Una stella spezzata: la storia di Darryl Stingley

Una premessa doverosa. Quanto segue è il racconto dell’infortunio più grave verificatosi in campo nella storia della National Football League. Alcune immagini hanno purtroppo la forza del reale, perchè tutto questo è accaduto davvero. Si è ritenuto giusto e opportuno adottare spesso il punto di vista del protagonista, che ha vissuto questa storia sulla sua carne e per metà della sua vita.

Noi tutti vogliamo vedere un gioco duro e aggressivo, ma vogliamo anche che il nostro avversario si rialzi sempre

(John Madden, discorso per la Hall of Fame Induction)

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Gli infortuni nel football. Definizioni.

La National Football League tratta la gestione degli infortuni con estrema attenzione. Oltre agli ovvi problemi di salute per chi pratica uno sport così duro, molto spesso la conoscenza del tipo di infortunio subito da un giocatore costituisce un patrimonio informativo prezioso per la propria squadra e per gli avversari. Durante la settimana vengono rilasciati degli injury report ufficiali, spesso frutto di considerazioni tattiche oltre che di diagnosi mediche. La scala degli infortuni è composta dalle definizioni riportate di seguito.

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Classificazione degli infortuni sulla base della gravità

Questa lista non contiene la voce più grave fra tutte, semplicemente perchè questa definizione è del tutto autoesplicativa e priva di qualsiasi implicazione tattica: career ending injury.

Per sua stessa natura, il football richiede un tributo di questo tipo in tempi e modi imprevedibili.

Non ci si può far nulla, è come per la Formula Uno. E’ intrinsecamente pericoloso: si possono adottare tutte le contromisure possibili e immaginabili, ma rimane uno sport di contatto praticato da gente grossa e veloce che si colpisce in ogni modo, con forza e in velocità.

Nel tempo abbiamo avuto modo di assistere a molti episodi di questo tipo: Joe Theismann, Bo Jackson, Napoleon McCallum, Dennis Byrd, Mike Utley. Tutte immagini forti, ossa spezzate, articolazioni piegate in modo innaturale. E il panico in campo, i giocatori che si sbracciano per chiamare subito i medici con le mani in testa, compagni e avversari che si fermano e pregano. Il silenzio del pubblico che aspetta un gesto, un segno per capire che l’infortunio appena occorso è rimasto entro un certo limite, che la vita di quella persona a terra in campo non è cambiata definitivamente. E ad ognuno di questi episodi la NFL alza il livello di attenzione, perchè il prezzo richiesto sta diventando sempre più difficile da accettare. Il focus negli ultimi anni si è spostato giustamente sui traumi cranici, ma come effetto collaterale i difensori sono indotti a colpire più in basso, perchè loro devono comunque fermare il giocatore con il pallone in mano, non se ne esce.

E non ci sono sconti, purtroppo. Un placcaggio che interrompe una carriera può starci al Super Bowl come nella più inutile partita di preseason, come accaduto a Dustin Keller, tight end dei Miami Dolphins, la cui carriera è stata terminata da un placcaggio basso del safety dei Texans DJ Swearinger in una partita di preseason. Tutti i legamenti del ginocchio, rotula e piatto tibiale partiti in un sol colpo.

Dustin Keller: Career ending injury (2013)
Dustin Keller: Career ending injury (2013)

La carriera di un giocatore che aveva appena cambiato squadra, con buone prospettive di un salto al next level finita a ventotto anni, per un intervento nemmeno troppo sporco, in una partita di preseason che magari serviva solo per affinare un po’ di automatismi e il timing con il QB.

Torniamo ora indietro fino alla fine degli anni Settanta. Come premesso, quella che descriveremo è la storia del più grave infortunio mai verificatosi su un campo della NFL, con l’ovvia speranza di non doverci più confrontare con episodi di questo tipo, semplicemente per rispetto di chi in quel momento sta indossando un casco e un paraspalle e ci si trova in mezzo. Non è una storia facile da accettare.

Darryl Stingley, ricevitore, New England Patriots

I Patriots del 1978, come ci si può aspettare, erano diversi dallo squadrone attuale. Tom Brady aveva un anno, Bill Belichick faceva tirocinio ai Denver Broncos. Erano comunque una bella squadra con un sacco di talento, anche se la forza egemone della AFC Eastern Division degli anni Settanta erano i Dolphins. Molti giocatori brillavano di luce propria, e molti altri sarebbero stati anni dopo i protagonisti di una stagione sensazionale, culminata nella sconfitta al Super Bowl di New Orleans contro i Bears della 46 Defense. Limitandoci all’attacco, per citare i più famosi dobbiamo partire da John Hannah, forse la miglior guardia di sempre; poi c’era Steve Grogan, un buon QB. C’era Russ Francis, tight end eccellente che avrebbe vinto un Lombardi qualche anno dopo con i Niners. Sam Cunningham, buonissimo runner.

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Due ricevitori eccellenti come Stanley Morgan, al suo secondo anno, e quello che in quel momento era visto da tutti come la prossima sensation della NFL nel ruolo, quello che stava per firmare un contratto da top player: Darryl Stingley, numero 84, ricevitore da Purdue. Stingley aveva concluso la stagione 1977 con 39 ricezioni per 16.8 yard di media e 5 TD: considerando che in quel periodo la linea d’attacco non poteva utilizzare le mani nei blocchi e i defensive back potevano contrastare i ricevitori in maniera molto più energica, quelle cifre erano di assoluto rilievo.

Jack Tatum, free safety, Oakland Raiders

In quel periodo i Raiders sono a occhi chiusi una delle squadre alfa della NFL. John Madden è al suo ultimo anno da allenatore, dopo aver condotto la Raider Nation al primo titolo due anni prima e sta per cedere il testimone a Tom Flores. I Raiders sono sostanzialmente ancora quelli che hanno vinto il titolo. L’attacco con Ken Stabler, Branch & Biletnikoff, i due meravigliosi OL Upshaw e Shell. La difesa è sempre fondata sullo zoccolo duro del primo titolo. Matuszak, Hendricks, Villapiano. La secondaria che si contendeva anno dopo anno il titolo di miglior reparto della NFL con quella degli Steelers ora era in fase di rinnovamento. Era arrivato un nuovo corner, il giovane Lester Hayes, e del gruppo precedente era rimasto solo Jack Tatum, free safety.

I giudizi su Tatum sono discordanti. Sicuramente un giocatore eccellente dal punto di vista tecnico. Raramente fuori posizione anche perchè non era velocissimo. Probabilmente il migliore safety della lega contro le corse.

Ma un altro elemento di giudizio verso Tatum comincia a formarsi non appena si ha modo di vedere un suo placcaggio. Tatum doveva intimidire e in molti casi si fatica a dire che non mirasse esplicitamente a far male. Troppa durezza ingiustificata, troppa guerra fra lui e il mondo, troppi colpi portati deliberatamente in ritardo e su avversari senza difese. Racconta Phil Villapiano, linebacker di quei Raiders, che con Tatum era necessario riscrivere la definizione del football, passando da sport di contatto a sport di collisione. E che non importa quanto pieno fosse lo stadio, i placcaggi di Tatum si riconoscevano dal rumore. Nessun defensive back della generazione attuale si avvicina neppure lontanamente a quella violenza negli interventi. Ronnie Lott avrebbe potuto dare una vaga idea, per avvicinarsi a tempi più recenti. Ma non era la stessa cosa.

Alcuni placcaggi di Tatum hanno veramente fatto epoca, come lo scontro con Earl Campbell, un colpo talmente devastante da togliere tutti e due dalla partita anche se  Campbell riuscì a fare un altro passo e a cadere in end zone.

Jack Tatum "piega" Earl Campbell
Jack Tatum “piega” Earl Campbell

Altro colpo celebre di Tatum fu quello su Sammy White dei Vikings durante il Super Bowl XI, in cui il ricevitore prese una botta così violenta da perdere il casco.

Tatum era la definizione da vocabolario di vicious tackler. Nella NFL di oggi probabilmente una congrua parte del suo stipendio sarebbe andata via in multe.

E il personaggio era coerente. In una sua autobiografia scrisse

I like to believe that my best hits border on felonious assault.

In sostanza era orgoglioso del fatto che i suoi colpi più riusciti fossero alla soglia della rilevanza penale.

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Torneremo in seguito sul contesto di questa affermazione.

Una partita di preseason

Il 12 agosto 1978 i New England Patriots vanno a giocare una partita di preseason ad Oakland, contro i Raiders di John Madden. Dopo il quarto periodo di quello che doveva essere poco più di uno scrimmage tra due squadre, per il ricevitore dei Patriots Darryl Stingley la vita non sarebbe più stata la stessa

Terzo e otto. 94 Slant

Terzo e otto. Siamo sulle loro 24 yard. Steve Grogan nell’huddle chiama una 94 Slant. Sono il ricevitore primario, devo arrivare a chiudere una slant sulla linea del primo down. Parto vicino al tight end, vado sprintando per otto yard e taglio nel mezzo con un angolo di 45 gradi. In quel momento mi trovo tra i linebacker e i defensive back, se va tutto bene sono aperto per uno o due secondi. Grogan ha molte opzioni se sono coperto io. C’è Stanley Morgan sull’altro lato che fa la mia stessa traiettoria qualche yard più avanti, oppure c’è Russ Francis, il tight end, che va in diagonale a destra verso la sideline. Se siamo tutti coperti ha i runner, oppure può correre lui, lo sa fare benissimo.

Allo snap esplodo a tutta velocità fino alle 16 yard, taglio in faccia a Lester Hayes, giro la testa e mi aspetto la palla. Niente. Forse Steve è andato da Stanley, o da Russ. Forse ha preso un sack. Poi all’improvviso, quasi un secondo e mezzo dopo il mio taglio, la palla è lì. Alta, troppo alta ma ci provo. Salto più che posso, ma mi passa sopra le dita, non ci posso arrivare. Sono in caduta quando vedo Jack Tatum puntarmi a piena velocità, con tutti i suoi novantatre chili. Il suo sguardo era vizioso, gli occhi brutti. Stava caricando il colpo con l’avambraccio e stava arrivando come un treno. Ho cercato di abbassare la testa per quanto possibile, per evitare il colpo. Mi ha colpito sul casco, sul collo. In piena velocità e con la massima forza. Sono caduto a terra con un tonfo… Adesso cosa vuole questo tizio vicino a me con il camice verde?

(Darryl Stingley)

12 agosto 1978. Il colpo di Jack Tatum a Darryl Stingley

 

Eden Hospital, Castro Valley, Ca. 13 agosto 1978

Bollettino medico:
Ieri sera Darryl Stingley ha subito una frattura con dislocazione nel tratto cervicale della colonna vertebrale. Assistito dal medico dei Raiders, Dott. Donald Fink, il Dottor Manard Pont ha eseguito un intervento della durata approssimativa di un’ora. Stingley ha subito l’applicazione di viti di trazione per correggere la dislocazione del tratto indotta dal trauma. Questa mattina sono stati registrati alcuni movimenti del braccio destro e la reazione agli stimoli in diverse parti del corpo. Al momento non si rilasciano prognosi. Vietate foto, interviste, visite

Cosa era successo?

La NFL del 1978 non era ancora abituata alla possibilità di dover trattare in campo dei traumi spinali a livello di primo soccorso. Bisogna aggiungere qualche particolare al racconto drammatico del protagonista. In rete è possibile trovare il filmato dell’azione. Stingley salta per provare a raggiungere un pallone troppo alto e non ce la fa. Tatum non si ferma e lo colpisce forte. Stingley cade a terra, dove giace immobile, in una posizione del tutto innaturale. Russ Francis si avvicina, si china, prova a scuoterlo piano. Lester Hayes passa di là e procede. Un arbitro si ferma a vedere cosa sia successo. Un infortunio di quel tipo coglie tutti impreparati, più che mai in una partita di preseason dove si pensa che, specie nel quarto periodo, l’impegno e l’intensità agonistica stiano calando.

Arrivano i primi soccorsi dalla sideline dei Pats, ma palesemente non c’è la percezione di cosa sia davvero accaduto a Stingley. Poi cominciano a mettergli a posto le gambe, e vedono che il giocatore non reagisce agli stimoli. I compagni sulla sideline si guardano fra loro, increduli. Quella situazione non torna, non è naturale: Grogan sta parlando con un allenatore, magari per valutare se calciare o giocare il quarto tentativo. Qualche istante dopo, con il martelletto uno dei medici in campo verifica che in quel momento il giocatore non ha riflessi e non risponde a nessuno stimolo. Lo assicurano alla barella e lo portano via, con un collare adagiato sotto la testa. Una fase della vita che Darryl Stingley si stava costruendo con la sua classe e la sua dedizione si era appena conclusa per l’atto deliberato di un altro giocatore.

Il ricovero. Virginia e John Madden

Darryl Stingley si risveglia bloccato in un letto di ospedale, intubato, impossibilitato a compiere qualsiasi movimento. Comincia a piangere e non può asciugarsi le lacrime. Prova a chiamare la sua compagna, ma la voce non esce. Una infermiera a fianco gli dice che non può parlare, perchè è attaccato ad un dispositivo che gli permette di respirare e in sostanza di rimanere in vita, ed esce dalla stanza. Da lì comincia a ricordare che cosa era successo in campo la sera prima.

Un medico gli spiega che oltre ai dispositivi salvavita, il suo letto è collegato ad una macchina per trazione con un peso collegato alla sua testa e per questo non può muovere la testa. E che lui in quel momento era lì con quel cacciavite in mano per regolare la trazione stringendo le viti che Stingley aveva intorno al cranio. Doveva farlo due volte al giorno. Il sangue inizia a scendere dalla fronte, dolori non raccontabili in tutto il corpo. Il medico cerca di tranquillizzarlo, la fuoriuscita di sangue era normale, doveva giusto sopportare per qualche minuto. Arriva un’infermiera, che collega un sacchetto con del liquido scuro agli aghi che ha in vena. “E’ ora di pranzo”, gli dice.

Dopo qualche ora di sonno, Darryl si risveglia. A fianco a lui una figura imponente. Un uomo in lacrime che gli tiene la mano, dicendogli “Darryl, andrà tutto bene”. E’ John Madden, che sta lì a fianco e gli parla.

Mi stava parlando, ma onestamente non riuscivo ad ascoltare tutto tutto. Ad un certo punto mi lascia la mano, si alza in piedi e comincia ad agitarsi selvaggiamente, come faceva sempre a bordo campo… “Infermiera!!! Infermiera!!!” Era allarmatissimo. Arriva di corsa l’infermiera, Madden le indica uno dei macchinari a lato del letto. “Quella roba si è fermata, quando sono entrato stava funzionando ma poco fa si è fermata! Veda di aggiustarla subito!”. Probabilmente si era allentato un cavo della macchina con cui respiravo e non avevo ricambio d’aria. L’infermiera aggiusta il tutto, poi mi toglie il tubo che avevo in gola e rimuove il muco che si era formato. Mi faceva un male del diavolo e riprendo a piangere di nuovo. Madden prova a consolarmi, ma piange anche lui. Se non fosse stato qui e non avesse notato quel guasto, sarei morto soffocato, a quello che mi ha detto l’infermiera dopo che lui aveva lasciato la stanza. Mi danno un sedativo, riprendo a dormire

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(Darryl Stingley)

Tratto da Sports Illustrated, 29 agosto 1983
Tratto da Sports Illustrated, 29 agosto 1983

Per il periodo del ricovero di Stingley in California, John Madden e sua moglie Virginia adottarono la famiglia dello sventurato giocatore. Misero a disposizione la loro automobile, li ospitarono, comprarono vestiti per la compagna di Stingley e per i bambini, poichè arrivarono in California all’improvviso, ancora ignari di cosa li attendesse e della gravità dell’infortunio. Madden andava a trovare Stingley regolarmente alla fine degli allenamenti, scusandosi se arrivava quasi a notte fatta, a volte. Il quadro clinico che stava emergendo era ormai chiaro.

Non ci ho messo molto a realizzare che ero paralizzato, che non avrei lasciato presto quell’ospedale e comunque non lo avrei fatto con le mie gambe. Non me lo ha detto nessuno, non ce n’era bisogno. Tutto il mio corpo ormai era inutilizzabile e non potevo nemmeno parlare. Avevo anche sentito mio fratello che diceva al telefono a mia madre che non avrei più camminato.

(Darryl Stingley)

Lentamente Stingley si abitua a questa nuova condizione. Inizia ad utilizzare gli occhi per comporre frasi, le sue condizioni si stabilizzano gradualmente. Cominciano ad arrivare altri visitatori, ex assistenti dei Patriots ora in California. Molti giocatori dei Raiders, che praticamente si erano organizzati per non lasciare solo lo sfortunato collega. Spesso andavano insieme i DL Rowe e McCoy, spesso le due leggende della linea d’attacco, Gene Upshaw e Art Shell.

 

Stingley con la logopedista (Sports Illustrated, 29 agosto 1983)
Stingley, “a new way to talk” (Sports Illustrated, 29 agosto 1983)

L’unico giocatore dei Raiders che non andò mai a trovare Stingley fu Jack Tatum. Ci sono voci non confermate secondo cui provò ad andare subito in ospedale, la sera stessa dell’infortunio ma non venne ammesso nella terapia intensiva dove stavano trattando il giocatore, ma non ci sono conferme di alcun tipo. Il dato certo è che nei giorni successivi fu l’unico Raider a non presentarsi in ospedale.

Durante uno dei controlli di routine, verso la fine di agosto, il medico ascolta il torace di Stingley con lo stetoscopio più e più volte e va via con una bruttissima espressione sul viso.

Questo va a ordinarmi la bara…

(Darryl Stingley)

Eden Hospital, Castro Valley, Ca. 1 settembre 1978

Bollettino medico:
Durante gli ultimi tre giorni si sono manifestate serie complicazioni relativamente all’attività respiratoria di Darryl Stingley. Questi problemi persistono nonostante le terapie somministrate e possono mettere a rischio le funzioni vitali del paziente. Le condizioni di Darryl Stingley sono ora considerate GRAVI. La sua famiglia rimanga con lui costantemente.

Il polmone sinistro di Darryl era collassato ed era in corso una polmonite. La sua compagna Tina e suo fratello rimanevano sempre accanto a lui. E ovviamente i Madden, ogni volta che potevano. La situazione, se possibile, si era complicata ulteriormente. La polmonite era molto seria e i medici erano scettici sulle possibilità di sopravvivenza.

Non sono mai stato così spaventato. Pensavo davvero che la morte si stesse avvicinando. Non avevo paura del fatto in sè. Se doveva essere così non ci si poteva fare nulla. Ma volevo vivere, giocare coi miei figli, fare due lanci con loro, prendere la palla a calci. Ma se questa era la volontà di Dio, ero pronto. Ero nelle sue mani

L’inizio di una nuova vita

Fortunatamente la polmonite si risolse nei giorni successivi. I terapisti ripresero il loro lavoro, lavorando sulla circolazione sanguigna e sui pochi movimenti ancora possibili. Quando la funzione respiratoria venne ristabilita in pieno, Stingley venne staccato dal respiratore e riprese a nutrirsi e a parlare. Come prima cosa ordinò al fratello di portare per tutti la migliore zuppa di pesce del New England che riuscisse a procurarsi in tutta San Francisco.

Poi venne il turno del medico che ogni giorno andava a registrare le viti di trazione intorno alla sua testa…

Amico, ti stavo aspettando. Volevo dirti una cosa… Se ricomincio a camminare, quel giorno stesso ritornerò in questo ospedale solo per stringerti delle viti intorno alla testa due volte al giorno. Pensi che ti piacerà? Lui mi rispose che capiva la situazione perfettamente e se ne rendeva conto. Aveva anche chiesto di essere sostituito per quel compito infame, ma non era possibile. Mi sentii davvero in difficoltà e provai a scusarmi. Lui mi disse che tutto quell’inferno era una cosa che doveva fare per me, non a me. Con tutto che mi trovavo in quelle condizioni, mi sentii veramente uno stronzo.

Il 18 settembre si riunì tutto il consesso di medici, specialisti, infermieri e familiari nella sua stanza. Iniziarono tutti insieme a cantare Happy Birthday, per festeggiare il ventisettesimo compleanno di Stingley. Riuscirono a muovere il letto e a spostarlo fino a dove potesse vedere un panorama. Il sole, gli alberi, le macchine, le persone in strada.

Il 24 settembre i Patriots tornano a Oakland per giocare una partita di campionato.

La mattina della partita, sdraiato nel mio letto, ho cominciato a pensare a quello che ha fatto Tatum quel 12 agosto maledetto. Per me lui ha deliberatamente scelto di colpirmi in quel modo, senza che ve ne fosse la minima ragione. Non avevo preso la palla, l’azione era finita, non ero una minaccia per lui. Mi ha comunque colpito arrivando in piena velocità con tutta la forza e la cattiveria possibili. Ho giocato contro grandi defensive back. Mel Blount dei Pittsburgh Steelers non ha uguali, e non ha mai dato un colpo gratuito a un ricevitore. Nemmeno il mio compagno Mike Haynes. Tatum poteva fermarsi e non colpirmi, o comunque poteva evitare di colpirmi in quel modo fra la testa e il collo e ridurmi in questo stato. Ma lo ha fatto.

I Patriots vincono con un TD di Sam Cunningham a trentotto secondi dalla fine. Quasi tutti i titolari alla fine della partita andarono in ospedale. In un momento di comprensibile emozione generale consegnarono a Stingley il pallone portato in end zone da Cunningham per la vittoria finale. Raymond Berry, il suo coach di reparto, gli regala una targa d’argento con una citazione di Winston Churchill

Sono sicuro che oggi noi siamo i padroni del nostro destino, che il compito che abbiamo davanti non è al di sopra delle nostre forze; che le prove e le fatiche non eccederanno la nostra resistenza. Finchè avremo fede nella nostra causa, e una indomabile sete di vittoria, questa non ci verrà negata

(Winston Churchill)

The gameball goes to Darryl Stingley (Sports Illustrated, 29 agosto 1983)
(Sports Illustrated, 29 agosto 1983)

Darryl è in uno stato d’animo difficile da capire, evidentemente

Per qualche ragione la presenza dei miei compagni mi spaventava. Avevo accettato la mia nuova condizione, ma avevo paura che ai loro occhi apparissi come la cosa peggiore a cui potessero pensare: un infortunio grave durante una partita. Ma quando li ho rivisti per la prima volta ero eccitato, non spaventato. Volevo fargli vedere che potevo parlare, così non sono stato mai zitto. Una battuta, una parola per tutti. Ero quasi felice. Dissi loro “Ragazzi, per quest’anno mi sa che non ce la faccio. Ma l’anno prossimo ci sarò, e gliela faremo vedere”. Forse ci credevo anche io, speravo che fosse un problema temporaneo. Arrivarono i dottori. Salutai tutti. Maledizione, era il secondo volo verso il New England che perdevo…

Life after football

Qualche giorno dopo Stingley venne trasferito in una struttura specializzata a Chicago. Il periodo della riabilitazione fu molto pesante dal punto di vista psicologico. In tutto e per tutto recuperò solamente i movimenti del braccio destro. Utilizzò la mano per muovere il joystick della sua sedia a rotelle, con cui vagava per i corridoi. Non fu in grado di riprendere nessuna altra funzionalità.

Il drammatico infortunio di Stingley, reso tetraplegico da uno scontro di gioco, rimase un caso unico nella storia della NFL.

Non ci sono giustificazioni di nessun tipo per il comportamento di Jack Tatum. Il colpo in sè come tecnica di placcaggio non sarebbe difforme dal regolamento NFL di oggi, perchè in sostanza non venne portato con l’elmetto. Ma Tatum senza nessuna necessità colpì con la massima violenza un giocatore indifeso che non aveva neppure il pallone in mano. E in una partita che era poco più di un allenamento.

L’eredità più importante dalla tragedia di Darryl Stingley è andata a beneficio dei suoi colleghi giocatori. La medicina ha fatto enormi progressi nel trattamento dei traumi spinali nel football. Dennis Byrd dei Jets e Kevin Everett dei Bills sono riusciti nuovamente a camminare con le proprie gambe dopo aver subito traumi analoghi in campo. Le regole che proteggono i ricevitori sono molto più stringenti, e le indennità che la NFL versa per infortuni di questo tipo sono quadruplicate.

Il ritiro della maglia di Byrd
Il ritiro della maglia di Byrd

Vite parallele

Nella sua autobiografia “They call me assassin”, Jack Tatum si è appunto vantato del suo stile intimidatorio. Purtroppo quel libro uscì poco tempo dopo quell’incidente, e la frase che abbiamo citato in precedenza sulla violenza dei suoi colpi è proprio riferita a quel placcaggio, perchè voleva che fosse un chiaro segnale di intimidazione. Lo ribadiamo ancora: su un giocatore senza difese, senza palla, a pochi minuti dalla fine di una partita di preseason.

La figura di Jack Tatum non è facile da digerire. Questa storia contiene molti elementi utili perchè ciascuno possa trarne un giudizio. Forse quell’episodio non lo abbandonò mai completamente. Alla fine della sua carriera cercò di trovare un concetto di normalità che per una persona come lui non doveva essere banale. Trovò un ideale in una fondazione che istituì a favore dei giovani malati di diabete, malattia che lo portò alla morte nel 2010. C’è una linea che divide un grande colpitore da un giocatore sporco. Tatum l’ha oltrepassata.

Il placcaggio su Sammy White al Super Bowl
Il placcaggio su Sammy White al Super Bowl

Darryl Stingley era diverso da lui.

Perchè la mia vita prenda il suo nuovo corso, devo perdonarlo. Non sarei produttivo se la mia mente venisse occupata da animosità o propositi di vendetta. L’ho perdonato, davvero

Lo ha perdonato quasi subito, ma i due non si sono mai incontrati poichè Tatum avrebbe voluto un incontro pubblico, Stingley no. Tatum tuttavia non ha mai fatto grossi sforzi per cercarlo, anche solo per una telefonata. Stingley gestì la sua nuova vita con la stessa classe che aveva in campo. Non considerò mai la possibilità di intraprendere azioni legali verso Tatum o verso la National Football League. Non ebbe mai nessuna volontà di rivalsa nè mostrò mai un rancore che peraltro, nelle sue condizioni, sarebbe stato anche comprensibile.

Ha lavorato per anni con i Patriots, facendo da scout. Nel 1992 ha istituito una fondazione a Chicago per ragazzi in condizioni disagiate. Dopo aver seguito la parte finale dei corsi in televisione, ha completato il suo cursus studiorum alla Purdue University e alla cerimonia di laurea più di mille persone erano lì ad applaudirlo.

Il 1978 fu anche l’ultimo anno della leggendaria carriera di allenatore di John Madden, che scelse di smettere a soli 42 anni, per iniziare il processo che lo ha portato a diventare praticamente il nome più noto di tutta la NFL. Rimase sempre in contatto con Darryl Stingley, tanto da ricordarlo anche nel suo discorso di introduzione nella Hall Of Fame. La sua fama nel tempo ha smesso di avere confini (che lui avrebbe comunque attraversato in pullman, stante la sua leggendaria paura di volare): prima divenne il più famoso (e meglio retribuito) color commentator della televisione americana (ha smesso nel 2009, dopo trenta anni), poi la sua legacy è stata resa eterna dalla scelta della NFL e della EA Sports di dare il suo nome al videogioco ufficiale della lega Pro. Ma come abbiamo visto, oltre al grande allenatore e al fenomeno mediatico, c’era un uomo di spessore e dal gran cuore.

Gene Upshaw, leggendario giocatore dei Raiders e ex presidente della associazione giocatori, divenne uno dei migliori amici di Stingley ed ebbe a sottolineare con quale forza e con quale dignità Darryl abbia affrontato i trenta anni di vita successivi a quell’infortunio. Upshaw racconta che durante una delle negotiations condotte con la NFL proprio in tema di indennizzi sugli infortuni, Stingley lo chiamò per dirgli “Non dimenticatevi di me” e lui ripose “Darryl, come potremmo farlo?”

Il 5 aprile 2007 Darryl Stingley se ne andò a soli cinquantacinque anni

Il referto autoptico fu chiaro: le cause del decesso furono la compresenza di una polmonite in un soggetto tetraplegico con un trauma spinale, problemi concomitanti a livello cardiovascolare.

Arrivò una nota, che riportiamo alla lettera, rilasciata dai Raiders

Sono profondamente addolorato dalla morte di Darryl Stingley. Lo ricorderò sempre per la sua forza e il suo coraggio. Il mio pensiero e le mie preghiere ai suoi familiari

(John David “Jack” Tatum)

Darryl Stingley (1951-2007)
Darryl Stingley (1951-2007)

Fonti

Le citazioni di Darryl Stingley e i disegni sono tratti da una intervista rilasciata a Marc Mulvoy ritrovata su una vecchia copia di Sports Illustrated del 29 agosto 1983: “Where am I? It has to be a bad dream”

Altre fonti consultate:

ESPN: Darryl Stingley, paralyzed by Tatum hit, dies at 55

New York Times: Grace After the Fall

Merchandising Merchandising

Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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3 Commenti

  1. Premessa: amo i racconti di Mauro Clementi, sempre ben scritti e piacevoli da leggere.

    Questa volta non mi trovo però per niente d’accordo sull’assunzione alla base del racconto, e cioè sul fatto che Jack Tatum era un “criminale” che una volta di troppo ha superato il limite tra grande colpitore e giocatore sporco.

    Non si tratta di campanilismo, vorrei che fosse chiaro e vorrei che credeste alla mia buona fede quando scrivo questo.

    La storia di Stingley è tristissima e non è difficile prendere senza se e senza ma posizione accanto al ricevitore dei Patriots e “odiare” Tatum per aver spezzato una carriera e, in fin dei conti, rovinato la vita di un altro essere umano.

    La verità è che il colpo subito da Stingley non è stato molto diverso da quelli che tanti altri suoi colleghi hanno subito ogni maledetta domenica. Un secondo prima o dopo, un centimetro sopra o sotto, e anche Stingley si sarebbe alzato e sarebbe tornato trotterellando nell’huddle. Il video del colpo sarebbe stato messo dalla stessa NFL nella sua rotazione che esaltava la spettacolarità e la durezza di questo bellissimo sport.

    Ci sono stati tanti colpi ben più viziosi, ci sono stati giocatori che hanno letteralmente rischiato di vedere la propria testa staccata dal collo, ma questi colpi sono stati considerati parte dello spettacolo perché poi quei giocatori si sono rialzati.

    Uno dei tanti video che si trovano su Youtube:
    https://www.youtube.com/watch?v=5QED1UrfW5Y

    Tatum era un intimidatore? Si, senza dubbio. Il colpo duro sul ricevitore che passava nella sua area anche se alla fine non riceveva il pallone era una costante, era un modo per dire “questa domenica se passi di qui sappi che prenderai colpi”, era un modo per far venire le braccine corte al WR e renderlo insicuro durante la ricezione perché preoccupato per il colpo che stava per arrivare.

    Tatum non era l’unico che giocava così, decisamente no.

    Nell’articolo è riportata una frase di Stingley sul DB degli Steelers Mel Blount.

    “Mel Blount dei Pittsburgh Steelers non ha uguali, e non ha mai dato un colpo gratuito a un ricevitore”

    Diciamo che anche Blount ha elargito la sua dose di violenza non necessaria (per un esempio potete chiedere a Cliff Branch):

    https://www.youtube.com/watch?v=nWjq5mE96Nk

    Il colpo di Tatum su Stingley è stato violento ma perfettamente legale. Poteva essere evitato? Forse si, ma giocare a football a meno del 100% perché si tratta di una amichevole non è facile. Sei abituato a giocare al 100% della velocità e a detta di molti è proprio quando cerchi di giocare a “velocità ridotta” che rischi di farti male, perché non sei abituato.

    E’ comprensibile schierarsi senza se e senza ma con la vittima di un infortunio del genere, ma condannare Tatum come criminale per questo colpo lo ritengo sbagliato (e, ribadisco, non perché Tatum fosse un Raider).

    Le regole sono state giustamente via via modificate per proteggere i ricevitori indifesi, ma non è corretto estrapolare quel colpo dal contesto dell’epoca.

    Detto questo, è facile odiare un giocatore che la gente ha iniziato a chiamare “The assassin” dopo l’uscita del suo libro, che ha giocato sulla sua fama di piacchiatore. La verità è che a detta di diversi suoi compagni dopo quel colpo Tatum non è più stato lo stesso. Cresci picchiatore, vedi il tuo avversario che si rialza e continui a picchiare come ti hanno insegnato. Ma se il tuo avversario non si rialza dentro di te cambia qualcosa.

    Vi invito a leggere questi tre articoli:

    http://www.latimes.com/local/obituaries/la-me-jack-tatum-20100728-story.html

    http://deadspin.com/5598492/jack-tatum-killed-darryl-stingley-and-we-made-him-do-it

    http://sports.yahoo.com/nfl/news?slug=jc-tatum040607

    Mako

    1. Ciao Mako,
      prima di tutto ti ringrazio per gli apprezzamenti e per l’attenzione.
      Il tuo commento (la buona fede è chiara, non dovevi premetterla 🙂 ) è molto ben argomentato e merita una risposta che permetta di confrontare con la giusta profondità i rispettivi punti di vista.
      Non ho voluto demonizzare gratuitamente la figura di Tatum, ammettendo durante lo scritto che era comunque un giocatore tecnicamente eccellente. Se parliamo del colpo a Earl Campbell, di quello a Sammy White e credo di molti altri che per età non abbiamo potuto vedere e non possiamo rintracciare facilmente, io non trovo nulla da eccepire. Se il regolamento in vigore permetteva quel tipo di colpi, lui stava facendo il suo e lo faceva egregiamente. E questo metro di giudizio possiamo applicarlo anche sul filmato di Mel Blount che tu mi segnalavi: quel colpo non è “gratuito”, perchè Branch ha la palla. E’ abbastanza evidente che anche Blount non accoglieva i ricevitori dalle sue parti con tè e pasticcini, ma la dichiarazione di Stingley (che è virgolettata, quindi è una citazione letterale) riguardava gratuità dei colpi.
      Il punto più brutto e non contestabile di questa storia è che quel contatto non doveva esserci. La palla era palesemente lontana e Tatum ha scelto di colpire lo stesso. Se Stingley avesse avuto il pallone in mano, quel colpo sarebbe stato legale anche secondo le regole odierne, non trattandosi di un colpo portato deliberatamente con il casco. Ma in quel momento Stingley non andava toccato, non aveva la palla ed era semplicemente un corpo inerte e inerme in caduta.
      Vedendo materiale in rete, emerge una non contestabile propensione al late hit da parte di Tatum che sinceramente mi ha portato ad esprimere il giudizio sulla linea oltrepassata.
      Poi nell’economia del racconto ovviamente il punto di vista che ho “scelto” consapevolmente è quello di Stingley, poichè lo spunto che ho colto parte da una sua intervista del 1983. Relativamente alle fonti che mi hai segnalato e che ho letto, va detto che il discorso d’insieme si tiene e te ne dò atto volentieri. Tatum era la punta dell’iceberg di una fase della NFL in cui il gioco sui lanci era abbastanza “ostacolabile”, di lì a pochi anni le regole sull’interferenza difensiva avrebbero avuto evoluzioni diverse sia per il lavoro fatto dalla secondaria di Pittsburgh che da quella di Oakland. Quindi posso anche accettare la linea secondo cui Tatum fosse un “prodotto” di un sistema che voleva quello, ma ripeto che quel colpo non doveva esserci. E resta pure vero (lo ha detto più volte anche il figlio dello sfortunato ricevitore) che tutte le volte che ha cercato Stingley lo ha fatto “pro domo sua”. Stingley avrebbe voluto solo un incontro privato, mentre Tatum cercava forse in buona fede una empatia che non era facile da trovare, vista la dinamica dei fatti.
      La fama di Tatum è quella di un giocatore tecnicamente eccellente ma dai comportamenti in campo discutibili, e non è un mio giudizio personale ma una sorta di media ponderata di quello che si può trovare in rete sia come materiale video che come pareri di compagni e avversari.

      Concludendo, ti ringrazio per lo spunto di discussione interessantissimo che mi hai fornito e ovviamente grazie ancora per la tua partecipazione.

      Un saluto
      Mauro

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