Calvin Anderson, il “genio” di casa Broncos

Qualche mese fa l’ennesimo infortunio di questa tribolata (e fortunatamente ormai finita) stagione dei Denver Broncos ha regalato la seconda partita da titolare al “53esimo uomo” del roster, cioè l’ultimo nella cosiddetta “depth chart”. Semplificando, per i meno esperti, la depth chart è la lista dei giocatori che compongono la squadra, divisa per posizione in campo, che ordina gli stessi per ogni singolo ruolo, dal “più bravo” al “meno bravo”.
La struttura della depth chart è un qualcosa di variabile nella NFL. Ogni settimana, in base agli infortuni, la sua composizione cambia ma, di solito, chi sta negli ultimi posti spesso ci rimane, quasi anonimo. Eppure, spesso è qui che emergono storie interessanti, come quella del ragazzone di 300 libbre di cui stiamo parlando, ultimo uomo della depth chart dei Broncos: Calvin Anderson.

Nato a Philadelphia ma immediatamente trasferitosi ad Austin, in Texas, Calvin Anderson crebbe con il padre in un contesto particolare; dopo aver giocato cornerback ad Army e aver ottenuto un master in Business Administration, il padre divenne un ministro religioso e iniziò, sempre nell’esercito, a servire il proprio paese anche in sei missioni all’estero. Nel frattempo, il giovane Calvin (che si disse ‘molto felice’ quando il padre due anni fa si ritirò ufficialmente dal servizio) si mise in luce come studente modello alla Georgetown High School, prima di essere notato dalla Rice University, che lo selezionò come offensive lineman, anche ‘sotto taglia’. Perché il ragazzone che conosciamo oggi era molto diverso da quello che stava entrando al college, a livello fisico.
La Rice è un’ottima università privata di Houston, Texas, ma non è di certo quello che si dice un “élite college” per il football. Gli Owls fanno parte della NCAA Division I e competono nella Conference USA, e non sono certo famosi per essere un college “sforna talenti”: per trovare l’ultimo prodotto di Rice scelto al draft NFL bisogna risalire al 2015, quando gli Houston Texans con la scelta numero 216 al sesto giro scelsero Christian Covington.
Anderson era talmente grato alla Rice per averlo scelto, su intuizione dell’allenatore di linea Ronnie Vinklarek, che al primo anno si mise talmente sotto con gli allenamenti da riuscire a passare da 210 a 235 libbre (da 95 a 106 chili). A questo seguirono le prime buonissime prestazioni in campo, e arrivarono anche i primi abboccamenti da università più blasonate come Texas Tech e Kansas. A quel punto, però, Calvin aveva occhi solo per il suo attuale college: gli altri due pretendenti continuarono a provare a reclutarlo nel proseguo del suo percorso, ma lui rimase fermo sulla sua posizione.

Entro la fine del secondo anno il suo peso aveva raggiunto le 300 libbre (136 chili). Una crescita pazzesca per un ragazzo entrato nel programma totalmente sottomisura. Nei tre anni a Rice le partite da titolare saranno 36 ed i risultati di bloccaggio notevoli tanto da essere riconosciuto come uno dei migliori OL della Conference USA.
Grazie anche ai numeri riconosciutigli da PFF probabilmente qualche spiffero dall’universo NFL era arrivato. Tanti, troppi, stavano diventando gli interessamenti delle università di punta del college football. Una corte spietata. Un momento di riflessione era più che doveroso. Cosi, una sera, si mise a tu per tu con la famiglia e rivelò loro che c’era la possibilità di poter entrare nella NFL. Il padre, elemento fondamentale nella vita di Calvin Anderson, non ebbe dubbi al riguardo e consigliò al figlio di approfittare dell’occasione, quella che passa una volta nella vita.
Il giorno dopo Calvin Anderson lancia la bomba nella maniera più classica dei ragazzi di oggi, via social network, su Twitter: dal momento di quel tweet, la sua vita cambia radicalmente. Per qualche mese ogni università di livello cerca di contattarlo, chiamarlo, messaggiarlo: Auburn, Louisville, Vanderbilt, West Virginia, UCLA, Arizona, Baylor, TCU, Notre Dame, Oklahoma, Tennessee, Texas, Michigan, Pittsburgh… Tutte li, per ingaggiare questo ragazzo che in tre anni a Rice aveva fatto passi da gigante.

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La prima visita che Anderson accetta è quella con Auburn e ad accoglierlo è Herb Hand, OL coach dei Tigers. Seguono Notre Dame e Michigan, poi le altre. Praticamente ogni momento della giornata fuori dagli studi è impegnata con gli incontri con le nuove università. Arriva anche il momento dei Texas Longhorns dove gli viene proposto il ruolo di Connor Williams, che è pronto al salto nella NFL. Il college (che è anche nel suo stesso stato) sembra convincerlo ma Calvin è uno di parola ed il primo incontro con Herb Hand lo ha realmente convinto. La sua scelta sarebbe quindi Auburn ma, colpo di scena… in quel periodo Hand si trasferisce proprio a Texas e, a quel punto, per Anderson scegliere i Longhorns è una scelta quasi scontata.

anderson calvin texas

La scelta del college di casa lo aiuterà ad aprirsi le porte della NFL, ma senza passare dal draft. Anderson finisce infatti undrafted nel 2019 e sono i New England Patriots a dargli una possibilità in practice squad, rilasciandolo però quasi subito. E’ la volta poi dei New York Jets che lo terranno a roster fino al termine della preseason prima di inserirlo in practice squad. Ai primi di ottobre del 2019 viene chiamato dai Broncos e, sebbene veda il campo con il contagocce, non uscirà più dal roster principale.

Ai Broncos ha trovato come OL coach Mike Munchak, un vero e proprio guru nel ruolo, proprio come lo era stato Hand all’università. E lo stesso valore che il coach di Texas vedeva nel giocatore, lo vede anche Munchak. Quando non sei un giocatore capace di spaccare tutto e tutti, devi essere versatile ed intelligente e Anderson è entrambe le cose. Ha la capacità di giocare in ogni ruolo della linea d’attacco e, soprattutto, è un vero e proprio genio. Munchak ha riferito che è il giocatore con cui ha avuto meno problemi di apprendimento dei sistemi di gioco, perché quando uno è intelligente copre tutte le basi e per un coach allenare questi elementi è una vera e propria pacchia.
D’altronde, non poteva essere altrimenti. La Rice è una università di altissimo livello, classificata quasi alla pari della Ivy League. Non frequenti i suoi corsi se non sei un genio. Calvin non ama studiare, anzi ha detto di odiare letteralmente farlo. Eppure, mantenendo corsi durante la sua permanenza a Texas, ha ottenuto una laurea principale in Analisi Matematica Economica ed una minore in Business. Anderson potrebbe essere già un “Wolf of Wall Street” ma il richiamo del football americano era troppo forte. Per quello, ci sarà tempo quando il casco sarà appeso al muro.
La sua mente funziona come un sistema numerico. Lui è uno studente visivo, che apprende guardando ed osservando. Riesce a risolvere il cubo di Rubik in meno di 30 secondi: numera ogni spazio colorato ed a quel punto è una semplice sequenza matematica. E se detto così non sembra niente di eccezionale, beh, lui lo fa dietro le spalle. La sua spiegazione sul come ci riesce è semplice: lo paragona ad uno schema di sudoku o un film della trilogia di Matrix dove c’è un codice da leggere e capire. Beato lui lo che lo riesce a leggere.

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Proprio per questa sua affinità, Calvin Anderson è l’ambasciatore nella NFL della Rubik, e in offseason, fuori dagli impegni di campo, prende parte anche ad eventi organizzati come giudice in competizioni di soluzione dei cubi. Quando alcuni giornalisti gli hanno chiesto di questa sua abilità, lui ha provato a spiegare come pensa di legarla con la lega, e ha riferito di come la sua passione per il cubo di Rubik lo abbia aiutato molto nella vita. Lo schema che vede quando li risolve lo rivede nella dovuta misura, anche nella vita di ogni giorno. Quando vede accadere determinate cose, per esempio un film, immagina già lo schema e ne trae la conclusione. E ciò l’ha trasferito anche nel campo da football: si mette ad osservare il momento dell’inizio dell’azione o semplicemente la posizione in campo ed il suo obiettivo diventa quello di leggere il playbook offensivo della squadra.
Vic Fangio e Mike Munchak negli ultimi tempi hanno sempre riferito di come attualmente non ritengano Calvin Anderson un elemento di spicco, motivo per cui non scende molto in campo, ma il fatto che venga tenuto a roster ed allenato costantemente è perché entrambi hanno fiducia nel suo potenziale. Arriverà il suo momento, lui ne è convinto.

Non dovesse arrivare, il suo futuro sarà per lui una semplice questione matematica.

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Eugenio Casadei

Appassionato di calcio (Bologna) e trekking, segue il football assiduamente dal momento in cui vide giocare Peyton Manning con la maglia orange di Denver, divenire tifoso Broncos una naturale conseguenza. Scrive la rubrica settimanale "Indiscrezioni di mercato NFL" in offseason e la "Top Ten" in regular season con grande divertimento e passione.

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