Huddle’n Music: Bill Parcells, l’ascesa dei Giants e l’album più bello della storia del rap

Domenica 4 settembre 1983

I New York Giants aprono la stagione NFL contro i Rams di Los Angeles; sconfitta senza troppi fronzoli al Giants Stadium, dove i Rams regolano i conti con un 16-6 piuttosto facile ai danni dei padroni di casa che crollano nei primi tre quarti. L’ultimo periodo è una mera formalità.

Sulla panchina dei Big Blue siede un volto nuovo, quello di Bill Parcells. Classe 1941, nativo di Englewood, New Jersey, area che tra l’altro dista solo un quarto d’ora di macchina dal leggendario Giants Stadium. Insomma, Parcells è uno di casa. Al suo fianco, sulla stessa panchina, c’è un assistente allenatore di una decina d’anni più giovane: si occupa dei linebacker e dello special team newyorkese e anch’esso risponde al nome di Bill, Bill Belichick.

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La prima stagione di Parcells finisce con tre vittorie, dodici sconfitte e un pareggio contro i Saint Louis Cardinals a metà campionato. Nel giro di un paio di annate Bill Belichick si guadagna la promozione a coordinatore della difesa e solidifica una 3-4 prepotente proiettata a esaltare il lavoro di Lawrence Taylor, il sistema offensivo dei Giants viene migliorato grazie all’incessante studio di Ron Erhardt, mentre lo special team viene affidato al grande Romeo Crennel. A New York non lo sanno ancora, ma il futuro della National Football League è tutto unito sotto i colori blu e rossi dei Giants.

La famiglia Mara, proprietaria della franchigia, è pronta al grande salto verso il successo più atteso. Quello che sarebbe arrivato al culmine della stagione 1986, di fatto il primo Super Bowl della storia dei Giants giunto in città grazie al pesante successo per 39-20 ai danni dei Denver Broncos. I Big Blue non ottenevano un successo nazionale dal lontano Championship del 1956.

Ma è risaputo che la fame newyorkese non cessa mai e che la pretesa di rimanere sotto le luci dei riflettori è una costante, talvolta opprimente per via delle pressioni mediatiche nella Big Apple. New York City ha un team in grado di fare cose straordinarie, un team che deve ripetersi.

giants music

Accade però che nel 1987 la squadra scivola malamente e rimane fuori dai playoff classificandosi ultima nella propria divisione, e l’anno dopo non partecipa alle eliminatorie nonostante il buon record di 10-6. I Giants campioni al Super Bowl ’86 non giocano playoff per due anni di fila, ma tornano a far palpitare i cuori dei tifosi nel 1989. Cuori poi infranti all’overtime di una delicatissima sfida contro i Rams terminata 13-19 con il touchdown di Flipper Anderson che riceve un lancio di Jimmy Everett da 30 yard. Il gelo più assoluto scende sul già fin troppo freddo Giants Stadium, sembra la fine di un sogno.

Ma non è così, perchè la sofferta sconfitta contro Los Angeles al Divisional motiva lo spogliatoio newyorkese e rilancia il grande ritorno dei Giants.

1990, un passaggio che segna cambi generazionali importanti. Stupendi sotto tanti punti di vista. Sportivi, musicali, economici, informatici… il mondo sta cambiando e il futuro sembra essere più vicino che mai.

I New York Giants del 1990 sono ancora sotto la guida di Bill Parcells. Vincono 13 partite su 16, arrivano ai playoff e spazzano via sia i Chicago Bears (31-3), sia i San Francisco 49ers (15-13 ben più concitato). Infine il sogno diventa realtà nel 20-19 del Super Bowl XXV contro i Buffalo Bills, quando mentre i giocatori di New York si rifiutano di guardarel’ultima azione, il field goal di Norwood finisce “Wide right”.

Il piano difensivo di Belichick funziona a meraviglia, New York gioca la base della cover-2 con due safety profonde nel mezzo preoccupandosi relativamente poco delle corse di Thurman Thomas, quell’anno 1297 yard e 11 TD Rush più oltre 500 in ricezione e altri 2 TD. I difensori dei Giants giocano un incontro fisico, che logora e che ha il fine di distruggere i ricevitori di Buffalo dopo le catch.

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Di fatto succede che la strategia dei Giants costringe i Bills a chiamare le giocate che a Buffalo non avrebbero mai voluto chiamare. Anche questa, se volete, si chiama poesia.

Domenica 27 gennaio 1991, la New York del football torna sul tetto del mondo e Bill Parcells siede per l’ultima volta sulla panchina dei Suoi Giants.

Anni Novanta può voler dire tante cose, forse troppe. Musicalmente parlando sono cambiati scenari melodici e si sono abbattute barriere in ogni genere. Ma a New York City, la prima metà degli anni Novanta, è segnata dall’ascesa di Nasir Jones, meglio noto come Nas.

Nas nasce nel 1973, nel distretto di Crown Heights situato nella profondità più caratteristica di Brooklyn, un quartiere che è principalmente abitato da gente caraibica e di origine ebraica. Proprio a ridosso dell’estate del 1991, e più precisamente il giorno del 19 agosto, quell’area è stata centro di scontri disordini sociali di rilievo.

Il padre è un musicista originario del Mississippi che pratica le arti del jazz e del blues; da piccolo Nas suona la tromba e dopo il divorzio dei genitori lascia la scuola per e frequenta la Five-Percent Nation, un movimento legato alla cultura africana-americana fondato nel 1964 ad Harlem e di matrice fortemente islamica.

Quando il padre se ne va di casa, Nas ha 13 anni. La madre Fannei Ann Jones prende ciò che rimane della famiglia e si trasferisce a Queensbridge per crescere i figli da sola.

nas music

Da adolescente, Nas ha arruolato il suo migliore amico e vicino di casa Willie “Ill Will” Graham come suo DJ. Nas inizialmente era soprannominato “Kid Wave” prima di adottare il suo alias più comunemente noto di “Nasty Nas”. Nel 1989, l’allora sedicenne Nas ha incontrato Large Professor, un importante produttore musicale, ed ha iniziato a frequentare lo studio dove Rakim e Kool G Rap stavano registrando i loro album. Quando questi non erano in studio di registrazione, Nas entrava nella cabina e registrava il suo materiale; tuttavia, nessuno di quei lavori è mai stato rilasciato (oggi potrebbero avere un valore immenso…).

Nel 1994 Nas pubblica il suo disco Illmatic, opera maestra del rap targato East Coast.

L’album di debutto di Nas include le importanti collaborazioni di Large Professor, Pete Rock, Q-Tip, LES e DJ Premier, di fatto la scala reale della cultura Hip Hop newyorkese. Inoltre appariono l’amico AZ e il padre di Nas Olu Dara. L’album ha generato diversi singoli, tra cui “The World Is Yours”, “It Ain’t Hard to Tell” e “One Love”.

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Shaheem Reid di MTV News ha definito Illmatic “il primo LP classico” del 1994 e nello stesso anno Nas ha anche registrato la canzone “One on One” per la colonna sonora del film Street Fighter.

Il sublime predominio nei valori lirici di Nas in Illmatic, combinato al fatto che l’album è stato consegnato nel crogiolo del ribollente conflitto East-West, ha consolidato rapidamente la sua reputazione portandolo a diventare il principale scrittore del suo tempo.

AllMusic ha descritto i testi di Nas su Illmatic come “altamente alfabetizzati” e le sue rime “superbamente fluide indipendentemente dalle dimensioni del suo vocabolario”, aggiungendo che Nas è “in grado di evocare la desolante realtà della vita nel ghetto senza perdere la speranza o dimenticare i bei tempi”.

Ladies’n Gents, Nas.

New York State of Mind, il resto è  storia…

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Alex Cavatton

@AlexCavatton sport addicted dal 1986. Amministratore di Chicago Bears Italia. Penna di Huddle Magazine dal 2018. Fondatore di 108 baseball su Cutting Edge Radio. Autore dei progetti editoriali: Chicago Sunday, Winners Out, RaptorsMania, Siamo di Sesto San Giovanni, Prima dello snap. Disponibili su Amazon

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