AREA 54: Il tema di Justin Fields

Nel periodo in cui le giornate si allungano diventando più calde e luminose ci si è trovati in diverse occasioni con tanti buoni propositi mentre osservando il tramonto con in mano un drink si pensava che questa sarebbe stata la volta buona. Ma da che io abbia memoria, mai prima di questa estate Chicago aveva vissuto un’attesa condita da tale trepidazione.

Ci sono i fan, che dopo aver disertato il Soldier Field per via delle forzature dettate dal Covid scalpitano per il ritorno al Tailgate e non dormono la notte all’idea che presto potranno ritornare allo stadio; ci sono i media, che sulle ali di questo draft pare abbiano rigenerato la loro sete di attenzioni nei confronti del mondo Bears, sempre distaccato dai riflettori. Le previsioni in vista del primo training camp parlano di un vero e proprio esodo dei tifosi che, da tutto lo stato, raggiungeranno Lake Forest (IL) per radunarsi alla practice facility della Hals Hall dove i Bears si allenano. Per la prima volta dal 2019 le porte del campo di allenamento saranno aperte al pubblico e la piazza è già in estasi.

Vivere il football a Chicago è un concetto che supera di gran lunga il senso di una partita. L’Illinois sanguina football e questa disciplina ha la forza di far vibrare la terra. Dai bar su Milwaukee Avenue al ponte di Dearborn Street, dalle vetrine del Loop alle vele delle barche ancorate nel porticciolo del lago Michigan, dalla casetta della nonna a Roseland agli uffici che svettano sulle cime del John  Hancock l’eco della selezione di Justin Fields non si placa.

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Il nome di questo giovane ragazzo arrivato da Ohio State ha avuto un effetto roboante a Chicago ed ora è trasportato dal vento in ogni angolo della città. Chiunque, in modo diretto o indiretto, ha respirato questa folata d’aria fresca. Un soffio impetuoso che smuove desideri e sentimenti nel profondo. Il risultato di tutto questo si potrebbe banalmente riassumere e quantificare nel boom delle vendite delle maglie numero #1 di Fields, prime per distacco nel mercato NFL attuale. Qualcosa di troppo grande sembra esser giunto in città e tutti vogliono prenderne un pezzo.

Fields deve ancora lanciare il suo primo pallone ma ciò che si è già percepito è che in 102 anni di storia i Bears un quarterback di questo livello non lo abbiano mai avuto. Neanche per sbaglio. E credetemi, di QB a Chicago ne sono passati tanti, troppi! Personalmente, negli ultimi anni, ho visto i giocare i Bears dal vivo in diverse occasioni e non ho mai avuto l’onore di veder scendere in campo lo stesso QB: Jay Cutler, Matt Barkley, Chase Daniel, Mitch Trubisky… ogni volta un lanciatore diverso, ma identico nella sostanza.

Sid Luckman era un altro tipo di talento, che giocava in un mondo ormai troppo lontano (per non dire dimenticato) per esser messo a confronto con l’attualità o con il football della Super Bowl era. Sia chiaro, mentre il numero #1 di Fields è stato già infiocchettato a dovere per le varie presentazioni di rito, il #42 di Luckman rimane ritirato con quattro titoli nazionali e una nomina per la Hall of Fame sotto la sua egida. Ma qui non si cercano confronti, si cerca una svolta. O meglio, la svolta!

Sebbene siano trascorsi solo un paio di mesi da quel trade up che ha scosso la National Football League strappando le prime pagine delle testate sportive americane, il nome di Fields è già diventato in alcuni casi ridondante. L’idea generalista potrebbe avvicinarsi a quella di un vero e proprio tormentone estivo, di quelli terribili, commerciali, che ti fanno sanguinare le orecchie per la pochezza di stile e che ti gonfiano le palle ben prima della fine del primo ascolto. Di quelli che non vedi l’ora che arrivi ottobre almeno ci si richiude tutti in casa e ognuno vive la sua vita eh…

Ecco, sotto certi aspetti ci siamo: il disco gira, tutti ormai conoscono il ritornello a memoria, ma per quanto l’estate possa essere bella e vivace il pensiero rimane fisso ad ottobre perchè in quel momento il calendario dice che qualcosa cambierà. Questo tormentone estivo intitolato ‘Justin Fields’ è di gran lunga meno sgradevoli di quelli musicali che ci propone il mercato e noi tifosi Bears, magari con anche la compagnia di qualche altro appassionato di football, balliamo sulla moltitudine di parole encomiabili espresse riguardo al valore di Fields.

Diamo un taglio alla parafrasi perchè il concetto è abbastanza chiaro ed entriamo nel dettaglio evitando di accompagnare ulteriormente il tutto con parole proprie.

La selezione ci ha esaltati, l’attesa ci ha fatto fantasticare, ora procediamo con inquietudine verso il kick-off di week 1. Parlavo di ottobre, perchè ideologicamente Justin Fields potrebbe vedere il campo intorno a quel periodo dal momento che la prassi non prevede del tutto di prendere una matricola e, per quanto questa possa essere forte, gettarla nella mischia del terzo mercato più importante degli Stati Uniti d’America rischiando di bruciarla prima del tempo. Ma c’è un ma, e questo “ma” è grande come una casa.

Justin Fields è un competitore nato, di quelli che hanno l’istinto ossessivo di vincere e come disse un saggio Maestro “senza il fattore ossessivo non può esistere il campione”.

A breve arriverà luglio, il training camp è alle porte. Andy Dalton è stato rassicurato del fatto che il primo snap di settembre sarà nelle sue mani, a The Red Rifle è stato garantito che lo starter di week 1 sarà lui. Gli è però stato garantito un qualcosa che lo lascerà del tutto tranquillo a prescindere, parliamo ovviamente di uno stipendio faraonico (se pur per una sola stagione). Poi c’è Nick Foles, passivamente pronto, seduto sul suo trono di gloria remota. Se ne sta alla finestra con i gomiti appoggiati sul davanzale, lo sguardo fisso nel campo di gioco e la bocca chiusa. Infine c’è Justin Fields, un mastino che sbava in attesa del pranzo mentre camminando avanti e indietro fa il solco nella sua gabbia.

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La gabbia è quella fase che delimita l’attesa che separa Fields dal primo 11 vs 11 sotto gli occhi di Matt Nagy: da un lato ci sarà il numero #1 in red shirt (orange a Chicago) e dall’altro ci sarà l’arancio della chioma ramati di Dalton. Il primo lancio di Fields in allenamento: quello sarà l’istante in cui Matt Nagy scuoterà la testa, prenderà il manuale del football e lo lancerà in panchina mandando tutte le sue strategie conservative a farsi benedire! Quantomeno, questo è ciò che succederà dentro la sua testa: “To hell Andy Dalton and to hell the newspaper, I’ve got my boy”. Insomma, il ‘si fottano tutti’ è passato dagli script di Good Morning, Vietnam e Die Hard vari, agli aforismi dei Big della Silicon Valley. Dunque, nel caso, non condanneremo Matt Nagy per questo.

Veniamo al punto, i Chicago Bears non si possono permettere di affidare “the job” alle mani di Andy Dalton per un lungo periodo. Nagy lo sa bene, ma allo stesso tempo è consapevole di quanto ci siamo raccontati qualche paragrafo sopra sul non utilizzare un rookie in modo scriteriato, anche perchè questa non è la NBA. Esistono svariate ragioni a sostegno di questa tesi ma applicandole su Justin Fields è come se si smontassero automaticamente. Le elenchiamo cercando di sintetizzare:

I Chicago Bears hanno fatto un investimento troppo alto su Justin Fields per non utilizzarlo fin da subito. Non si fa un trade up per lasciare il giocatore che prendi a peso d’oro in panchina. Non lo dice Alex Cavatton per conto di Huddle o di Bears Italia, lo dice la Bibbia. Inoltre i Bears non hanno chissà quale impegno nei confronti di Dalton visto che la sua stretta di mano ha validità di 12 mesi e non oltre, un pò come la garanzia di un asciugacapelli professionale, mentre il futuro di Fields a Chicago è stabilito in un minimo di quattro anni nella peggiore delle ipotesi (quella Trubiskyana).

Justin Fields è un migliore atleta rispetto a Dalton. Abbiamo avuto modo di vedere come l’atletismo del quarterback sia un fattore fondamentale negli schemi offensivi di Matt Nagy, ma anche in quelli del resto della lega: restando in casa Bears nel 2018 Trubisky ha mostrato grande mobilità e le partite si vincevano con costanza, mentre nel momento in cui Trubisky è imploso e le sue gambe si sono inchiodate (forse vittime dei suoi pensieri e della sua linea offensiva) Chicago è piombata nella prevedibilità più assoluta che ha creato staticismo e fallimenti di conseguenza. Nel 2021 i Bears affronteranno delle grandi difese, prima su tutti quella dei possenti Los Angeles Rams e proprio in week 1 Andy Dalton potrebbe essere utilizzato come agnello sacrificale per aprire le porte dell’ascesa di Fields.

Justin Fields, grazie alla sua leadership, ha già guadagnato il favore dei compagni di squadra. Chi lo ha visto in azione è rimasto elettrizzato, linea e ricevitori scalciano come cavalli impazienti al sol pensiero di poterci giocare assieme. Persino dalla difesa le voci si sono alzate alte, come nel caso della safety veterana Eddie Jackson che non ha atteso un istante prima di dichiarare il proprio voto a favore di Fields. Ci sono state delle manifestazioni comportamentali simili nei confronti di Andy Dalton? No, semplice. Anche il RB David Montgomery ha espresso il suo pensiero apertamente dicendo: “Justin è un atleta inconsueto, non capita tutti i giorni di vedere un ragazzo con quella tenacia. Di rado si vedono delle matricole che dispongono fin da subito di un mantra carismatico come nel caso di Justin. Sta progredendo benissimo e presto avrà le redini del gioco in mano”.

Il supporto nei confronti di Fields cresce di giorno in giorno e nel giro di breve sarà ovvio che i suoi compagni gli vorranno vedere vestire quella maglia da titolare, quella numero 1 che dovrà caricarsi sulle spalle i destini della città per trascinarli a suon di touchdown nella terra promessa. Nagy dovrà badare con meticolosa attenzione a questo aspetto.

Fields otterrà il ruolo di titolare molto prima di quanto i media nazionali si aspettano e quando succederà non ci sarà motivo di essere sorpresi. Justin Fields è l’investimento più alto di questa fase storica dei Bears, ed il futuro dei Bears dipende solo da lui.

Buona fortuna ragazzo!

#BearDown

alex cavatton firma area 54

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Un Commento

  1. Più che di Lawrence e Wilson (che, non so perché, non riescono a stuzzicare le mie fantasie), da buon cercatore d’oro sono settimane che spero di non rimpiangere l’aver lasciato passare Field.

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