. I Giants arrivarono al Super Bowl di Pasadena avendo subito la miseria di un solo field goal in due incontri di playoff. Dall’altra parte del tabellone si affacciavano i Denver Broncos di John Elway, reduci dall’epica vittoria in overtime contro i Browns a Cleveland, dopo che Elway aveva guadagnato 98 yard negli ultimi minuti del Q4 per portare la partita ai supplementari, con la serie offensiva consegnata alla leggenda con il nome di The Drive.

L’incontro tutto sommato non era difficile da pronosticare. Una squadra senza punti deboli contro un’altra legata in tutto e per tutto alla prestazione del suo magnifico quarterback. Ma i Broncos non potevano reggere il confronto in molti aspetti del gioco: il loro gioco sulla terra era discutibile quando non irrilevante, e la pur buona offensive line avrebbe avuto le mani piene per tutto il pomeriggio con Taylor e soci, perchè era chiaro che i Broncos avrebbero avuto qualche possibilità se e solo se John Elway fosse stato in condizione di giocare con una pressione gestibile.

E secondo previsione, i Broncos rimasero in partita finchè la difesa dei Giants lo ritenne necessario. All’inizio del q2, con Denver sopra 10-7, la difesa cominciò a cambiare l’inerzia dell’incontro quando Elway, scrambler supremo, venne fermato da Lawrence Taylor sulla linea delle tre yard, costringendo Denver ad accontentarsi di un field goal, addirittura calciato largo da Rich Karlis, il kicker a piedi nudi.

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Super Bowl XXI: Taylor nega il TD a John Elway (Getty Images)

Il primo tempo si chiuse sul 10-9 per i Broncos. Nel secondo tempo ci fu un vero e proprio massacro, perchè l’attacco dei Giants cominciò a giocare a livello della propria difesa e Phil Simms chiuse la serata con la miglior prestazione fino ad allora per un QB in un Super Bowl, una delle migliori di sempre: 22 su 25, 289 yard e tre TD. Dei tre incompleti lanciati, in due casi furono i ricevitori a far cadere la palla, ricordava un estasiato Bill Parcells.

Phil Simms, MVP del Super Bowl XXI

Primo Super Bowl vinto dai Giants, con Simms inevitabile MVP dell’incontro. Nel momento del trionfo, forse in Taylor prevalse l’istinto del combattente che era. Dopo la partita, commentò quasi amaramente

Quando era finita e tutti erano così entusiasti, proprio in quel momento cominciai a sentire un senso di vuoto. Avevo avuto ogni riconoscimento possibile, era stata nettamente la mia stagione migliore, avevo finalmente vinto un Super Bowl. Ero sul tetto del mondo, no? Così cosa poteva esserci dopo di questo? Il nulla. Il senso dell’emozione è la lotta per arrivare in cima. Ogni giorno costruisci qualcosa e il tuo entusiasmo cresce sempre di più, e quando finalmente sei arrivato, la partita termina…
E poi?
Nulla.

Gli anni della maturità e il secondo titolo

Nella stagione successiva i Giants non erano più la macchina da guerra che aveva appena vinto il titolo, semplicemente perchè a causa dello sciopero dei giocatori il personale in campo era quello che era. Con una scelta discutibile, Taylor decise di non aderire allo sciopero dicendo prosaicamente

I Giants perdono le partite e io perderei sessantamila dollari a settimana

Lawrence Taylor “a caccia”

Nel 1987 e nel 1988 Taylor risultò due volte positivo per l’uso di cocaina. Il primo test fallito venne tenuto riservato, ma al secondo test la NFL decise quattro partite di fermo per LT. Il suo rendimento in campo tuttavia non aveva flessioni, anzi. La stagione sarebbe stata ricordata per una delle partite più incredibili della sua carriera, quando giocò con uno strappo ai pettorali contro i Saints, e in panchina dovevano sistemargli costantemente le fasciature. Taylor era veramente segnato dai dolori e in una giornata no per l’attacco vinse l’incontro quasi da solo con sette placcaggi, tre sack e due fumble provocati in una giornata in cui forse non doveva neppure continuare a giocare in quelle condizioni. Qualche settimana dopo contro i Philadelphia Eagles gli assistenti allenatori arrivarono al punto di dovergli nascondere il casco per evitare che entrasse in campo infortunato. La sua carriera andava avanti tra prestazioni spesso oltre la soglia della leggenda, alternate a comportamenti fuori dal campo almeno discutibili.

Prima della stagione 1990, Taylor passò un periodo in holdout chiedendo un adeguamento salariale sui due milioni di dollari annui. Tra multe e trattative in stallo, giocatore e squadra si accordarono su un triennale di cinque milioni di dollari e Taylor in quel momento divenne il difensore più pagato dell’intera NFL. Risolta la questione contrattuale con il loro giocatore più forte e rappresentativo, i Giants nel 1990 erano una squadra veramente solida e nonostante un infortunio che chiuse la stagione di Phil Simms poco oltre la metà del campionato, la squadra fu ben guidata da Jeff Hostetler e concluse la regular season con un robusto 13-3. Nei playoff i Giants eliminarono prima i Bears e poi andarono a vincere una partita durissima al Candlestick Park contro i Niners. Senza segnare neppure un touchdown i Giants conquistarono l’accesso al Super Bowl del Silver Anniversary battendo i californiani per 15-13, con l’ultimo field goal propiziato da un fumble ricoperto da Taylor.

Preceduto dalla leggendaria esecuzione di Star Spangled Banner di Whitney Houston, Il Super Bowl XXV di Tampa fu uno dei più entusiasmanti mai giocati, due squadre diametralmente opposte si fronteggiarono in un incontro privo di errori praticamente fino alla fine. I Buffalo Bills, che vivevano sui big play grazie al loro attacco stellare guidato da Jim Kelly e i Giants, che privi del loro quarterback titolare dovevano necessariamente giocare un football più tradizionale sfruttando al massimo le ultime riserve del runner veterano OJ Anderson: a big guy running behind bigger guys blocking, avrebbe detto John Madden. La difesa dei Giants, dati per sfavoriti per lo strapotere offensivo dei Bills, riuscì per tutta la partita a limitare i danni della no huddle offense di Kelly, concedendo in tutto e per tutto un big play nel primo quarto (completo di 66 yard per James Lofton) e uno nell’ultimo quarto, la spettacolare corsa di 31 yard di Thurman Thomas conclusa in end zone. L’incontro si decise con il tentativo di field goal mandato largo da Scott Norwood dalle 47 yard a tre secondi dalla fine. I Giants vinsero il loro secondo titolo in cinque anni battendo i Bills per 20-19, dopo aver gestito palla e cronometro per quaranta dei sessanta minuti di gioco.

Super Bowl XXV: Lawrence Taylor e Jim Kelly

Il declino di una leggenda

Dopo il secondo titolo Bill Parcells, che era stato molto più di un mentore per Taylor, decise che la sua carriera ai Giants era finita. Taylor non si trovò a suo agio con il nuovo allenatore Ray Hendley e anche il suo rendimento ne risentì, tanto che per la prima volta non riuscì ad essere convocato per il Pro Bowl. Nel 1992 riprese effettivamente a giocare ai suoi livelli, ma la sua stagione venne interrotta a metà a seguito della rottura del tendine di Achille. In quel periodo la volontà del giocatore non era chiara, passava dall’idea del ritiro a quella di un rinnovo a lungo termine. Taylor volle rientrare nel 1993, favorevolmente impressionato dall’arrivo del nuovo capo allenatore, il grande Dan Reeves che riuscì a guidare i Giants ai playoff anche grazie, ovviamente, alla difesa meno battuta della NFL. Ma il 15 gennaio 1994 i Fortyniners restituirono ai G-Men la lezione di qualche anno prima, eliminando la squadra di New York con un perentorio 44-3. Alla fine dell’incontro tutte le telecamere stavano cercando un solo giocatore, ma non era nè Steve Young, nè Jerry Rice: era il grande guerriero con il numero 56, che usciva dal campo in lacrime per l’ultima volta: infatti pochi minuti dopo nella conferenza post partita Taylor annunciò a tutti, molto semplicemente:

Penso sia arrivato il momento di ritirarmi. Ho fatto tutto quello che potevo, ho vinto due Super Bowl, ho avuto dal gioco quello che altri prima di me non hanno avuto. Dopo tredici anni, è arrivato quel momento. Grazie

Due titoli, dieci convocazioni al Pro Bowl, otto volte All-Pro, un titolo di Most Valuable Player. Centotrentadue sack (centoquarantadue includendo la sua prima stagione in cui non andavano nelle statistiche), undici fumble ricoperti, nove intercetti con due ritorni in TD.
Ma non sono stati solo i numeri a definire la grandezza di questo giocatore, come vedremo alla fine del nostro racconto.

Dal lato cieco al lato oscuro

For me, crazy as it seems, there is a real relationship between wild, reckless abandon off the field and being that way on the field.
(Lawrence Taylor, 1987)

L’icona del giocatore perfetto che il mondo ritagliò su Taylor praticamente già nel suo anno da rookie non trovò un corrispettivo fuori dal campo. Lawrence Taylor non fu mai un esempio per quelli che aveva intorno. Problemi ricorrenti di ogni tipo, droga, incidenti, comportamenti che non sarebbero stati tollerati per nessun altro giocatore. Joe Morris arrivò ad affermare che Bill Parcells aveva due regolamenti interni,  uno per Taylor e uno per il resto della squadra. Parcells arrivò a capire meglio di tutti la personalità forte ma sostanzialmente negativa del suo fuoriclasse. Quando Taylor nei primi difficili anni criticava in campo il gioco dell’attacco, Parcells lo prendeva in disparte e lo calmava. Se ci provava Simms, il coach lo zittiva malamente e subito davanti a tutti, compagni e telecamere. Taylor ammise ricorrenti problemi di droga e alcool sin dal suo primo anno nei professionisti, e come prima accennato venne anche sospeso dopo esser risultato positivo per la seconda volta alla cocaina. Anni dopo Taylor affermò che molto spesso i campioni di urina venivano scambiati perchè lui raramente era pulitoTra incidenti di varia natura, allenatori e manager dei Giants avevano fondati timori che il giovane eroe maledetto difficilmente avrebbe superato da vivo la soglia dei trent’anni, vista l’esistenza costantemente al limite che conduceva. Gli aneddoti poco edificanti si sprecano. Più volte la sua prima moglie, madre dei suoi tre figli, andava a riprenderlo in case di spacciatori, strafatto. Quando non spendeva soldi in droga, Taylor aveva la goliardica consuetudine di mandare escort negli alberghi della squadra avversaria, con l’ovvio incarico di toglier loro un po’ di energie. Una volta si presentò al campo degli allenamenti in manette, perchè le professioniste con cui si stava intrattenendo avevano perso la chiave delle stesse…

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Dopo la fine della sua carriera, Taylor riprese sistematicamente ad abusare di droghe e narcotici, arrivando ad essere arrestato per aver cercato di acquistare cocaina da una poliziotta in incognito. Più volte sottoposto a programmi di disintossicazione e di reinserimento, riuscì a stare pulito solo per una decina d’anni, come ammise in lacrime in una intervista. Altro episodio poco edificante fu la storia che lo vide protagonista di induzione alla prostituzione di una sedicenne, anche se nello specifico non venne accusato di violenza. Alcune sue attività economiche fallirono e Taylor venne spesso truffato da persone alle quali aveva dato fiducia.

Considerazioni e conclusioni

Abbiamo dunque visto l’esistenza di due Lawrence Taylor. In campo un giocatore da sogno, fuori dal campo una persona incapace di governarsi, una persona che in quel periodo poteva ben ricordare le vicende di un Mike Tyson piuttosto che di un Maradona.

Lawrence Taylor, Keith Hernandez e Mike Tyson

Dare un giudizio sulla persona è un compito sempre gravoso. Non conosciamo tante cose, non conosciamo le motivazioni, le eventuali compagnie sbagliate e non abbiamo molte informazioni sul contesto. Ma non possiamo nasconderci dietro un dito: Lawrence Taylor non è mai stato un modello e il personaggio del linebacker tossicodipendente e libertino che interpretò nel film Any Given Sunday era un buon clone. Fuori dal campo di gioco Taylor è sicuramente stato un tipo da non imitare e lui per primo lo ha ammesso, senza cercare di ottenerne giustificazioni o empatie di qualsiasi tipo. Fuori dal campo ne ha fatte davvero troppe e forse per la sua fama non è stato corretto in tempo e ha perseverato nella propria condotta scellerata.

Chiudiamo quindi la nostra storia rendendo omaggio a quello che Lawrence Taylor ha rappresentato quando indossava la sua maglia n.56, ovviamente ritirata dai New York Giants.

I Giants del primo titolo furono un vero e proprio capolavoro di Bill Parcells, che riuscì ad armonizzare il mercuriale linebacker con il resto della squadra, specie con Phil Simms che non lo amava, eufemisticamente. I due cominciarono a rispettarsi e nel tempo divennero buoni amici. Simms ne diede prova quando lo chiamò a ricevere il suo ultimo passaggio davanti al pubblico del Giants Stadium in quella calda serata del settembre 1995. Taylor raccontò, tra il commosso e il divertito…

Ero in giacca, camicia e pantaloni, avevo ai piedi un paio di mocassini impossibili, avevo in corpo qualche birra di troppo, almeno. Quando Phil disse che voleva fare l’ultimo lancio per me, corsi per una decina di yard e mi voltai per ricevere, ma lui mi fece segno di andare in profondità. Io avevo il terrore di cadere o di non riuscire a ricevere il suo lancio, perchè in quel caso non so quanto lontano avrei dovuto portare il mio grosso culo nero. Ma lui fu perfetto e io riuscii a non fare figuracce

Il giocatore era un’altra cosa, come abbiamo visto. Nel corso di una carriera irripetibile, Lawrence Taylor ha rovinato qualche decina di reputazioni di onesti offensive tackle e ha mandato in analisi metà degli offensive coordinator della lega. In giornata di grazia, era manifestamente ingiocabile per chiunque e forse era uno di quei giocatori in grado di prendere in mano da solo una partita. E’ stato il giocatore che ha cambiato irreversibilmente gli schemi di protezione del QB sui lanci e si può affermare che il suo ingresso nella NFL è stato l’anno zero della pass protection, perchè Taylor ne riscrisse le regole a forza di sack. Terrorizzò ogni domenica l’attacco avversario per più di una decina d’anni e cambiò la percezione del pass rusher da giocatore che reagiva allo svolgimento dell’azione a giocatore che determinava l’azione stessa, visti i danni che era in grado di fare. Non serve nemmeno citare l’introduzione nella Hall of Fame nel 1999, al primo anno utile per l’eleggibilità, come non serve ricordare che Taylor è al numero 3 della lista dei 100 migliori giocatori di tutti i tempi, dietro a Jerry Rice e a Jim Brown, primo difensore in assoluto.

Lawrence Taylor con il figlio Lawrence Jr a Canton

Concludiamo con il dato che, oltre tutte le idiosincrasie di un personaggio così complesso, resta lì a descriverne la grandezza.

Perchè a valle di tutto, se chiedete agli addetti ai lavori quale è il più forte difensore che loro abbiano mai visto in campo, la risposta sarà sempre ed ovviamente quella: Lawrence Julius Taylor, linebacker numero 56 dei New York Giants.

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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