Huddle’n Music: Prince e la pioggia di lacrime viola dei Minnesota Vikings
Siamo arrivati all’ultimo pezzo che scrivo per Huddle’n Music. Lasciatemi dire che è stata un’esperienza molto forte per il sottoscritto, per certi versi catartica, e che giunto alla conclusione dei miei sforzi vorrei ringraziare tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere i miei articoli (e ovviamente quelli del mio fratellino Alex Cavatton). Ovviamente, il mio ultimo pezzo non poteva che essere dedicato alla mia squadra del cuore, i Minnesota Vikings. Ho 52 anni, quasi 40 dei quali passati a palpitare per i colori purple and gold, un qualcosa che va oltre la semplice passione sportiva e nella mia testa assume i contorni di un’ossessione. I Vikings sono la franchigia più vincente e più famosa dei 4 principali sport maschili americani a non aver mai vinto un titolo nella loro storia (ultra sessantennale). Win one before I die è un motto, una specie di mantra, nonché un sogno non troppo segreto. Quando incontro un tifoso vichingo, per capire subito da quanto dura la sofferenza, chiedo al malcapitato quante volte ha visto Minnesota perdere all’NFC Championship Game. Il mio score personale è di tutto rispetto, visto che sono stato testimone di 5 delle 6 sconfitte (mi manca quella del 1977) arrivate nel match conclusivo della NFC dopo i 4 Super Bowl persi degli anni ’70: 1987, 1998, 2000, 2009, 2017. Ogni tifoso ha una sua teoria, un suo motivo, spesso intimo, per indicare la sconfitta più dolorosa. Ebbene, nel cuore della notte tra il 24 e il 25 gennaio del 2010 ho pianto per l’ultima volta a causa di un evento sportivo, perché per me, la sconfitta più dura da digerire rimane senza alcun dubbio quella patita ad opera dei New Orleans Saints al termine della stagione 2009.
La stagione 2008 era andata piuttosto bene. La squadra, agli ordini dell’head coach Brad Childress si era imposta per la 17a volta nella sua storia in vetta alla NFC North con un record finale di 10-6. Nel turno di wild card era arrivata la sconfitta per 26 a 14 contro i Philadelphia Eagles, la vecchia squadra di Childress, con il running back Adrian Peterson, al suo secondo anno, capace di guidare la lega con 1760 yard di corsa. La squadra aveva piazzato ben 5 giocatori nelle 2 squadre di All-Pro e la sensazione in Minnesota era di avere tra le mani una squadra on the rise.
Nell’offseason successiva, il GM Rick Spielman e Childress, decidono di rinforzare ulteriormente la squadra, e sostituiscono il QB uscente, Tarvaris Jackson con una leggenda che aveva giocato la gran parte della sua carriera con i nemici naturali dei Vikings, i Green Bay Packers. Sto parlando ovviamente di Brett Favre, giunto il 18 agosto 2019 in elicottero al vecchio training center di Eden Prairie.
L’arrivo del vecchio gunslinger di Southern Miss galvanizza la fanbase della “terra dei 10mila laghi”, depressa dalla perdita di Moss 4 anni prima e non ancora completamente consapevole del talento di Peterson. La tifoseria capisce subito che quello che sta per iniziare potrebbe essere un anno indimenticabile e in città inizia un vero e proprio countdown all’inizio della regular season. Anche se Favre salta praticamente l’intero training camp, le telecamere dei network nazionali spuntano dappertutto, e il mondo del football segue con curiosità e interesse il tentativo del QB 40enne di vendicarsi della sua vecchia squadra e dimostrare di essere ancora competitivo.
La squadra, oltre che su Favre, si basa ovviamente sulle corse di Peterson ma anche sulla coppia di receiver formata da Sidney Rice e Percy Harvin (quest’ultimo molto forte anche come ritornatore). La linea d’attacco, probabilmente l’ultima degna di nota in casa Vikings, è ancorata dall’offensive tackle Bryant McKinnie (OT) e da Steve Hutchinson (G), mentre la difesa, si basa sul DT Kevin Williams, sul DE Jared Allen e sul CB Antoine Winfield.
A dirla tutta la stagione parte abbastanza in sordina, con due vittorie senza clamori contro Browns e Lions dove Favre si limita a gestire l’attacco in maniera abbastanza anonima. Il primo squillo arriva in week 3 contro i 49ers al Metrodome, dove i Vikings incappano nella classica giornata no e giocano una brutta partita. Ma Favre non ci sta e sul punteggio di 24 a 20 per i Niners completa un lancio su Greg Lewis per 32 yard nel retro della end zone per una vittoria miracolosa. Il match è stato poi votato il migliore di quella regular season su NFL.com.
La settimana successiva un Monday Night attesissimo vede i Packers vengono a fare visita per la prima volta al loro vecchio QB. I Vikings usano le uniformi throwback e Brett è accolto dai fischi dei tifosi giunti dal Wisconsin. Favre e Rodgers duellano in prime time ma l’offensive line dei Packers non riesce a contenere Jared Allen che regala ai tifosi di casa una delle più grandi prestazioni difensive mai viste a Minneapolis, impreziosita da ben 4,5 sack, uno dei quali per un safety. La partita si conclude 23-20 per i Vikings e Favre diventa il primo QB della storia a battere tutte e 32 le squadre della NFL. Dopo altre 2 vittorie, in week 7 a Pittsburgh arriva la prima sconfitta della stagione. Ma la settimana successiva, a Green Bay, arriva la partita che tutti stanno aspettando, il ritorno di Favre al Lambeau Field. I Vikings giocano meglio nei primi due quarti e segnano due volte con un TD su corsa di Peterson e un TD pass ricevuto dal tight end Vishante Shiancoe, per un punteggio di 14-6 all’intervallo. Rodgers si lancia un una furiosa rimonta nel 3° quarto che vede un parziale di 17 a7 per Green Bay ma Favre regala il successo ai Vikings con altri 2 TD pass nel quarto conclusivo (4 in totale) per un punteggio finale di 38 a 26 per Minny. La squadra conclude il campionato con un record finale di 12-4 in virtù di due evitabili sconfitte nelle ultime tre partite che costano ai Vikings il seed #1 nella NFC nei playoff, che andrà appunto ai Saints.
Nel turno divisionale, il 17 gennaio 2010, i Vikings incontrano i Dallas Cowboys al Metrodome, con buona parte degli esperti convinta che Dallas, reduce da una vittoria schiacciante su Philadelphia nel turno precedente, possa porre la parola fine all’esplosiva stagione dei Vikings e di Favre. Tra i tifosi di casa serpeggia un po’ di nervosismo, dovuto anche all’attesa per il match, visto che come seed#2 i Vikings la settimana precedente hanno riposato. Ma la partita non è mai in discussione, attacco e difesa forniscono una prestazione eccellente e l’incontro diventa un incubo per i Cowboys con Favre che lancia 4 TD pass e diventa il QB più anziano a giocare e vincere una partita di playoff (record superato successivamente da Drew Brees e, ovviamente, Tom Brady). La partita a senso unico termina con il punteggio di 34 a 3 per i Vikings, e sarà l’ultima vittoria ai playoff per Minnesota fino al 2017.
La settimana successiva, il 24 gennaio, al Louisiana Superdome di New Orleans, i Vikings giocano il loro ottavo NFC Championship Game, avendo perso gli ultimi 4 (1977, 1987, 1998 e 2000) mentre i Saints sono alla loro seconda esperienza, reduci dalla sconfitta contro i Bears del 2006. Entrambe le squadre giocheranno ancora una finale della NFC, perdendo entrambe in anni consecutivi (Vikings 2017 e Saints 2018).
I Saints sono guidati dall’head coach Sean Payton e hanno nel carismatico QB Drew Brees, prodotto dell’Università di Purdue, il leader di un attacco che quell’anno manda al Pro Bowl oltre a Brees ben tre componenti della offensive line: Jahri Evans (OG), Jonathan Goodwin (C) e Jon Stinchcomb (OT). La difesa è guidata dal LB Jonathan Vilma e dalle due safety: Roman Harper (SS) e Darren Sharper (FS). New Orleans ha chiuso la stagione con un record di 13-3, peraltro perdendo solo le ultime 3 partite di regular season, e nel turno precedente ha distrutto con un punteggio di 45-14 i campioni uscenti della NFC, gli Arizona Cardinals di Kurt Warner.
I Vikings segnano con una corsa di Peterson nel drive d’apertura ma New Orleans pareggia le cose con un lancio di 38 yard di Brees per Pierre Thomas. Nel drive successivo tre penalità contro i Saints portano a un TD pass per Sideny Rice che porta il punteggio sul 14-7 per la squadra di Childress. New Orleans pareggia di nuovo chiudendo la prima serie offensiva del secondo quarto con un TD pass di 9 yard ricevuto da Devery Henderson. Turnover di entrambe le squadre impediscono ulteriori segnature e all’intervallo lo scoreboard indica 14 pari.
All’inizio del terzo quarto le squadre si scambiano touchdown con Thomas e Peterson che segnano ciascuno per la seconda volta nel match. I Vikings commettono altri due turnover nei drive offensivi successivi e Brees capitalizza all’inizio dell’ultimo quarto di gioco con il suo terzo TD pass dell’incontro, questa volta per Reggie Bush. Il receiver in maglia viola (bianca quel giorno) Bernard Berrian perde la palla dopo una ricezione nel drive successivo e il fumble, causato dal defensive back Tracy Porter è ricoperto da Vilma. La difesa di Minnesota riesce a fermare però gli avversari che sono costretti al punt. Favre costruisce un drive che porta, grazie anche a una penalità contro Porter per pass interference, la propria squadra a ridosso della end zone avversaria e nell’azione successiva Peterson segna ancora, portando il punteggio sul 28 pari.
I Saints vincono il coin toss e il resto è storia. Thomas riporta il kick-off di Longwell sulle proprie 39 e Brees guida l’attacco per 39 yard in 10 giochi offensivi, incluso un quarto down chiuso grazie a una ricezione in tuffo di Thomas. Il drive è aiutato da due chiamate arbitrali controverse, un holding difensivo del cornerback Asher Allen e un pass interference commesso dal linebacker Ben Leber. Per concludere in bellezza la disgraziata serata Brees completa apparentemente un lancio di 12 yard per Robert Meachem ricevuto sulle 22 avversarie. Gli arbitri convalidano la ricezione che viene confermata dal replay booth nonostante le immagini mostrano la palla muoversi al contatto col terreno con Meachem che cerca di guadagnarne il possesso. Il drive non riesce a proseguire e il kicker Gareth Hartley centra i pali da 40 yard e manda New Orleans al suo primo Super Bowl in 43 anni di storia.
Minnesota guadagna 475 yard offensive contro le 257 dei Saints, ma commette cinque turnover (3 fumble e 2 intercetti), perdendo la seconda finale NFC in 11 anni a causa di un field goal (1998 contro i Falcons, ma nell’articolo per fortuna c’è spazio per un solo psicodramma vichingo). Favre stabilisce una serie di (inutili) record, alcuni positivi, altri un po’ meno e le 218 yard in più guadagnate nel match restano ad oggi record per una squadra sconfitta nella postseason NFL.
La conclusione di questa partita peserà notevolmente nella decisione della Lega di cambiare l’anno successivo il regolamento dell’overtime nelle partite dei playoff, che da allora da a entrambe le squadre almeno un possesso palla (stranamente i Vikings votaroino contro il cambio di regolamento).
La violenza eccessiva dei Saints durante l’intera partita, in particolar modo nei confronti Favre, fu sottolineata da molti media all’epoca e portò, nonostante i tentativi del front office di New Orleans di negare l’accaduto, allo scandalo che venne a galla nel 2012 con il nome di Bountygate. In breve membri dei Saints nel periodo 2009-2011 avrebbero organizzato un sistema di taglie in denaro per premiare giocatori in grado di causare infortuni a specifici giocatori avversari. Payton fu sospeso per l’intera stagione 2012 (prima volta che un coach veniva sospeso dal 1978). Oltre a una multa di 500mila dollari e la perdita delle scelte al secondo giro dei draft 2012 e 2013, per diversi periodi di tempo furono sospesi anche il defensive coordinator Gregg Williams , il general manager Mickey Loomis e l’assistant head coach Joe Vitt.
Il 7 febbraio 2010, al Sun Life Stadium di Miami, i Saints batteranno i Colts per 31 a 17, aggiudicandosi il Super Bowl XLIV.
Il Minnesota (nome indiano che significa “acqua che riflette il cielo”) conta meno di sei milioni di abitanti, nonostante il territorio si estenda per una superficie equivalente a circa quattro volte quello dell’Italia. Siamo nel cuore del Midwest, immediatamente ad ovest della regione dei Grandi Laghi, e il clima rigido per molti mesi dell’anno fa dell’hockey lo sport ufficiale dello stato. Ma la passione per i Vikings nel mio stato è enorme, rafforzata dalla forte connessione con la regione scandinava (un terzo circa della popolazione è composto da scandinavian-americans) presente nel nome della squadra. La passione per la squadra di football è pari solo a quella per le due icone musicali originarie dello stato: Robert Alan Zimmerman (in arte Bob Dylan) e Prince Rogers Nelson, universalmente conosciuto come Prince.
Nato a Minneapolis il 7 giugno 1958 e morto a Chanhassen (sempre nel Minnesota) per overdose da farmaci il 21 aprile 2016, Prince è stato un cantautore, polistrumentista e produttore discografico, famoso per il suo sound intriso di R&B e di soul, soprattutto nell’ultimo ventennio del secolo scorso.
Il “folletto di Minneapolis“, così ribattezzato per il suo talento estroso e per la sua statura (1,57 m), si è sempre distinto per la totale autonomia che ha caratterizzato i suoi lavori. Nella sua carriera ha cambiato più volte il suo nome per motivi sia artistici che contrattuali, ed è stato fra i primi a fare uso di internet, sia in termini di pubblicità che di vendita dei propri prodotti discografici. Inserito nel 2004 dalla rivista Rolling Stone al 27º posto nella lista dei 100 migliori artisti di tutti i tempi, Prince ha composto in carriera ben 37 album in studio, vincendo ben 7 Grammy Awards, quattro MTV Music Awards ed un Oscar, per la colonna sonora del film Purple Rain. Prince ha anche diretto quattro film, scritto numerose canzoni per il cinema e partecipato a numerosi progetti artistici di rilievo.
Inserito nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2004, Prince è stato anche un grande tifoso dei Vikings, spesso inquadrato nella sua suite durante le partite casalinghe della squadra. Oltre a rendere omaggio al talentuoso tifoso tutti gli anni nel giorno del suo compleanno illuminando lo stadio di viola, i Vikings hanno regalato ai propri tifosi un toccante saluto a Prince durante l’intervallo della loro prima partita casalinga di sempre giocata allo US Bank Stadium, pochi mesi dopo la scomparsa dell’artista. In quella partita, giocata contro Green Bay, il primo touchdown fu messo a segno grazie a un lancio di Aaron Rodgers per il receiver Jordy Nelson. Molti tifosi notarono che Rodgers – Nelson era quasi esattamente il nome completo dell’artista, Prince Rogers Nelson. Proprio nel 2010, all’inizio dei playoff, Prince incise una fight song, dal titolo Purple and Gold, per ispirare i Vikings nel loro tentativo (che come abbiamo appena letto, non ebbe successo) di arrivare alla vittoria del campionato NFL.
E’ praticamente impossibile scegliere le canzoni migliori da un repertorio così vasto, preferisco quindi affidarmi alle statistiche e indicare le cinque che hanno raggiunto la prima posizione nelle vetta della classifica più importante, la Billboard Hot 100: Batdance (1989), Cream (1991), Let’s Go Crazy (1984), Kiss (1986) e When Doves Cry (1984). Per quanto riguarda gli LP, permettetemi di fare una mia personalissima Top 5: Sign O’ the Times (1987),Parade (1986), Purple Rain (1984),Dirty Mind (1980) e 1999 (1982). Per quanto riguarda la scelta della canzone, perdonatemi l’ovvietà, ma la scelta mia e idealmente di tutti i fan dei Vikings , non può che ricadere su Purple Rain, la fantastica title track dell’album del 1984 che rievoca nel titolo quella pioggia viola di lacrime che unisce tutti noi tifosi vichinghi, indelebilmente forgiati dalle tante, troppe delusioni patite negli anni, e perché no, anche dalla perdita di un artista cosi grande come Prince.
La canzone venne scritta inizialmente come un pezzo country che l’artista di Minneapolis regalò a Stevie Nicks perché ne scrivesse il testo, ma la cantante si sentì intimidita, rifiutandosi. E allora Prince decise di scrivere lui il testo. Intervistato anni dopo l’uscita del pezzo sul significato, spiegò che il testo della canzone si riferiva alla fine del mondo: “quando c’è sangue nel cielo, rosso più blu equivalgono a viola. La pioggia viola riguarda la fine del mondo e stare con la persona che ami e lasciare che la tua fede in Dio ti guidi (attraverso quella pioggia).”
E allora, per l’ultima volta, enjoy!