La Serra di Huddle: DK Metcalf è molto più che un freak atletico

A livello di risultati, i Seattle Seahawks sono una delle squadre più continue degli ultimi dieci anni. Con due Super Bowl giocati, una vittoria, e sette stagioni da almeno 10 vittorie nelle ultime otto (con la possibilità di arrivare ad otto quest’anno), la squadra di Pete Carroll è una costante quando arriva gennaio. Quello che è cambiato, però, è il modo in cui Seattle vince. L’era della Legion of Boom è un ricordo ormai lontano, e la squadra ora è, per caratteristiche, diametralmente opposta a quella di qualche anno fa. In questa stagione, è terza per DVOA offensivo e 21esima per DVOA difensivo. Se i Seahawks hanno ogni settimana una possibilità di vittoria è generalmente per l’esplosività e l’efficienza del proprio attacco: una delle ragioni principali è l’arrivo sul grande palcoscenico di DK Metcalf.

BOOM OR BUST

Metcalf è stato uno dei giocatori più polarizzanti del draft 2019. Il prodotto di Ole Miss veniva considerato principalmente un freak atletico, dotato di grande velocità e di un fisico da statua greca. Non a caso, il suo tempo sulle 40 yard alla Combine (4.33) è stato il quarto migliore della sua classe, meglio di tanti giocatori che non si portano a spasso quei chili. Allo stesso tempo, il nativo del Mississippi ha sollevato più ripetute alla panca di qualunque altro ricevitore del suo peso nella storia. La sua percentuale di massa grassa pre-draft era arrivata ad 1.9%, ben al di sotto della soglia oltre la quale considerare sano un essere umano.

Metcalf è diventato quasi un meme per via delle foto che lo ritraevano a torso nudo prima in palestra assieme all’ex compagno di college AJ Brown, poi con Pete Carroll durante le interviste di rito pre-draft. Il rischio di innamorarsi di giocatori fisicamente dominanti ma tecnicamente difettosi è sempre valido, e Metcalf sembrava l’ultimo di una lunga serie, anche perché quello stesso fisico aveva dovuto superare la frattura di un piede e un infortunio al collo.

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Quello che sembrava mancare al figlio di Terrence, ex o-lineman NFL era la parte tecnica, con un route running davvero scarno – che a Ole Miss non gli era richiesto per via della sua struttura fisica già dominante contro degli universitari – e un’agilità sugli spazi stretti davvero mediocre per il ruolo; il suo tempo al three-cone drill, l’esercizio usato alla Combine per misurare proprio l’esplosività sul corto, era di 7.38 secondi: molto buono per un uomo di linea, meno per un ricevitore, per di più tra i più quotati della propria classe.

Oggi il numero 14 dei Seahawks è undicesimo per target (68), tredicesimo per ricezioni (43), secondo per yard su ricezione (788), sesto per primi down guadagnati (33) e ottavo per passer rating quando è bersaglio di un passaggio, tra i giocatori con almeno 40 target (123.9).

Quando un ricevitore viene percepito prevalentemente come deep threat, il diretto marcatore avrà l’accortezza di non pressarlo subito allo snap, con il rischio che l’attaccante prenda il vantaggio e si dilegui a fondocampo.

In queste due clip vediamo due tracce molto simili, una curl e una comeback. La differenza tra le due la fa la direzione del taglio da parte del ricevitore: se si gira verso il centro del campo è una curl, se si volta verso la sideline è una comeback.

In entrambi i casi, Metcalf è bravo a “vendere” una traccia lunga e verticale, per poi frenare e guadagnarsi lo spazio sufficiente per ricevere. Nel secondo caso (è il ricevitore in basso sullo schermo), lo vediamo alzare la mano pre snap. Nel linguaggio dei ricevitori, quel gesto indica generalmente una fade, una traccia profonda e totalmente verticale. Magari il giocatore voleva segnalare qualcos’altro, ma non è un caso che Verrett, il suo marcatore, decida di allontanarsi ancora di più da lui, temendo di essere battuto in velocità. Dopo aver corso una dozzina di yard, Metcalf si arresta su una monetina e, con pochi passi, si volta per ricevere il pallone.

Queste sono tracce su cui il numero 14 di Seattle si è palesemente allenato per aggiungere un’altra dimensione al proprio gioco.

In questo caso, invece, Metcalf – il giocatore in alto sullo schermo – viene marcato off-man (cioè banalmente a debita distanza) da AJ Terrell. Come accennato prima, avere questo cuscinetto serve al difensore per non farsi battere sul profondo; di contro, le tracce medio-corte sono preferibili per battere la difesa. Metcalf sfrutta la distanza che il suo marcatore per correre una sluggo, cioè una slant and go: la slant costringe Terrell ad abbassarsi pensando di dover contestare una traccia corta, mentre il cambio di direzione serve al ricevitore per usufruire dal vantaggio acquisito sul lungo, bruciando il cornerback per 37 yard.

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Parlando di tracce medio brevi, Metcalf sta imparando ad usare le mani per prendere un primo ma decisivo vantaggio sul marcatore allo snap. Qui è il X receiver, isolato sul lato debole contro Emmanuel Mosley. Il ricevitore fa quanto appena detto per superare Mosley, e poi gli si piazza davanti correndo una basic, una semplice in-breaking route: per impedire all’attaccante di ricevere il pallone, Mosley non può far altro che spendere una flag.

Ovviamente Metcalf non corre le tracce come un top, ma ha sufficientemente imparato a diversificare il proprio “albero” per massimizzare quello che già sa fare bene. Poi non dimentichiamoci che è solo alla sua seconda stagione tra i pro.

UN INGRANAGGIO NELLA MACCHINA

Se è vero che il nostro è sufficientemente capace di vincere un uno-contro-uno da solo, è anche vero che spesso è l’attacco della propria squadra a metterlo nelle migliori condizioni.

Questa è un’azione interessante, soprattutto perché avviene a ridosso della endzone, quindi il campo è davvero schiacciato. Seattle usa una RPO (run-pass option) per vedere come i linebacker reagiscono al consegnato per il running back.

A differenza della zone read, in cui il quarterback decide all’ultimo cosa fare in base al comportamento della difesa, in situazione di RPO il QB sa già che tipo di passaggio deve effettuare nel caso in cui veda un certo tipo di reazione da parte della difesa.

In questo caso, essendosi i due linebacker abbassati per difendere la corsa, Wilson sa che il suo bersaglio deve essere Metcalf (nel frattempo bravo a fingere di bloccare proprio per la finta di corsa); il numero 14 corre una glance route, cioè una veloce post route che spesso viene eseguita in situazioni di RPO (infatti si chiama anche glance RPO). Metcalf sigilla la presa con il corpo, come se dovesse ricevere un pallone in post basso, e sono sei punti per Seattle.

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Qui il design è abbastanza intuitivo. Minnesota sembra essere in cover 2 man, altrimenti chiamata cover 5, con due safety alta e tre cornerback a uomo. In realtà, la flat (o arrow) del running back di Seattle mostra che i Vikings sono effettivamente in cover 1; la traccia del running back è propedeutica a togliere di mezzo Harrison Smith, con Metcalf che corre una slant, infilandosi proprio nella parte di campo lasciata libera dal difensore avversario.

Qui Dallas gioca una cover 4, con due safety alte e due cornerback che marcano a zona (la loro zona di competenza è l’area verticale lungo la sideline). Infatti, il presunto marcatore di Metcalf allo snap, non lo segue nella sua traccia, ma lascia che lo prendano in consegna le due safety. Peccato che una delle due sia stata attirata dal tight end (il Y receiver sul lato destro), che “si siede” nella zona, attirando la safety dall’alto. Un quarto di campo viene così lasciato sguarnito, ovviamente la parte a cui la crosser di Metcalf punta.

Seattle ha 99 problemi, ma Metcalf non è uno (semicit.). Se la squadra di Carroll vuole fare strada tra gennaio e febbraio, rendere la difesa quantomeno presentabile è auspicabile. Per l’attacco poco male, ci pensa (anche) DK.

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