[W01] Miami Dolphins vs Atlanta Falcons

nflMiami Dolphins – Atlanta Falcons 7-19

La partita inaugurale che metteva di fronte le due squadre rivelazione della scorsa stagione, attese da tutti alla classica prova del nove, si chiude con una domanda: “Sono i Falcons ad essere davvero forti o i Dolphins ad essere davvero deboli?”. Come sempre succede, la verità sta nel mezzo.
Atlanta ha fatto una bella figura, ma ha mostrato qualche cosa da registrare. E’ piaciuta l’intensità della difesa, uno dei punti da tarare rispetto ad un anno fa. Ha perso pezzi importanti e storici, come Brooking, Boley e Milloy, ma ha aggiunto la gioventù di Peria Jerry e l’esperienza di Mike Peterson, a fianco di un Curtis Lofton decisamente avviato ad una luminosa carriera. E il risultato è stato un reparto che ha concesso pochissimo a Miami – alla vigilia forse temuta più per i trucchi che poteva mettere in pista che non per il suo attacco “standard” – forzando 4 palle perse e tenendoli alla fine a soli 7 punti, arrivati per di più solo nel finale. E’ piaciuto molto l’innesto sicuramente più atteso ad Atlanta, quel Tony Gonzalez venuto in Georgia per provare a vincere qualcosa e che ieri, ogni volta che ha avuto il pallone in mano, ha fatto quello che ha voluto contro il pacchetto arretrato della difesa dei Dolphins: per lui 73 yards e 1 TD con sole 5 ricezioni. Ed alla fine è piaciuto anche Matt Ryan, pur con qualche ombra: le sue ottime cifre (22/36 per 229 yds, 2 TD, 0 int) nascondono però qualche incertezza, soprattutto all’inizio (ma lì la difesa di Miami aveva iniziato con una buona pressione), e qualche passaggio lanciato fuori misura in  un modo che lo scorso anno era sconosciuto; per carità, sono dettagli, ma d’altronde il ragazzo ci aveva abituato bene. Fra le cose da registrare, invece, possiamo mettere gli errori di Jason Elam (2 fg calciati larghi, ma diciamo che è stato un episodio) e soprattutto il running game. I Falcons si sono fermati a sole 68 yards (e 65 sono di Michael Turner) con una media di 2.5 yards per portata: decisamente poco per il reparto che lo scorso anno era stato fra i più prolifici della lega, e sicuramente un motivo di riflessione in settimana per il coaching staff.
Opposta, ovvio, è invece l’analisi per i Dolphins, dove le ombre prevalgono sulle luci. Fra queste ultime la buona tenuta della difesa sulle corse, le buone prestazioni di qualche singolo giocatore (su tutti Davone Bess in attacco e Philip Merling in difesa) e la constatazione che, guardando le cifre finali, la differenza con i Falcons non è stata poi così netta: 16 primi down contro 19, 259 yards totali contro 281, 29 minuti di possesso contro 31; l’impressione quindi – ed addentriamoci fra le ombre – è quella di una partita che era certamente alla portata, che i Dolphins non hanno fatto abbastanza per provare a vincere e che invece sono riusciti a perdere soprattutto per colpe proprie. Sì perché la differenza l’hanno fatta le 4 palle perse (1 intercetto e 3 fumbles) che a Miami sono costati cari, le piccole occasioni non sfruttate nel corso della partita e, più in generale, la sensazione di un atteggiamento non ottimale da parte di tutti, coaching staff compreso. Sì, perché molte delle decisioni e delle chiamate dei Dolphins sono state rivedibili, come la decisione di lanciare nella mischia un Pat White chiaramente non pronto, oppure l’insistenza nel voler provare la wildcat o altre opzioni “innovative” che ha forse ostacolato Pennington nel trovare un ritmo nella propria partita. E alla fine, un errore qui e un errore là, i Falcons hanno preso il largo e ben prima della fine si è capito che non erano questi i Dolphins che potevano pensare di sbancare Atlanta.
La chiave di lettura più giusta sembra in effetti questa: un approccio un po’ soft alla partita da parte degli ospiti, e più cattiveria da parte dei Falcons, magari anche per il fatto di giocare in casa: le quattro palle perse da Miami o la sensazione di ‘dominio fisico’ palesato ad esempio da Tony Gonzalez o da John Abraham (da rivedere l’azione in cui abbatte letteralmente un tackle come Jake Long, ben più grosso ed alto di lui, per andare a sackare Pennington) si possono spiegare anche con una differenza di motivazioni e di approccio alla gara. Bene per i Falcons che partono col piede giusto, male per i Dolphins che, col calendario che hanno, non possono permettersi molte altre prestazioni come questa.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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