Fred “The Hammer” Williamson ed il trash talking

Nel football “moderno”, il trash talking è ormai (e personalmente aggiungo “purtroppo”) parte integrante del gioco. Lo scambio di cortesie tra avversari è continuo e costante durante il gioco, e spesso rimane confinato dentro il gridiron, per cui non sapremo mai cosa si siano detti due giocatori, a meno che non vengano ripresi, e a volte direttamente microfonati, dalla troupe di NFL Films.

Non manca, però, anche il trash talking pubblico, che a volte si risolve in momenti esilaranti come quelli vissuti nella wild card 2003 a Green Bay dove, al sorteggio per l’overtime, il quarterback dei Seahawks Matt Hasselbeck, dopo aver vinto il lancio della monetina, dichiara a microfoni aperti “We want the ball and we’re going to score”. Inutile dire che non solo i Seahawks non segnarono, ma Hasselbeck lanciò un intercetto che Harris ritornò in touchdown dando ai Packers la vittoria. Bisogna sempre essere attenti, quando si fanno e si dicono spacconate. Gli americani dicono “don’t trash talk if you can’t back it up”, e proprio di un esempio di trash talk finito male vogliamo raccontarvi oggi.

Siamo nel 1967. NFL ad AFL sono alla fine della loro battaglia per la supremazia nel mondo del football professionistico, e le due leghe hanno appena concordato un cammino pluriennale che porterà alla fusione iniziando dal primo AFL-NFL World Championship, la sfida tra i campioni delle due leghe che prenderà presto il nome di Super Bowl.
A rappresentare la AFL ci sono i Kansas City Chiefs di Hank Stram, una squadra solida e con giocatori fortissimi come il quarterback Len Dawson, il running back Mike Garrett, il ricevitore Otis Taylor, i due defensive end Jerry Mays e Buck Buchanan e la safety Johnny Robinson. In difesa spicca anche il nome di Fred Willliamson, di ruolo defensive back, di professione trash talker.
Williamson può a buon diritto essere definito come il primo (o comunque uno dei primi) giocatore a fare del trash talking e della relativa spacconaggine uno stile di vita ed un tratto distintivo del proprio essere giocatore.

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Fred Williamson era soprannominato “The Hammer”, nickname coniato da lui stesso ed autonomamente sponsorizzato presso giornalisti, tifosi ed addetti ai lavori in maniera quasi ossessiva, al punto che in poco tempo ottenne il risultato sperato: essere riconosciuto non come Williamson, ma come “The Hammer”.
Il soprannome derivava dalla sua tecnica (mutuata dal celeberrimo Headslap perfezionato da David “Deacon” Jones ai Los Angeles Rams) di colpire violentemente il casco dei ricevitori avversari con l’avambraccio in maniera da provocarne, se non lo svenimento, almeno una momentanea perdita della cognizione spazio temporale, mettendoli così fuori combattimento per qualche azione o, quando la tecnica riusciva particolarmente bene, per un quarto o addirittura tutta la partita.

Ricordiamo ai lettori che dovessero sentirsi un po’ confusi dalla descrizione di queste tecniche, che ai tempi, e fino a quasi tutti gli anni ’70, i difensori avevano praticamente carta bianca nella marcatura dei ricevitori. Non solo il contatto era consentito e le regole della pass interference erano davvero molto lasche rispetto ad oggi, ma non c’era alcun limite ai colpi che si potevano portare, non esistevano i “defenseless players” e non esisteva ancora alcuna regola (o meglio, esisteva ma era lasciata alla più che ampia discrezionalità degli arbitri) che limitasse l’uso del casco o che proibisse di colpire l’avversario sulla testa.

Era così, quindi, che Fred “The Hammer” Williamson si era fatto una nomea di difensore che usava ed amava colpire i ricevitori sul casco per tramortirli. Era il suo segno distintivo, e ne andava più che fiero. Gli studi sulla TCE erano ancora molto di là da venire e, semplicemente, quello era il football che si giocava negli anni ’60. Colpi duri, a volte del tutto gratuiti, per intimidire l’avversario prima ancora che fermarlo o giocare il pallone.
Williamson era stato messo sotto contratto da undrafted free agent dai Pittsburgh Steelers nel 1960 dopo aver giocato solo due anni sotto Ara Parseghian a Northwestern come ricevitore senza peraltro eccellere (24 ricezioni per 367 yard e 2 TD il suo bottino al college, non propriamente dei numeri stellari).
A Pittsburgh, coach Buddy Parker provò a trasformarlo in Defensive Back attratto dall’enorme aggressività che metteva nel gioco. Nonostante tutto non riuscì a convincere il coaching staff a trattenerlo, e dopo una sola stagione Williamson si trasferisce ai neonati Oakland Raiders della AFL.
Fu proprio con i Raiders che Fred Williamson esplose come defensive back, conquistando un posto nella All Star della lega per tre anni consecutivi dal ’61 al ’63, prima di passare ai Kansas City Chiefs nel 1965, dove iniziò a coltivare la sua leggenda basata sul martellamento dei giocatori avversari.

Torniamo, quindi, nel 1967 all’incontro tra i Kansas City Chiefs ed i Green Bay Packers. Nella settimana precedente l’incontro, Williamson non tiene la bocca chiusa nemmeno un attimo, parlando e sparlando sui ricevitori dei Packers Carrol Dale e Boyd Dowler.

“Non avrò alcun problema con loro” – disse Fred Williamson a più riprese – “Sono abituato a marcare ricevitori molto più forti, come ad esempio Lance Alworth. Per loro due basterà qualche martellata delle mie. Due martellate per Dowler ed una per Dale dovrebbero bastare per metterli fuori gioco”.

A Green Bay non badarono più di tanto a quelle parole, ma rimarcarono il fatto che la domenica precedente, nella finale AFL contro i Buffalo Bills, lo stesso Williamson dovette essere portato in panchina a braccia quando, nel tentativo di placcare il fullback dei Bills Wray Carlton, era andato ad incocciare con la testa sul ginocchio dell’avversario, restando a terra tramortito. Fred Williamson era rientrato comunque in campo più avanti nella partita, e proprio una delle sue “martellate” su Glen Bass provocò il fumble che interruppe il drive dei Bills, ridando palla a Len Dawson che portò i Chiefs alla vittoria proprio nel drive finale successivo. La fortuna, però, sembrava essersi girata dall’altra parte, durante la partita con Green Bay. I Packers stavano allegramente passeggiando sui Chiefs, e sia Dale che Dowler erano rimasti in campo, senza subire alcuna delle martellate promesse.

Il karma, però, era solo in attesa di fare il proprio lavoro.

Nel quarto quarto, a partita praticamente andata, l’halfback Donny Anderson uscì per una delle leggendarie sweep di Vince Lombardi. Dopo che le guardie in pull avevano spazzato via il primo livello di bloccatori, Anderson si trovò di fronte “The Hammer” che si apprestava al placcaggio.
Esattamente come la settimana precedente, Williamson abbassò il casco per placcare Anderson, ma quest’ultimo lo colpì con una ginocchiata proprio sulla parte laterale del casco, lasciandolo a terra privo di sensi.
Questa volta fu necessaria la barella per portare “The Hammer” fuori dal campo tra i risolini sarcastici dei giocatori in maglia verde.

Fred Williamson

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Anche in questo caso Fred Williamson rientrò in campo per gli ultimi scampoli di partita (ovviamente all’epoca il “concussion protocol” non si sapeva nemmeno cosa fosse), ed il Karma finì il proprio lavoro quando “The Hammer” finì sotto un suo compagno di squadra durante un placcaggio fratturandosi il braccio con cui eseguiva le sue celeberrime martellate.

“The Hammer got Hammered” sentenziarono alcuni giocatori di Green Bay dopo la partita, e non possiamo che concordare. Ed in più, aggiungiamo che spesso e volentieri prima di fare i gradassi bisogna pensarci due volte, per non fare figure barbine in seguito.

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Massimo Foglio

Segue il football dal 1980 e non pensa nemmeno lontanamente a smettere di farlo. Che sia giocato, guardato, parlato o raccontato poco importa: non c'è mai abbastanza football per soddisfare la sua sete. Se poi parliamo di storia e statistiche, possiamo fare nottata. Siete avvertiti.

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