King Henry, primo del suo nome
In questa stagione Derrick Henry è finalmente riuscito ad esprimere a pieno il suo immenso potenziale.
C’è qualcosa nel concetto di regalità che da sempre attrae magneticamente gli uomini, e continua a farlo anche ora che i sovrani sono poco più che mascotte anacronistiche. Forse i più infatuati dal fascino della simbologia della corona e dall’idea di dominare incontrastati sono gli sportivi. Senza scomodare il 23 da Akron, la storia sportiva pullula di re, legittimi o meno.
Uno degli ultimi membri di questa lista sconfinata si è da poco impossessato del regno del Tennessee, sedendosi su un trono che era rimasto vacante dalla morte di Elvis Presley. Il nuovo re del Volunteer State non ha il ciuffo brillantinato; l’unica cosa che si nota della sua capigliatura è un’enorme coda di dread che spunta dalla parte inferiore del casco. Non canta, ma riempie comunque gli stadi e quando gioca a cantare è la corte di sudditi che affollano il Nissan Stadium di Nashville per le partite casalinghe dei Tennessee Titans. Dopo ogni touchdown il nuovo re festeggia mettendo in scena la sua incoronazione: un compagno gli si avvicina e gli pone in testa una corona immaginaria, come a ricordare una volta di più chi è il padrone incontrastato del grid-iron.
Il nuovo re del Tennessee si chiama Derrick Henry, primo del suo nome. Henry ha un cognome regale, ma a differenza di tutti gli “Enrico” inglesi non è salito al trono per privilegio dinastico. Derrick Henry il suo trono ha dovuto rincorrerlo partendo dal nulla. A vedere la sua sagoma gigantesca muoversi su e giù per il campo, spesso trascinandosi dietro un paio di avversari, si direbbe che Henry è re per diritto divino, perché gli dei del football quel corpo non lo regalano per caso. Stiamo parlando del freak più freak di una lega composta praticamente solo da freak atletici e fisici. Henry sembra un personaggio creato ad hoc su Madden con tutti i parametri fisiometrici impostati al massimo, ma nel suo essere spropositatamente enorme è comunque proporzionato. Non è assurdamente largo come Aaron Donald, non ha i quadricipiti sconfinati di Saquon Barkley. Henry è proporzionato a modo suo, cioè come un homo sapiens sapiens in scala 1:2.
A vederlo giocare oggi, mentre impone il suo dominio sulla linea di scrimmage, sembra assurdo pensare che praticamente un anno fa King Derrick Henry fosse ad un passo da venire bandito dal regno.
Il re è nudo
Henry pesa circa 120 chili ed è alto un metro e novanta e spiccioli. Atleti con un tonnellaggio del genere sono difficili da abbattere anche per i linebacker più stagni della NFL, quindi provate a mettervi nei panni di un sedicenne che pesa 70 chili con i capelli bagnati e si vede arrivare contro un coetaneo che pesa come un treno merci e corre veloce come un TGV. Questo è quello che hanno sperimentato tutti i difensori che hanno incrociato Henry al liceo. Ai tempi della Yulee High School Derrick ha sbriciolato qualunque record liceale, primo fra tutti un assurdo dodicimilacentoventiquattro rushing yards, ottenute alla media insensata di 252.4 a partita, 8.7 a portata.
Derrick ha continuato la sua scia di distruzione anche dopo il passaggio al livello più alto di college football, la corte di Nick Saban a Tuscaloosa, Alabama. Henry ci arriva nel 2014 e parte dietro a Kenyan Drake e TJ Yeldon. Tre anni, 45 touchdown e un Heisman Trophy più tardi, viene scelto con la numero 45 dai Tennessee Titans.
Poco prima del draft Henry aveva rilasciato un’intervista a Eddie George, un uomo che con lui ha tantissimo in comune: entrambi runningback, entrambi vincitori dell’Heisman, entrambi poi scelti dai Titans.
Ad un certo punto George chiede a quello che ritiene il suo erede qual’è il suo rapporto con le critiche che gli è capitato di ricevere. La risposta di Henry trasuda la sicurezza di chi le critiche le ha sempre demolite con le prestazioni in campo.
«La mia mentalità è “nessuno mi può fermare, nessuno mi può toccare, nessuno mi può placcare”, altrimenti significa che sei spaventato, e non puoi essere spaventato…devi saper imporre la tua volontà»
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La prima stagione in NFL è tutto sommato positiva, visto che Henry nel finale di stagione detronizza il compagno di backfield DeMarco Murray (rushing leader nel 2015), inducendolo al ritiro.
Nel 2018 tutto sembra apparecchiato per la breakout season: la linea è buona, Murray non c’è più e a coordinare l’attacco è arrivato dai Rams Matt LaFleur, intenzionato ad esportare in Tennessee il sistema run-centric del suo mentore McVay. Dopo aver bruciato le tappe della sua ascesa al trono, Henry sembra pronto per la consacrazione definitiva.
Le cose però vanno velocemente a sud. LaFleur si accorge presto che Henry non può essere il suo Todd Gurley, perché Derrick non è una minaccia come receiving back, e senza un running back a suo agio nel ricevere fuori dal backfield l’attacco che ha in mente LaFleur non può funzionare.
Derrick fatica perché quello è un fondamentale che gli manca completamente e che non ha mai acquisito perché tutti i suoi coach si sono sempre accontentati – e come biasimarli – della sua capacità di demolire gli avversari come rusher, tralasciando quasi del tutto la capacità di ricezione. Al decimo pallone che gli scappa dalle mani Henry prova una sensazione nuova, quella di sentirsi inadeguato. Come un centro dominante in NBA che non sa tirare da tre.
Henry per la prima volta in vita sua scopre di avere un limite. Si rende conto che i comuni mortali soffrono perché non riescono a zittire gli haters, capisce quanto fanno male le critiche quando non ci si può correre sopra. Si scopre insicuro e viene trascinato in una spirale negativa che lo porta a far male anche quello che prima faceva benissimo. Dalla quarta alla tredicesima giornata del 2018 mette medie imbarazzanti, corre poco (9.1 yard portate a partita) e quando corre lo fa così male (37 yard a partita) da meritarsi ancora meno opportunità.
La situazione peggiora settimana dopo settimana. Henry è completamente sfiduciato e si rende conto che di questo passo rischia seriamente di uscire di scena. Capisce di aver bisogno di aiuto, e si rivolge all’unica persona che può capirlo. Eddie George non ha neanche bisogno di guardare il game tape. Gli è bastato vedere le partite in TV per capire che il problema di Henry è diventato mentale.
Per questo non gli consiglia di migliorare un fondamentale tecnico o di leggere meglio alcune situazioni tattiche. George sa che questi aspetti vengono dopo, molto dopo quell’attitude che Henry ha smarrito. È quella che va recuperata. George glielo dice chiaro e tondo: per evitare di venir cacciato dalla lega, «you gotta run mad». Devi correre arrabbiato, devi imporre la tua volontà.
Henry lo sa che il problema è quello, ma sentirselo sbattere in faccia da una leggenda come George fa finalmente scattare qualcosa.
The King Unleashed
Il 6 dicembre i Titans ospitano i Jaguars per l’aperitivo della quattordicesima giornata della stagione 2018. Il menù del Thursday Night Football propina all’America la sfida tra gli attacchi asfittici di due squadre poco entusiasmanti, guidate da Cody Kessler e Blake Bortles. Non esattamente must watch tv. La partita inizialmente rispetta le bassissime attese: con il risultato sul 7-2, a metà secondo quarto l’ennesimo punt di Logan Cooke inchioda i Titans a tre piedi dalla propria endzone. Sembra il preludio all’ennesimo drive sterile di Tennessee, che si dispone con una formazione pesante: un solo ricevitore, una trincea di otto bloccanti e un solo running back, Derrick Henry. Ovviamente è una corsa. Henry riceve l’handoff da Kessler e prima di intersecare la linea di scrimmage piega la direzione verso sinistra. La corsa però non parte nel migliore dei modi. C’è un momento in cui Henry sembra rimanere incagliato nella linea dei Jaguars e nelle proprie insicurezze. Poi, dal nulla, si accende. La spia che trasforma un running back in un’animale, quella che ha permesso a Marshawn Lynch di far tremare la terra di Seattle: Henry è entrato nella beastmode. La violenza che aveva perso prende all’improvviso il controllo e lo spinge a imboccare il binario della sideline di sinistra. In quel momento ha già inserito il pilota automatico con impostata una destinazione posta 99 yard più a sud.
Il contain player sul lato destro dei Jags è il cornerback AJ Bouye, che capisce immediatamente di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se fermate il video al secondo 6.0 potete vedere il momento esatto in cui Henry afferra per il collo Bouye come Cell faceva con i disgraziati a cui succhiava l’energia. Henry si lascia alle spalle la prima vittima senza guardarsi indietro e riprende a correre. Altri Jaguars provano a farlo deragliare, ma ormai il numero 22 è una locomotiva e al posto del carbone si alimenta con tutta la frustrazione dei mesi che ha passato a dubitare di sé.
Henry si mangia altre venti yard e si accorge che un altro avversario gli sta ronzando attorno. Jacobs prova una prima volta il contatto. Respinto. Ci riprovo di nuovo. Henry si spazientisce e lo scaraventa a brucare l’erba del Nissan Stadiums. Jacobs ha fatto una figura barbina ma almeno è riuscito a rallentare il running back avversario abbastanza da permettere il recupero di Miles Jack. A quel punto però Henry è fatto di lava. Si libera dall’abbraccio di Jack sulle 10 yard e ha tempo di assaporare fino in fondo gli ultimi passi. Derrick Henry fa il suo ingresso nella endzone quasi al trotto, inseguito dai compagni che sono più felici di lui. Per i Jaguars sarà una serata lunghissima. Jacksonville ha risvegliato la bestia e pagano l’affronto con 238 yard e 4 touchdown.
Con il monster game contro Jacksonville Henry ribalta la sua carriera e riprende la corsa al trono grazie ad un filotto che, a cavallo tra le due stagioni, lo porta ad ammassare 1568 yard e 17 TD in sedici partite.
Il cerchio della rinascita di Henry si chiude quando, durante la week 12 di quest’anno, i Titans ospitano di nuovo i Jaguars. Henry questa volta non ci arriva come una giocatore in crisi esistenziale, ma come il leader tecnico di una squadra in rampa di lancio, come un giocatore maturo che è riuscito a mettere a frutto uno skillset particolarissimo.
Il touchdown da 74 yard segnato contro i Jags mette in luce tutte le peculiarità del gioco di Henry e chiarisce il suo stile dai fraintendimenti dati dal suo fisico.
Partiamo dalla stazza. Di solito i RB così pesanti, pensate a Jerome Bettis, amano far valere la propria stazza correndo centralmente, solo in direzione nord-sud. Henry è diverso. Certo, all’occorrenza può bucare il centro della linea direttamente, e in questo modo gli è capitato di convertire decine di 3rd&short, ma le situazioni che lo esaltano davvero sono quelle nelle quali può prendere ritmo in direzione overs-est.
Henry infatti ha bisogno di spazio, e anche questo ha a che vedere con i suoi mesurables: essendo alto 6 piedi e 3 pollici, un’enormità per un RB, non si trova a suo agio negli spazi compressi tra i tackle, dove è penalizzato dalla sua scarsa agilità laterale. Henry invece diventa devastante quando ha tre-quattro passi per guadagnare momento prima di arrivare al Point of attack. Per questo l’ideale è farlo correre in diagonale per poi eventualmente farlo tagliare di nuovo verso il centro. Insomma, meno cambia direzione, meno velocità perde, meglio è per la squadra e peggio è per gli avversari.
Nonostante Taven Brian (N. 90) arriva vicino a sabotare la giocata, Henry riesce a mantenere ritmo e ad infilarsi nel B Gap, quello tra la guardia e il tackle, superando così il primo livello della difesa.
I veri problemi per gli avversari arrivano quando i passi prima del contatto da 3-4 diventano una decina, perché Henry corre le 40 yard in 4.54 secondi (meglio di parecchi wide receivers) e alle superiori correva i 100 metri in 11.11 secondi. Quando può sfruttare la sua falcata in campo aperto riesce a portare il suo quintale abbondante di peso a velocità sorprendenti, tali da sverniciare avversari più leggeri e rapidi come la safety dei Jaguars Wilson (N.26).
Una volta che è lanciato a velocità massima, Henry diventa intoccabile, perché le braccia interminabili rendono il suo stiffarm il più indifendibile della lega. In questo caso Wilson avrebbe anche la gamba per raggiungerlo, ma non ci riesce perché Henry usa il braccio come la lancia da giostra di un cavaliere medievale e riesce a disarcionare il suo avversario. Poi mostra un equilibro insospettabile tenendo i piedi in campo e segna il touchdown.
Lo stile di Henry è poco ortodosso ma totalmente distruttivo. Il running back dei Titans in questo momento è secondo per rushing yards stagionali (1243), a mezzo campo di distanza da Nick Chubb, ed è primo a pari merito per rushing TDs, 13.
In una lega dove sembra sempre più difficile per un running back essere il riferimento offensivo, i Titans si sono aggrappati a Henry ad inizio stagione per poi decollare una volta che Ryan Tannehill si è imposto come sorpresa dell’anno nel ruolo di QB.
Anche in questo momento però Henry mantiene un peso decisivo nello scacchiere tattico dei Titans, perché l’intero schema, anche quello sui passaggi, è fondato sul terrore che le corse di Henry generano nella difesa avversaria.
Lo schema è pensato per minacciare le corse e approfittare del terrore generato da Henry distorcendo le spaziature della pass defense. Basta vedere il touchdown segnato dai Titans nello scontro divisionale contro i Colts.
La finta di corsa verso sinistra per Henry sposta più di metà della difesa dei Colts fuori posizione, compresa la safety di destra che lascia sguarnita la sua parte di zona profonda, proprio quella che Tannehill attacca lanciando per Kalif Raymond. Se la safety non fosse stata inghiottita dal campo gravitazionale di Henry, quel lancio sarebbe stato estremamente più difficile.
Nulla da togliere a Tannehill, che sta giocando una stagione incredibile, ma il suo lavoro è facilitato dalla distorsione delle spaziature difensive creata dalla minaccia di Henry.
Ciò che conta è che, trascinati dal duumvirato Henry-Tannehill, i Titans sono rientrati di prepotenza nella corsa playoff grazie a 6 vittorie in 7 partite.
Lo stato di forma incandescente della squadra di Mike Vrabel è passato un po’ sotto traccia, perché il regno dei Titans tende a restare in ombra rispetto ad altri palcoscenici della lega.
Se King Henry vuole imitare Elvis e prendersi l’America partendo dal Tennessee, la prima cosa che deve fare è mettersi in mostra, e per farlo non c’è niente di meglio che mettere le mani sulla corona di rushing leader della lega e trascinare i Titans ai playoff.
Non sarà facile, ma il vero Derrick Henry, quello che corre arrabbiato, non ha ancora trovato un ostacolo in grado di fermarlo.