Baltimore, i Ravens, un sogno che diventa realtà

Baltimore non è una metropoli, se la guardiamo con occhio americano.

A me, che arrivo dalla vecchia Europa, non appare così piccola: in città ci sono circa un milione di anime che lavorano, amano, soffrono o sono felici. Per me, che arrivo dal belpaese e in fatto di estetica urbana me la tiro un po’, questa città appare carina ed accogliente: la zona della marina, l’Harbour, è moderna e ben organizzata con ristoranti, bar e negozi di souvenir. Anche se non è bello come quello di alcune città italiane, il centro è gradevole e rilassante. Per noi, che siamo abituati al caos dei nostri centri urbani, è decisamente molto tranquillo: fino alle dieci del mattino le strade erano quasi deserte e poi, all’improvviso e rumorosamente, una grande scolaresca rende la giornata, e la nostra visita all’acquario, un po’ più confusa: ma in tanti hanno la maglietta dei Ravens e gli perdono la giocosa invadenza. L’acquario di Baltimore è uno dei più grandi al mondo e, se piace il genere, una visita vale la pena di farla; li capirete anche che l’America costa tanto: un pupazzo di granchio cinquanta dollari e una bottiglia in alluminio, con un delfino stampato sopra, quaranta. Decisamente troppo per dei pensierini da portare ad amici e parenti; meglio risparmiare e spendere da Phillis il ristorante più famoso del centro città.
Ma questa è una storia che interessa poco: se sono a Baltimore è per andare a vedere i Ravens e tutto questo è solo la giusta anteprima.

Essere qua non è una cosa normale: appartiene alla dimensione del sogno, dell’obiettivo da raggiungere prima che sia troppo tardi. Così, quando alle sette circa, scendo dalla macchina con cui Dan mi ha accompagnato nei pressi dello stadio (Daniel e Kathy sono una coppia di amici, conosciuti a Roma la scorsa estate, che mi han fatto capire, ospitandomi nel ristorante di loro proprietà, l’Hull Street Blues Bar, che in America si può mangiare molto bene e le persone sono ospitali ed entusiaste) e mi avvicino l’emozione sale a mille. Parlo in prima persona, ma non ero solo. Con me c’è la mia compagna, Marcella, anche lei tutta vestita di viola, pur non capendo la differenza tra un primo e un terzo down ed ignorando l’esistenza al mondo di Justin Tucker o Mark Andrews . Ma senza di lei non sarei qua. Ebbene grazie a lei e a un suo regalo di compleanno io posso vedere quello stadio tutto viola, i tailgate di giovani un po brilli e un mare di persone, vestite come me, andare nella stessa direzione. Non è la prima volta che vedo la NFL: ogni anno vado a Londra con il mio amico Giorgio. E quest’anno ho visto i miei Ravens vincere contro i Titans.

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Ma essere qua è diverso: sono nello stadio dei sogni. Il M&T Bank Stadium non è un impianto di ultima generazione, è stato inaugurato quasi quasi trent’anni fa, ma riesce ad apparire moderno. Offre confort di ogni tipo con ingressi veloci e semplici, ristoranti, negozi e tecnologia di alto livello con luci e tabelloni immensi che rendono la partita un’esperienza completa. Salgo al mio posto: il campo è li: colorato di verde e viola, proprio uguale a quando lo vedo alla tv, solo più scintillante. Stasera i Ravens hanno preparato una coreografia suggestiva: all’ingresso ci consegnano un braccialetto che si illuminerà a comando e tutti dobbiamo essere parte del gioco di luci. Ci chiedono anche di vestirci di nero, ma io lo ammetto, al viola non rinuncio e indosso orgoglioso la mia maglia di Lamar. Mi consola che tanti facciano come me e del nero d’ordinanza se ne infischiano: il nostro colore è il viola. Sono felice e ogni cosa è bella: a metà partita poi arriva Colleen, la responsabile dell’accoglienza dei Ravens che mi regala il box con i gadget della squadra. Son tutti sorpresi: i nostri son posti popolari e di solito, a quell’altezza, non arriva l’omaggio della società e mi chiedono chi siamo noi per ricevere tanto onore. Quando rispondo che arriviamo dall’Italia per la partita, si complimentano tutti e capiscono il perché di tanta attenzione.

La partita immagino molti di voi l’abbiano vista. Vittoria magnifica con una difesa super, un Burrow, forse già infortunato, limitato al massimo e Lamar ed il gioco offensivo al top. Di fianco a me siedono quattro ragazzi tifosi dei Bengals. Gli altri spettatori li sbeffeggiano ma senza aggressività vera (quanta differenza con i nostri stadi) e alla fine facciamo amicizia. Come mai hai scelto i Ravens? Come sono gli stadi in Europa? Pulisic gioca bene? (io sono interista e gli dico di no, ma sorridiamo assieme) Le domande sono le stesse che farei se a San Siro incrociassi un americano con la maglia dell’Inter. La foto a bordo campo alla fine della serata non può mancare e la passeggiata per rientrare in albergo lungo la Ravenswalk, costeggiando il magnifico stadio del baseball di Camden, completano una giornata che resterà per sempre nel mio cuore.

Ho vissuto un sogno: grazie a Marcella, al mio amico Giorgio che ci ha aiutato ad acquistare i biglietti dello stadio. Grazie al Flock Italiano a cui ho inviato le foto con la bandiera viola e tricolore che ci contraddistingue.
Se potete andate. Lo so, non tutti possiamo permetterci un simile viaggio, ma se potete non rinunciate: essere in uno stadio americano non ha prezzo, come dice lo slogan pubblicitario e una partita vissuta la è diversa.
Baltimore è piccola ma antica e graziosa. Io spero di tornarci perché i Ravens sono la mia squadra e il football la mia passione.

Racconto di Federico Antonelli

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Redazione

Abbiamo iniziato nel 1999 a scrivere di football americano: NFL, NCAA, campionati italiani, coppe europee, tornei continentali, interviste, foto, disegni e chi più ne ha più ne metta.

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