NCAA Championship: back-to-back Bulldogs (Georgia vs TCU 65-7)

Per la prima volta nella giovane storia dei Playoff una squadra campione nazionale si è riconfermata tale a 12 mesi di distanza: sono i Georgia Bulldogs, la macchina perfetta demiurgicamente plasmata da Kirby Smart. Inscalfibile, inattaccabile, inarrestabile: un cingolato blindato in un mondo in cui le armi a disposizione solitamente sono cavalli e archi.

Georgia ha letteralmente spazzato via dal campo TCU, facendo capire le proprie intenzioni fin dal principio.
Three-and-out nel primo possesso degli Horned Frogs, con tackle estremamente violenti che hanno subito calato i violanero nel mondo ultra-fisico della SEC, seguito dal touchdown su corsa, dopo una zone read, di Stetson Bennett, solo il primo di serata. L’antifona non cambia a partire dal secondo drive: il primo primo down dei Frogs arriva grazie ad una flag, resa subito inutile dal fumble recuperato dai Dawgs, poi convertito in 3 punti – che saranno l’unico “non-touchdown” del primo tempo dell’attacco rossonero.

Unica luce in un primo tempo totalmente nero è stato il terzo drive: big play per i Frogs complice una busted coverage dei Bulldogs – l’unica sbavatura di una serata altrimenti perfetta – e palla portata oltre la linea di meta da Max Duggan. 10-7 e un po’ di vita. Ma la felicità è durata davvero poco, giusto il tempo di rimettere palla in campo e i Bulldogs erano già in redzone pronti a segnare ancora, e poi ancora, e ancora e ancora, complici anche i due intercetti lanciati da un Duggan visibilmente frastornato.

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I 17 punti segnati nel primo quarto da Georgia sono il massimo mai segnato da una squadra in un quarto di una finale nazionale. Record che è durato la bellezza di 35 minuti: battuto dagli stessi Bulldogs nel secondo quarto, dove sono arrivati a quota 21. Una serata tutta al contrario per TCU, che nulla toglie alla stagione da sogno di una squadra che mai avrebbe dovuto arrivare fin dove è arrivata e invece lo ha fatto e con merito. Però ci getta sopra un segno indelebile, una macchia che difficilmente andrà via: perché una cosa è perdere, un’altra è non riuscire a competere. La magia dell’hypnotoad è svanita proprio sul più bello, o probabilmente anch’essa nulla ha potuto contro i chili, i centimetri, l’atletismo e la preparazione dei Galacticos di Athens, una squadra sostanzialmente perfetta sotto ogni punto di vista.

Si chiude malissimo la favola di TCU, ma al contrario si chiude con un capolavoro la carriera romanzesca del Mailman, Stetson Bennett, QB di cui già 12 mesi fa raccontammo la storia, e che non contento di aver vinto un titolo si è ripresentato al campus per fare qualcosa di ancora più grande: sono arrivati il titolo della SEC (l’anno scorso soffiatogli da Alabama), la nomina tra i finalisti all’Heisman e, dulcis in fundo, il titolo nazionale in back-to-back, ovvero un qualcosa che lo pone direttamente nella storia del college football alla categoria “vincenti”. Bennett chiude con una riga statistica sostanzialmente perfetta: 18/25 per 304 yard e 4 TD 0 INT, a cui ha aggiunto 39 yard su corsa e 2 TD, per un totale di 6 touchdown (!). Non male per un ex postino, un ex JuCo, un ex walk on.

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Le altre importanti firme sul back-to-back di Georgia sono quelle di Aidee Mitchell, WR autore di una prova “in ufficio” quest’anno, dopo l’exploit dell’anno scorso, e con lui anche l’altro WR Ladd McConkey, in uscita da una stagione leggendaria. La coppia di TE formata da Brock Bowers e Darnell Washington, il RB Kenny McIntosh e 2/5 della OLine (il centro Sedrick Van Pran e il RT Warren McClendon). In difesa la firma d’autore è quella di Jalen Carter, nome che chi segue l’NFL già ben conoscerà in ottica Draft, e assieme a lui ci mettiamo anche Nolan Smith – seppur assente da questa finale per infortunio. Kelee Ringo e l’esperta safety Christopher Smith sono i returning heroes della secondaria, in una difesa che nei nomi è cambiata moltissimo rispetto a quella super celebrata della stagione scorsa, ma nella sostanza è rimasta la stessa granitica muraglia difficilmente valicabile. Menzione d’onore anche al kicker Jack Podlesny, anch’egli con la firma sul back-to-back.

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Il finale è punitivo, dice 65-7 per Georgia, che mai aveva segnato così tanto quest’anno e mai aveva dato questo scarto ad un avversario. Ma questo è il loro potenziale, e hanno deciso di esprimerlo tutto in questa finale, soffocando dal kickoff alla sirena le velleità dei loro avversari senza concedere neppure un alito di speranza.

Aggiungiamo: 58 punti di scarto sono il massimo di sempre non solo in una finale, non solo in una partita di playoff, ma in qualsiasi “bowl game” dalla loro istituzione – ovvero in oltre 100 anni. I Dawgs hanno voluto mettere il punto esclamativo ad una vittoria mai in dubbio, hanno voluto ricordare in modo prepotente e forse anche presuntuoso che loro sono i migliori e nessuno gli è vicino. Che una partita no può capitare – nella fattispecie la semifinale contro Ohio State – ma perseverare nell’errore non è cosa da grande squadra. E che chiunque dall’inizio dell’anno – molto pochi – abbia messo in dubbio questo concetto, ora ce lo avrà ben stampato in mente assieme al 65-7 di questa finale.

What’s next?

Perderanno il Mailman, che quest’anno più dell’anno scorso è stato guida anche tecnica, oltre che carismatica, di una squadra che, però, sembra poter eccellere anche senza di lui. Perderanno una miriade di giocatori al Draft, come già l’anno scorso e praticamente ogni anno, ma il fatto sembra non spaventare più di tanto Kirby Smart, pronto a riallestire una macchina da guerra anche per la prossima stagione. Forse perderanno pure qualche membro dello staff tecnico, ma nulla che non sia già successo in passato.

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Ad Athens hanno aspettato oltre 40 anni per tornare a vincere, ma ora sembrano esserci ritornati per continuare a farlo, potenzialmente all’infinito.

How ‘bout them Dawgs.

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