[W2] Band of brothers

manningQuattro anni fa era tutto diverso in casa Manning. Niente anelli, niente MVP del Superbowl, niente posto fisso ai Giants, niente contrattoni record. Eli era ancora il fratellino piccolo, quello più giovane ed inesperto, quello capriccioso a cui non piace il sole della West Coast e piange se non lo scelgono i Giants. Peyton era già il migliore QB della lega, conscio dei suoi mezzi ma totalmente logorato dalla rivalità con Tom Brady dominata da quest’ultimo.
L’altra sera, invece, Olivia ed Archie non hanno guardato i loro due figli con gli occhi orgogliosi di chi ha due bambini in NFL, a guidare due grandi franchigie, ma con quelli rilassati di chi si gode lo spettacolo. Se quattro anni fa avrebbero pregato Peyton di non umiliare troppo il fratellino, ieri avrebbero solo detto “Vinca il migliore”, seguendo il feeling di molti addetti ai lavori che pronosticavano un matchup molto equilibrato.

Per i Giants è finita invece molto peggio di come finì nel settembre 2006. Le 17 yarde di Eli nel primo tempo dicono quasi tutto su una partita in cui i Colts hanno preso la palla e ne hanno fatto ciò che hanno voluto, senza mai guardarsi indietro.
Joseph Addai, veloce ed intelligente, e Donald Brown, più fisico, stabiliscono subito un gioco di corse che permette al loro QB di disporre della difesa di New York in modo completo. Primo drive Colts: 7 a 0. Primo drive Giants: una yard. E così via fino all’intervallo, nel quale Indy è andata negli spogliatoi su un 24 a 0 anche strettino. Se Reggie Wayne, nel secondo drive, non avesse droppato un pallone facilissimo, in campo aperto, saremmo qui a parlare di una partita finita nell’ordine dei 60 a 14, non 38 a 14.colts
La difesa dei Giants non è riuscita ad opporsi, in nessun frangente della partita, all’attacco avversario. L’attacco si è svegliato con colpevole ritardo solo nel terzo parziale, con un passaggione di Eli sul profondo per Mario Manningham. Le corse non hanno funzionato, e forse questo sminuisce, in qualche modo, la prestazione degli uomini di Jim Caldwell. Qualora i Colts avessero vinto in modo così sfolgorante pur concedendo le loro classiche centinaia di yard di corsa, potremmo concludere che la sconfitta di settimana scorsa era stata solo un episodio. Così non possiamo, vista la pochezza di questi Giants. Che, ciliegina su una torta indigesta, hanno anche perso Brandon Jacobs durante la partita per problemi disciplinari, quando il prodotto di Southern Illinois ha fatto rimbalzare il suo casco sul terreno per poi farlo atterrare involontariamente sugli increduli tifosi dei Colts, qualche fila più in là. Risultato? Coughlin che gli dice: “Dai, siediti pure lì, prenditi una pausa!”.
Venute meno anche per questo episodio le corse dei dirimpettai, ad Indy è bastato pressare Eli con regolarità per non correre alcun rischio e ridare la palla in mano a Peyton con costanza. Impressionante la prova di Robert Mathis (2 sack) soprattutto nelle prime azioni, e bene anche Dwight Freeney. Dall’altra parte, censurabile l’idea di giocare con un linebacker e 6 DB, cosa che ha permesso ai Colts di stabilire il gioco di corse che ha aperto varchi inaspettati al braccio di Peyton.

Sul piano anedottico-sentimentale dell’incontro tra i due fratelli, la cronaca è pure più opaca di quella di una partita scontata come è stato il Sunday Night. Un paio di strette di mano prima della partita, una pacca della spalla alla fine, tanta indifferenza nel frattempo. Il rapporto è abbastanza facile da intravedere, è probabilmente qualcosa che esiste solo fuori dal campo, se escludiamo i clinic estivi che tengono con il terzo fratello ed il padre. Le dichiarazioni della vigilia sono sempre le stesse: “No, non ci pensiamo…” e crediamo che sia veramente così.
Il rapporto tecnico è altrettanto palese. Peyton rimane un predestinato, ha più intelligenza e più maturità, oltre che più precisione. A parte quel titolo del coltsSuperBowl, nulla è cambiato per lui dal 2006, e proprio la notte del Lucas Oil testimonia quanto questo sia vero. E’ riuscito ad infondere in tutti i suoi compagni di squadra l’orgoglio che ha permesso loro di strapazzare i Giants, e non ha sbagliato nulla quando era più importante, cioè nel primo quarto.
Eli quindi rimane la seconda scelta della famiglia. E’ più atletico, sfugge meglio alla pressione, ma non sa essere decisivo, oltre a sparire nel confronto col fratello. Senza quei 15 giorni in cui regalò il più grande upset della storia del football alla grande mela, probabilmente i Giants non l’avrebbero ricoperto d’oro rendendolo il più pagato giocatore della lega, anzi starebbero mandando i loro scout a vedere le partite nei college per trovare un erede migliore. Dopo 6 anni nella lega dovrebbe essere al suo apice, sembra che invece dovrà aspettare ancora un po’ prima di ritornare sui palchi che Peyton, nella post season, calca con alterne fortune.

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Niente esternazioni su un possibile ritiro da parte di Peyton, e siamo fiduciosi nel rivedere un “Manning Bowl” tra altri 4 anni. Nel frattempo si dedicherà alla ricerca del quinto titolo di MVP della lega ed all’inseguimento al secondo SuperBowl, stavolta da vincere per riscattare l’onta del febbraio scorso. I Texans hanno stentato questa settimana, così come i Titans sconfitti da Pittsburgh in una partita incredibile. L’orizzonte è quindi un po’ più terso per i Colts e per il loro QB.
Le prospettive divisionali di Eli, invece, sono di più difficile previsione. Con il tonfo di Dallas e la sconfitta di Washington tutto è meno definito e la corsa ai Playoff potrebbe davvero rivelare sorprese. Che a poco serviranno se New York giocasse ancora come l’altra sera.

 

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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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