Ali spezzate: la storia di Sean Taylor

Ὃν οἱ θεοὶ φιλοῦσιν, ἀποθνῄσκει νέος
“Muore giovane chi è caro agli dei”
(Menandro)

Only the good die young
(Billy Joel)

Il 18 novembre 2007 di buon mattino sono a Dallas, in partenza verso casa via Atlanta. Tutto quello che riesco a regalarmi quella mattina è una foto del leggendario Texas Stadium, presa chiedendo al tassista di rallentare. In quella città il giorno di Cowboys​-​Redskins non è un giorno qualunque. E’ una rivalry storica, è lo scontro di titani fra le aristocrazie della NFC East (in quel momento i Giants erano ancora a due titoli)​. La partita comincia tra le strade il giorno prima. Girando tra downtown, Elm Street, Dealey Plaza (diciamocelo, a Dallas non c’è troppo altro…) si vedevano tranquillamente a passeggio tifosi già agghindati da stadio. Diademi piumati in testa mischiati a cappelloni Stetson​, le maglie dei giocatori più amati. Dallas in quell’anno aveva il miglior attacco della NFL: Romo, Owens, Witten, Barber… poi a Dallas trovi sempre i nostalgici di Aikman, Irvin e Smith, quando non di Staubach e Dorsett.

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Le maglie prevalenti fra i tifosi Redskins erano la 26 di Clinton Portis e la 21 di Sean Taylor. Runner e free safety? Se in quel momento il QB è Jason Campbell può anche starci. Ma chiacchierando in giro con i tifosi capisci che su Taylor c’è una consapevolezza differente. Ti dicono che è forte davvero, che domani la sua assenza sarà un problema serio. E’ vero, Sean Taylor non ci sarà, s’è infortunato ad un ginocchio contro i Philadelphia Eagles la settimana prima.

Nessuno avrebbe mai pensato, nemmeno nel suo peggiore incubo, che Sean Taylor non avrebbe mai più rimesso piede in campo.

texas_stadium

​​​La vita di Sean Taylor inizia e finisce in un sobborgo di Miami, Palmetto, dove viveva la sua famiglia. Lui non ha mai rinnegato le sue radici, neppure quando è partita la sua carriera pro​fessionistica. Una superstar della NFL che tornava frequentemente in una zona che non era un ghetto, ma pur sempre con una popolazione media definita “low income” secondo la trita abitudine americana di incasellare le persone in base al reddito.

Sean Taylor era un ragazzo di Miami e non ha mai cessato di esserlo, fino alla fine.

Nasce il primo di aprile del 1983.
Famiglia piccolo borghese, subisce il trauma della malattia materna. Si sente responsabilizzato, vuole tenere insieme la sua famiglia in momenti difficili. In quell’ambiente sociale il football è uno dei pochi strumenti per elevarsi, per uscire da un quartiere così così circondato da altri quartieri molto meno raccomandabili.
Sean comincia a farsi notare nella Gulliver High School, dove gioca runner, safety e all’occorrenza linebacker. Potenza e velocità fuori dal comune. La presenza di un padre che lo incita, lo allena, lo assiste e lo segue per quanto consentito dal suo lavoro di poliziotto.

Il ragazzo è forte davvero. Legge il gioco e colpisce divinamente, ha istinto per la palla.

Nella sua città c’è una università con un programma di football decoroso, per usare un eufemismo. La football life di Sean Taylor è pronta quindi per proseguire con i Miami Hurricanes, dove militerà dal 2001 al 2003. Nel 2001 (Hurricanes campioni nazionali) gioca come nickel back o come dime specialist, perchè il titolare era Ed Reed: non credo possa ipotizzarsi una coppia migliore di safety in tutta la storia del college football. Reed è stato un giocatore dominante per il suo ruolo in questa generazione, Taylor lo stava diventando.

Sean Taylor
​Negli anni successivi Taylor non è più un mistero per nessuno. E’ un giocatore senza punti deboli. In campo è ovunque: magistrale in fase di run support, colpitore feroce, eccellente nelle letture, impressionante come “ball hawk”. Atleta superiore (10.77 sui 100m). Alla fine della stagione 2003 si dichiara come eleggibile per la draft NFL con un anno di anticipo. Un safety reduce da una stagione da junior in cui realizza dieci intercetti e ne riporta tre in touchdown fa sicuramente girare molti sguardi fra le squadre professionistiche.
Non si reca a New York nel giorno della draft, sebbene sia a occhi chiusi una prima scelta, per molti anche entro i primi dieci.
Joe Gibbs e i Washington Redskins non esitano e lo portano nella capitale con il n.5 assoluto.

L’arrivo sotto le luci della ribalta ha qualche contraccolpo su un carattere ancora non consolidato. Taylor è un giocatore da catalogo in campo, ma nella NFL non si vive solo di partite. Lui è un introverso e tra lui e i media c’è da subito un muro. Arriva anche a saltare un appuntamento istituzionale quale il rookie symposium, guadagnandosi la prima multa e una fama di personaggio difficile che non avrebbe certamente voluto.

Il giocatore e l’uomo sembrano quindi due persone differenti

Taylor impiega esattamente tre partite per diventare titolare. E’ la somma perfetta delle caratteristiche del suo ruolo. Legge come Ed Reed, colpisce come Ronnie Lott, raro trovarlo fuori posto. Ricordiamoci che l’anno da rookie per un safety è quasi traumatico quanto quello di un QB. Si cambia radicalmente sistema di gioco, si passa dal confronto fra giocatori forti a quello con giocatori che spesso sono ai limiti della fisica. Un passo fuori tempo e devi correre dietro a Larry Fitzgerald o a Randy Moss in campo aperto.
Ma sembra che Taylor proprio non riesca ad andare fuori tempo. Nel suo anno da matricola colleziona statistiche da top gun del ruolo: 89 placcaggi, 2 fumble provocati, 1 sack e 4 intercetti. Gibbs e Gregg Williams si fregano le mani.

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Sean Taylor

Fuori dal campo però le cose non sono così idilliache.
Un peccato veniale, una guida in stato di ebbrezza poi archiviata dal giudice. Ma un giocatore che è prepotentemente sotto i riflettori per la sua classe in campo è giocoforza oggetto delle attenzioni dei media in ogni occasione.

La carriera di Sean procede quindi sulle fondamenta gettate nel 2004. Negli anni successivi cominciano ad arrivare le conseguenze naturali del suo talento. La convocazione al Pro Bowl, dove piazzerà un placcaggio almeno sonoro sul povero Brad Moorman, un punter che tentava una corsa, il riconoscimento ormai esplicito come punta di diamante di una difesa che aveva ricominciato a far pronunciare alla tifoseria la parola playoffs.

Taylor era ormai nell’elite del ruolo nonostante l’età giovanissima. Era già molto in alto nella categoria in un periodo in cui i nomi dominanti erano quelli di Brian Dawkins e di Ed Reed e dove si stava affacciando un giovane Troy Polamalu.

Parallelamente, i problemi fuori dal campo non cessavano, anche se il suo atteggiamento stava diventando più maturo e spesso riusciva a capire per tempo dove fermarsi. Restava però purtroppo il problema delle cattive compagnie, per usare un eufemismo. Nel giugno 2005 la polizia lo segnala come person of interest a seguito di un episodio in cui gira qualche arma di troppo e viene fatto fuoco contro un’auto rubata. Rilasciato su cauzione, avrebbe in seguito dovuto ricevere una incriminazione formale.

Il 18 novembre 2007, proprio il giorno della gara contro i Cowboys che lui doveva saltare per infortunio, la sua casa nei sobborghi di Miami viene visitata dai ladri. Nella zona si sa che lì ci abita uno molto ricco e molto in vista, spesso assente. Ad un criminale non interessa sapere chi è, basta sapere che lì ci sono i soldi, vedere se ci sono sistemi di allarme o se la casa è frequentata. Come detto prima, Sean sente molto le sue radici. E’ infortunato, sta curando un ginocchio e quindi non può giocare nè allenarsi. Vuole stare a casa con la sua compagna Jackie Garcia (nipote dell’attore Andy) e con la figlioletta di pochi mesi, Jackie.

Fatto sta che pochi giorni dopo, la notte del 26 novembre, i ladri entrano nuovamente in casa sua. Salgono al piano superiore e provano ad entrare in camera da letto. Fanno rumore, Sean si sveglia di soprassalto e riesce a prendere in mano qualcosa di simile ad un’arma, per provare a metterli in fuga. Ma quelli hanno le pistole e in casi come questi purtroppo le armi, specialmente lì, si usano di frequente. Vengono sparati più colpi e uno fra questi recide l’arteria femorale di Sean. La situazione appare subito molto seria, sebbene lui non perda conoscenza, a quanto risulta dalla chiamata di Jackie al 911. Ma a causa della ferita perde una quantità immane di sangue. Viene operato d’urgenza, dai primi bollettini si paventa la presenza di un danno cerebrale. Rimane in coma, riferiscono di due arresti cardiaci durante l’intervento. Tutti i presupposti del dramma, parenti e amici fuori dall’ospedale, in attesa di notizie.

Alle 3:30 del mattino del 27 novembre 2007
Sean Michael Taylor viene dichiarato morto.
Aveva ventiquattro anni.

Il 3 dicembre quattromila persone sono presenti al suo funerale. Tutti i Washington Redskins sono lì, a piangere il loro compagno, quel ragazzo silenzioso che in campo era già un capo. Parlano Roger Goodell, Joe Gibbs, Clinton Portis, LaVar Arrington. La piccola Jackie con una spilla con il numero 21.

Il mito di Sean Taylor ha solo cambiato dimensione, in quei giorni.

Nella partita successiva contro i Buffalo Bills a Landover, la difesa dei Redskins giocò in dieci contro undici la prima azione della partita, indicando il cielo per far capire che lui c’era ancora, facendo con le mani il segno del numero 21.
Clinton Portis dopo un TD su corsa scoprirà una maglia con il volto e la figura di Taylor sotto la divisa da gioco.
Il pubblico del FedEx Field mostra al mondo il numero del loro safety, in un momento di rara intensità emotiva.

Sean Taylor

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La squadra non ha ovviamente accettato la sua perdita. I suoi compagni, specie gli ex Hurricanes Clinton Portis e Santana Moss raccontano di quei giorni come se si trattasse della perdita di un familiare. Moss non riesce neppure a parlare per le lacrime. C’è stata subito la sensazione che proprio quando tutta la sua vita fosse ormai prossima al decollo verso un’altra fase, le sue ali siano state spezzate in quella notte maledetta.
Quel ragazzo sarebbe diventato l’icona del safety degli anni Duemila, perchè aveva già iniziato a farlo. Sul campo aveva solo lati positivi, vederlo giocare azione dopo azione era come avere davanti l’enciclopedia del suo ruolo. I suoi colpi si sentivano in mezzo a novantamila persone, non era mai in ritardo su un lancio, non c’era mai un ricevitore o un tight end che lui non potesse coprire.

I responsabili del suo omicidio sono stati presi, processati e condannati. L’esecutore materiale Eric Rivera non uscirà più dal carcere, stante la condanna per omicidio di primo grado. Se fosse stato maggiorenne al tempo del fatto, sarebbe andato incontro alla pena capitale.

Ad oggi i Washington Redskins hanno disposto un trust a beneficio di Jackie Taylor.

Sean Taylor

I Redskins non ritirano le maglie, ma la sua numero 21 non è più stata assegnata. Il suo armadietto è stato sigillato, e ancora oggi la sua maglia è conservata nello spogliatoio della squadra.

Perchè certe cose non vanno via nemmeno a spezzargli le ali.

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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