Qualche riflessione sulla regola del 15% nella NFL
Visto il successo del precedente articolo “Chi non può vincere il prossimo Super Bowl: la regola del 15%”, sulla base dei molti spunti ricevuti dai lettori di Huddle Magazine, ho cercato di approfondire la raccolta di dati e la conseguente analisi per verificare il rapporto tra vittorie e incidenza dei salari dei quarterback sul salary cap delle trentadue squadre NFL.
Alla tabellina, che per comodità ripropongo, con l’analisi dei vincitori del Super Bowl degli ultimi 10 anni e l’incidenza sul salary cap dello stipendio dei loro QB:
ho aggiunto anche quella riferita agli sconfitti nei corrispondenti Super Bowl:
In entrambi i casi si vede come il superamento della soglia del 15% è avvenuto solo nel caso di Matt Ryan degli Atlanta Falcons, sconfitti nel Super Bowl LI, mentre, per quanto riguarda gli sconfitti, in soli due altri casi (Manning nel 2013 e Garoppolo nel 2019) si è sfondata la barriera del 10%.
SUPERARE IL 15% DEL CAP PER I QB AIUTA A VINCERE?
Viene quindi da chiedersi se valga la pena investire così tante risorse economiche in un QB, ma per fare questa valutazione è indispensabile andare ad analizzare negli anni che ho preso a riferimento, quante squadre avessero una QB unit con incidenza superiore al 15% del salary cap, mi sembrava più corretto vedere quanto le varie squadre avessero investito in quel reparto più ancora che nel singolo giocatore.
Se dal 2012 al 2015 l’ingaggio dei quarterback raramente superava la soglia oggetto di analisi, è evidente come dal 2016 in avanti sia iniziata la tendenza in NFL di destinare ai propri QB una fetta importante del salary cap, con circa il 15% delle squadre, numero ricorrente in queste analisi, che ha utilizzato più del 15% del tetto salariale per i propri QB. I risultati però non sono stati particolarmente soddisfacenti vedendo che mediamente solo il 50% circa di queste squadre ha raggiunto i playoff.
Bisogna notare come in alcune occasioni questi cospicui stipendi siano stati elargiti da squadre che non avevano realistiche possibilità di vincere il Super Bowl e fossero pertanto costrette a pagare molto i propri QB per trattenerli a giocare in piazze meno ambite (vedi Stafford a Detroit e Rivers a San Diego per esempio), mentre altre volte sono stati dati a QB a fine carriera (vedi Rivers ai Colts ed Eli Manning ai Giants).
Il valore dei contratti dei QB sta aumentando in maniera esponenziale, i 150.815.000 $ in 3 anni di Rodgers e i 230.000.000 $ in 5 anni di Watson sono solo gli ultimi eclatanti esempi di questo trend. Derek Carr, un QB che molto probabilmente non entrerebbe nella top 10 del ruolo di molti esperti del settore, ha ottenuto dai Las Vegas Raiders un contratto di 121.500.000 $ in 3 anni, con oltre 43 milioni l’anno sia per il 2024 che per il 2025. Non c’è dubbio che i General Manager NFL stiano scommettendo pesantemente su di un consistente aumento del salary cap negli anni a venire.
Possiamo considerarlo un azzardo o un rischio calcolato? La mia sensazione è che la lega stia andando sempre di più in modalità Win Now, come, generalizzando, un po’ tutti i settori dell’economia sono orientati alla filosofia del “voglio tutto e subito”. Alcuni concorderanno scomodando il recente esempio di “All In” dei Rams per aggiudicarsi il Super Bowl 2021, dimenticandosi, a mio giudizio, che sono almeno due o tre anni che si sente parlare di “All In” della squadra di McVay, semplicemente perché sacrificano la loro prima scelta al draft quasi tutti gli anni (non ne hanno una dal 2016), ma che ne hanno avute ben 45 negli altri giri negli ultimi 5 anni, classificandosi quinti per il maggior numero di scelte al draft tra le squadre NFL nel suddetto periodo di tempo. Semplicemente i Rams hanno deciso di applicare una politica poco accattivante per i tifosi, ma molto redditizia in termini di risultati: usano le prime scelte, che restano comunque dei rischi perché solo nel 50% circa dei casi il rookie scelto ripaga le aspettative, per affidarsi a giocatori dal provato valore acquistabili tramite trade. In quest’ottica, ben consci dell’aleatorietà del draft, i Rams massimizzano le loro possibilità di successo nella ricerca di talento tra i giovani in uscita dal college aumentando il più possibile il numero di pick.
Ultimato questo importante excursus, ritengo utile valutare l’operato dei General Manager con l’occhio non di una squadra sportiva, ma di un’azienda. Sempre di più i Direttori Generali delle aziende sanno di non avere grandi possibilità di rimanere nello stesso ruolo per lunghi cicli, perché soggetti alle variazioni dei consigli di amministrazione, per cui tendono a scartare tutte le soluzioni a medio-lungo termine, che sono normalmente quelle che danno i veri benefici strutturali ma i cui risultati si vedono solo dopo alcuni anni, in favore di strategie di corto respiro che producono apparenti benefici immediati, ma che si rivelano spesso controproducenti dopo qualche anno. Analogamente, pur di non restare nell’anonimato rischiando così di perdere il posto, molti GM NFL sono disposti a fare scelte molto rischiose quali abusare della flessibilità concessa dal salary cap e stipulare contratti munifici, tutti garantiti o quasi, a free agent che spesso sono a caccia solo della remunerazione sicura prima del ritiro, ipotecando così il futuro di una franchigia. Dave Gettleman, ex GM dei New York Giants, ne è la rappresentazione perfetta a mio giudizio.
Gettleman, arrivato ai Giants nel 2018 ha inanellato quattro stagioni senza mai superare le 6 vittorie e ha effettuato molte scelte controverse come scegliere il running back Saquon Barkley con la seconda scelta assoluta o il quarterback Daniel Jones con la sesta, oppure offrire contratti onerosi al tackle Nate Solder e ai wide receiver Golden Tate e Kenny Golladay, ma soprattutto accompagnando queste mosse con la frase “no guts, no glory”, traducibile con il nostrano chi non risica non rosica. Il risultato finale è stato l’inevitabile licenziamento e una situazione di roster e salary cap disastrosa che il nuovo General Manager, Joe Schoen, impiegherà qualche anno a sistemare.
QUALI RUOLI NELLA NFL HANNO SUPERATO IL 15%
Andiamo adesso ad analizzare negli ultimi 30 anni quali giocatori NFL hanno superato la soglia del 15% del salary cap. Nella successiva tabella si è considerata la massima incidenza percentuale sul salary cap dell’importo medio del contratto stipulato da un giocatore da quando vengono pubblicati gli importi contrattuali, raffrontata a destra da un confronto temporale con epoche diverse, passate quando il maggior contratto era attuale e recente quando questo apparteneva invece ad una decade precedente.
Questa tabella ci permette di vedere anche come è cambiata la considerazione di certi ruoli negli anni, con il classico confronto tra i running back, che con il mitico Barry Sanders nel 1997 hanno sfondato la barriera del 15%, e i ricevitori che non ci sono mai riusciti, né in passato con Jerry Rice, né ultimamente con Tyreek Hill. Da notare come recentemente, un contratto pesante di un running back, ad esempio quello di McCaffrey nel 2020, non si è mai neanche avvicinato alle percentuali del fenomeno dei Detroit Lions, fermandosi a poco di più della metà.
I QB sono sempre stati il ruolo principale nel football americano moderno e se Aaron Rodgers oggi ha un contratto che mediamente l’anno impegna il 24,10% del salary cap, il suo predecessore a Green Bay, Bratt Favre, nel 1997, poteva godersi una comunque non trascurabile remunerazione pari al 19% del tetto salariale.
Si è preferito in quest’analisi considerare gli stipendi medi per annullare gli artifici finanziari dei General Manager che spostano il peso dei contratti su un anno o su un altro a seconda delle necessità, ma ad oggi ci sono ben 11 contratti attivi di quarterback che superano il 15%, quindi vedremo se questa “regola” dell’impossibilità di aggiudicarsi un Super Bowl quando si eccede tale soglia può valere anche per il valore medio del contratto e non solo per il cap hit in quell’anno specifico.
Scorrendo la precedente tabella si può notare come per molti ruoli, ad esempio la linea offensiva e i tight end, non vi siano stati particolari scostamenti tra l’incidenza degli stipendi passata e attuale, con l’eccezione dei right tackle che hanno visto un aumento di più del 50% del loro parametro di riferimento oggetto di questa analisi. Personalmente ritengo che tale variazione sia stata motivata dalla diminuzione d’importanza del lato cieco da proteggere rispetto al lato opposto, perché ormai gli edge sono intercambiabili e molto più mobili lungo la linea, infatti avvengono più sack dal lato del braccio con cui lancia il QB che da quello opposto.
Proprio in tema di edge rusher, abbiamo un duplice superamento della soglia di analisi, con Michael Strahan nel 1999, la cui media del contratto in percentuale sul cap ha raggiunto addirittura il 17% e l’anno passato con T.J. Watt che si è fermato al comunque ragguardevole 15,30%. Questo ci conferma che mettere pressione al quarterback resta sempre una delle priorità quando si decide come comporre il roster di una squadra, indipendentemente dal periodo temporale che si analizzi.
Un ruolo di cui si parla spesso ultimamente come di crescente importanza in questa NFL sempre più orientata al gioco di passaggio è il cornerback, ma se oggi il contratto più pesante sul cap è quello di Marshon Lattimore che incide per il 10,6%, in passato abbiamo chi ha stracciato nettamente tutti e ovviamente non può che essere il grandissimo Deion Sanders, che nel 1999 ha raggiunto addirittura il 19,6%. Questo numero fa ancora più impressione se si pensa che il secondo valore più alto in percentuale è stato raggiunto nel 2013 da Darrelle Revis che si è fermato al 13%. I restanti ruoli sono rimasti invece su parametri analoghi a quelli del passato.
Riassumendo, solo 4 giocatori non quarterback hanno superato la barriera del 15% del cap come incidenza media del loro contratto, di cui 3 sono Hall of Famer NFL, a dimostrazione che possono considerarsi più eccezioni alla regola che la normalità. Escludendo il deprezzamento dei running back e la maggior considerazione per i right tackle, tutti gli altri ruoli hanno avuto, nei loro massimi esponenti, una valorizzazione economica in percentuale che non si è discostata molto nel tempo e che è stata principalmente solo funzione del talento del singolo.
Per quanto riguarda i quarterback, analizzando nel dettaglio i 43 superamenti del 15% di incidenza sul salary cap, più della metà (23) sono riferiti a giocatori tutt’ora in attività e solo 7 sono antecedenti all’anno 2000. La tendenza all’incremento di valore dei loro contratti sembra inarrestabile e se non ci sarà un’inversione di tendenza, riducendosi progressivamente il numero di quarterback con stipendi sotto la soglia di analisi, sarà inevitabile vedere prima o poi infrangere questo tabù; si avvererà il sogno del quarterback in questione di essere non solo ricchissimo, ma anche vincente. Fino ad allora i vari Rodgers, Watson e Mahomes si vedranno costretti a fare i conti con la scelta se rinunciare a un po’ di quei soldi per aumentare le loro possibilità di vittoria o massimizzare i loro guadagni nella visione del football come un freddo business.
Io sono ancora un inguaribile romantico, così innamorato della purezza del gioco che spero di vedere il mio Joe Burrow non piegarsi a queste logiche del profitto, ma continuare a perseguire l’unica cosa per cui si è impegnato fin da quando era bambino: vincere il più possibile e non guadagnare il più possibile. Per questo motivo, anche solo per questioni di scaramanzia, credo che il suo rinnovo di contratto non debba prevedere una cifra di ingaggio, ma una percentuale sul tetto salariale: il 14,99%!
Analisi interessante, anche se a mio avviso manca un punto importante x valutare bene l argomento, cioè l introduzione dal 2010 del rookie scale. Tale evento ha x certi versi compromesso le possibilità di guadagno di molti giocatori, i quali, consci del fatto che di bruciare metà della loro carriera (gli anni fisicamente migliori tra l altro) sotto un contratto “obbligato”, appena ne hanno occasione sono portati a lucrare quanto più possibile sul mercato. Se un tempo avevi un bradford che senza aver messo mezzo piede in campo, ha avuto la possibilità di chiedere un contratto di 6 anni x 80/90M complessivi, adesso, 10 anni dopo e con un salary cap raddoppiato, hai un burrow che è “costretto” a giocare x 4 anni a meno della metà di quanto preso da bradford, subendo tra l altro pure un infortunio che potenzialmente avrebbe potuto mettere fine alla sua carriera (rg3 who?!?).
Ottimo spunto. Guarda di punti non analizzati ne mancano sicuramente molti. È un tema senza fine e io l’ho intrapreso non sapendo dove sarai andato a parare per cui considero questa analisi più un punto di partenza che di arrivo.
Ogni consiglio non può che essere ben accetto.
Grazie
È vero, le motivazioni a tale fenomeno possono essere le più disparate e se si iniziasse ad elencarle tutte nn si finirebbe più. Ad ogni modo vedo la questione rookie scale centrale in questa tesi. Prima della sua introduzione, sceglievi i vari manning rivers etc….e questi iniziavano subito a guadagnare, quindi nel lungo periodo (nel caso andava bene e trovavi il titolare, altrimenti era solo un terribile macigno) riuscivi a farlo entrare nell ottica di puntare al titolo, perché con “meno problemi economici” (lo so, sanguinano gli occhi a leggere una cosa del genere riferita a milionari, ma passatemela ), quindi potevi contenere meglio anche il loro rinnovo.
Il rookie scale ha cambiato le carte in tavola, perche adesso hai giocatori che praticamente “regalano economicamente” metà della loro carriera alle franchigie.
E di questo ne sono consapevoli anche i gm. Infatti, vedendo le prime 2 tabelle che mostrano vincitrici e patrecipanti al super bowl e proprio evidente la direzione intrapresa e cioè che x arrivare al super bowl hai 2 strade:
1) o trovi il qb al draft e sfrutti all inverosimile il suo cintratto rookie x allestire una corazzata
2) o punti su un veterano con ancora qualche cartuccia alla “disperata” ricerca di anelli in modo da fargli digerire una forte decurtazione dello stipendio x circondarlo di talento in modo adeguato.
Le uniche anomalie presenti infatti sono ryan (l unico nel suo prime contrattuale) e garoppolo (contratto basso x un titolare vista l età, in quanto scommessa da parte dei niners).
Ci sarebbe un terzo caso, cioè flacco, ma lo vedo assimilabile ad un rookie contract, in quanto scelto prima dell introduzione del rookie scale, ma che cmq firmò un contratto onesto (5×30)