Il libro di Peyton Manning: nuovo quarterback dei Denver Broncos

Cos’hanno in comune Joe Montana, Brett Favre e Peyton Manning? Sono tutti e tre cresciuti professionalmente in una squadra per poi cambiarla verso la fine della carriera. Hanno vinto tutti e tre con la loro franchigia originale e tutti e tre hanno portato la seconda ai Playoff.
Manning diverrà l’unico dei tre, però, a raggiungere il Super Bowl con due squadre differenti. Ma ciò che rende speciale il numero 18 al confronto con gli altri è la ragione per cui lui è riuscito ad arrivare fino in fondo. A illustrarcela c’è un insospettabile, che veste i panni del nemico ma che in realtà è l’ennesimo ammiratore di Manning: Bill Belichick.

L’allenatore capo dei New England Patriots parla il 2 ottobre 2012, dopo che Peyton ha giocato solo quattro partite in maglia Broncos.

“Per me è esattamente lo stesso, il modo in cui gioca Denver è identico a quello in cui giocava Indianapolis”

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Quindi Peyton Manning è andato a Denver, ha portato Brandon Stokley e Jacob Tamme e ha installato un attacco che è uguale a ciò che per quattordici anni ha diretto a Indy. Questo è ciò che John Elway ha acquisito: un giocatore che in realtà fa anche l’offensive coordinator.
Dopo quella partita a Foxborough (persa) i Broncos sono 2-3, non granché. Vinceranno quindi 11 partite consecutive, segnando 30 punti per 9 volte, domineranno la AFC West, raggiungendo i Playoff da numero 1 del seed in AFC e con il marchio di favoriti per la vittoria finale.

In quello che verrà ricordato come il Mile High Miracle, i Baltimore Ravens riescono a sconfiggerli. I -10°C ricordano a Peyton che non è più al caldino del Lucas Oil Stadium, e per l’ennesima volta le circostanze lo penalizzano. Su entrambi gli intercetti lanciati, infatti, decisive sono le amnesie di Eric Decker e di Stokley, suoi ricevitori.
Ma poi, come aveva detto Ray Lewis alla fine del precedente turno di Wild Card proprio contro Indianapolis:

“Ci davano per sfavoriti? Questo è ciò che dicono le persone, Dio ha piani differenti!”

E i piani di Dio prevedevano di far vincere il Vince Lombardi Trophy ai Ravens, evidentemente.

La decisiva ricezione di Jacoby Jones: le secondarie non aiutarono la causa dei Denver Broncos
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Per l’ottava volta Peyton esce dai Playoff senza vincere una partita. È in questa occasione che il “paradosso Manninghiano” raggiunge il suo apice. Le ragioni per cui questo giocatore possa passare da una franchigia all’altra, portarla a un record pazzesco in regular season al primo anno e poi perdere alla primissima occasione di raggiungere l’eccellenza rimarrà sempre un mistero.
Un enigma che si infittisce in modo gargantuesco durante la stagione successiva, quella 2013, dove il meglio e il peggio si scontrano propagando incertezza nella storia del football.

L’anno dei record

In estate Elway fa firmare un contratto a Wes Welker. Lo stesso Welker che è uno dei principali protagonisti della carriera di Tom Brady, quello che va colpito sul corto per poi guadagnare yard in un secondo momento. Toglierlo ai Patriots non è però l’unica intenzione dei Broncos.

In un allenamento riportato con dovizia di particolari da un giornalista di ESPN c’è tutto il Manning crepuscolare. Finita la sessione il 18 rimane con Montee Ball, runningback matricola, e proprio Welker. Fa finta di essere un linebacker e spiega a Ball quando deve tagliare verso il centro, senza che Welker li possa vedere; poi chiama l’ex New England e gli dice di fare lui il linebacker, mentre Ball prova il movimento. Appena il giovane corridore cambia traiettoria, la palla gli arriva tra i numeri. In questo modo sia Ball che Welker imparano quella traccia.
Che Manning fosse una specie di maniaco ossessivo si sapeva, ma che potesse rinunciare a qualche passaggio sul profondo per aumentare le possibilità di successo sorprende. A 37 anni sa esattamente cosa faranno i compagni e gli avversari, dove può rendere e dove non riesce più a farlo. Accanto a sé ha un nuovo offensive coordinator molto intelligente, Adam Gase, che gli disegna addosso tre giochi che gli andranno a pennello.

Essi sono il tunnel screen, il now slant e il trips X-drag. Tutti questi hanno due caratteristiche: far lanciare Peyton sul corto e sfruttare al meglio le caratteristiche di Demaryius Thomas, ricevitore non immensamente veloce ma con il corpo del classico possession receiver e il primo passo di giocatori più minuti.
I risultati sono devastanti: alla prima partita della stagione 2013 i Ravens campioni del Mondo (ormai orfani di Ray Lewis) prendono sette touchdown su passaggio, Welker segna almeno un TD per le prime sei settimane e le yard ricevute da Thomas saranno 1430 (con 14 TD, il massimo nella storia dei Broncos). Passeggiando verso il quinto e ultimo titolo di MVP, Peyton segna 55 mete su passaggio eclissando il record di Tom Brady del 2007, la stagione quasi perfetta dei Patriots. Julius Thomas, giovane tight end, fa registrare i migliori numeri nel suo ruolo per Denver (superando Shannon Sharpe).
I Denver Broncos sono primi per yard in attacco, yard su passaggio, punti segnati e sack concessi, secondi per yard a giocata e terzi per efficienza offensiva sui terzi down. Sono talmente forti in attacco che ai Playoff questa volta non c’è storia: i Chargers e i Patriots si inchinano senza nemmeno potersi opporre.

Arriva il Super Bowl, davanti i Seattle Seahawks di quel ragazzino che poi ringrazierà Peyton per essere stato grossa fonte d’ispirazione. Ancora una volta i favori del pronostico sono per i Broncos: Seattle ha una gran difesa, ma sarà abbastanza per fermare la perfezione di una macchina offensiva mai vista? Nel dubbio l’opinione pubblica si schiera con Denver.
Il primo snap del 48esimo Super Bowl vola sopra la testa di Manning e viene ricoperto in End Zone dai Seahawks. Probabilmente è l’ultimo momento di equilibrio nella contesa. Finisce 43-8 a East Rutherford, in un raro Super Bowl giocato in un clima freddo. I Seahawks sono per la prima volta campioni del Mondo. Torna in auge il detto “l’attacco vende i biglietti ma la difesa vince le partite”, che come ogni frase fatta è sempre troppo abusato: il fatto è che i Seahawks sono una squadra, hanno fame, sono giovani. Dal niente sono arrivati a dominare il mondo del football. I Broncos sono un team creato in laboratorio, un progetto tecnico spaventoso che però manca di quell’ingrediente di “cuore” necessario per primeggiare.

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A fine partita Peyton Manning raggiunge la sala stampa stracolma di giornalisti di Denver. Con ognuno ha un rapporto di fiducia e sincerità, quindi dopo aver risposto alle domande scende dal podio per stringere le loro mani.
Chiede scusa: li ha delusi, ha costretto una città a sopportare un’umiliazione che non merita. Prende questa sconfitta sul personale, probabilmente molto più di quanto dovrebbe. Sa, forse, di aver gettato l’ultima grande occasione di concludere la sua carriera con più di un solo Super Bowl in bacheca.

I segni sul collo di Peyton Manning dopo le quattro operazioni
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L’anno del definitivo tramonto

Sembrava miracoloso il recupero di Manning: da infortunato a recordman NFL in tre anni. E anche nel 2014 il trend continua. Il 19 ottobre arriva quello che forse era il record più importante per lui: il maggior numero di TD nella storia della NFL. Arriva contro San Francisco, la stessa squadra contro la quale una sconfitta segnò il primo capitolo doloroso della sua carriera nel 2001.
La AFC West è morbida a dir poco e i Broncos la vincono agevolmente. Nella seconda parte di stagione, quindi, John Fox, il suo coach, può provare qualcosa di nuovo. Saggio, cerca di cambiare strategia offensiva, o chiede a Gase di farlo. Si corre di più perché il declino di Peyton è tangibile: le sue spirali non sono più le stesse e bisogna anzitutto proteggerlo, allungando i possessi ed estromettendolo più che si può dal gioco.
La caduta è talmente verticale da essere evidente anche ai non addetti ai lavori. Egli chiuderà la stagione con 15 TD e 700 yard meno che in quella precedente. C’è chi, nel bye al primo turno di Playoff, vede la possibile salvezza del numero 18, che si può riposare. Niente di più sbagliato.

La prima partita di Playoff è, neanche a dirlo, contro gli Indianapolis Colts. Andrew Luck è ormai una realtà, il successore di Peyton ha mantenuto gran parte delle promesse portando i suoi regolarmente ai Playoff mentre il 18 inanella record in Colorado. La sfida è forse la meno televisiva di tutta la Post Season 2015: i Broncos vengono umiliati su tutti i lati del campo. Von Miller e DeMarcus Ware sono costantemente bloccati, Aqib Talib lascia che T.Y. Hilton lo umili per tutta la serata, i ricevitori non si smarcano mai. E poi c’è lui, il 18, al centro del campo con una gamba stirata e ormai il braccio completamente insensibile.
Certo, porta i suoi in vantaggio nel primo drive, ma poi è oblio. Dalla parte opposta Luck non è precisissimo, ma mette in mostra tutto ciò che un giovane QB dovrebbe avere: mobilità, intelligenza, calma, conoscenza dei mismatch.

Luck_Manning denver broncos
A fine partita, da prassi, Peyton Manning raggiunge Andrew Luck. In quel momento siamo quasi tutti convinti di aver visto l’ultima partita del 38enne, ben consci che il passaggio di testimone verso il numero 12 dei Colts suo erede è forse l’ultima immagine che vogliamo ricordare del quarterback dei Denver Broncos.

Ma il football, come Dio li aveva con i Ravens, ha altri piani. Deve ridare a Peyton tutto quello che egli ha contribuito a creare. Per una volta, deve accontentare lui il nativo di New Orleans e non viceversa. Non ci sarà nessuno sforzo da fare: il 2015 sarà in modo straordinario e imprevedibile il suo anno perché la sua carriera ci metterà ancora un anno prima di esaurirsi, e quando lo farà ci sarà solo gloria e nessun brutto ricordo.

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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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4 Commenti

  1. Oltre a fare i complimenti per questi bellissimi articoli su Manning, mi viene da fare un’osservazione: Manning, giocatore fantastico e dalla carriera brillante, ha vissuto dei momenti drammatici e ingoiato dei bei bocconi amari, tuttavia ha chiuso una carriera incredibile nel migliore dei modi. Un vero sportivo che davvero ama lo sport che pratica. Lo ammiro e lo ammirerò sempre pur da tifoso Patriots.

    1. Grazie per aver letto e commentato.
      Il potere degli sportivi è proprio questo: lasciarci qualcosa oltre ai trofei. Al di qua dell’oceano lo capiscono davvero in pochissimi, in America i top lo capiscono presto e allora si creano carriere come queste.

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