[NFL] Storia di un riscatto: la vita di Justin Forsett

Da solo, in un angolo, a piangere.

Inizia così la storia di Justin Forsett, attuale running back dei Ravens, autentica rivelazione della squadra del Maryland. Justin è all’ultimo anno di high school, la Grace Preparatory Academy di Arlington (Texas), e viene da due stagioni in cui ha corso per 4.925 yard e segnato 63 touchdown, è stato eletto MVP al Texas All-Star Game e il suo coach è appena tornato da una visita alla Notre Dame con una notizia: sembra che gli Irish vogliano offrirgli una borsa di studio. Justin è emozionato, la sua famiglia è orgogliosa, sta già preparando le valigie per andare al campus quando arriva una seconda, sconfortante notizia: gli Irish hanno scelto altri due running back, più grossi e più robusti, non lui. E nessun’altra università è interessata a Justin. Così, per notti intere, piange, forte, da solo.

Decide di smettere, doveva riprendersi. Apre la sua Bibbia su una pagina a caso: Proverbi, 3:5-6.

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«Confida in Dio con tutto il tuo cuore e non ti appoggiare al tuo giudizio; riconoscilo in tutte le tue vie e Lui appianerà i tuoi sentieri».

Justin Forsett CalJustin capisce di dover credere in sé e di confidare nell’aiuto del Signore. Nel frattempo, il suo coach continua a mandare filmati delle sue giocate in giro per la nazione, ma ancora nessun segno di interesse.
Finalmente, quasi un mese dopo il signing day, un filmato colpisce Jeff Tedford, coach di Cal, il quale ha appena saputo che il suo running back titolare avrebbe avuto una medical redshirt e che, dunque, si sarebbe liberata una scholarship. Guarda e riguarda il video e, infine, decide di chiamare Forsett: Justin ha la sua borsa di studio, il campus di Cal lo attende.

Facciamo un salto fino al 2008, NFL Scouting Combine. Forsett è rimasto tutti e quattro gli anni al college, i primi tre gli ha passati a fare il back-up di Marshawn Lynch, ma nell’ultimo ha potuto mostrare il suo valore, segnando ben 15 touchdown. Alla combine però, gli scout sono scettici. Non importa se è diventato il terzo per yard corse nella storia di Cal, Forsett è troppo piccolo, troppo lento (4.62 secondi sulle 40 yard al Pro Day), al massimo può fare il terzo running back e lo special teamer. I Seahawks decidono di dargli un’opportunità e lo chiamano al settimo round, 25esimo running back del draft. Con caparbietà riesce ad entrare nei 53 del roster, ma dopo il week 1 Seattle ha bisogno di un posto in squadra per un altro giocatore. Forsett piace, ma non abbastanza e viene tagliato.

Per Justin è un brutto inizio, non certo quello che si sarebbe aspettato. La gavetta, dopotutto, fa parte del gioco e la seconda chance arriva quasi subito quando sono i Colts a chiamarlo in squadra, al fine di farne il loro returner. Forsett si impegna, lavoro sodo in allenamento e si guadagna la stima del coach, ma poi il destino si ripete, questa volta con più violenza. I Colts lo tagliano per liberare un posto al veterano Keiwan Ratliff e, come se non bastasse, alla madre viene diagnosticato un tumore. Per Justin è una mazzata, prima il campo lo priva del suo sport preferito e ora la vita vuole portargli via la madre. Justin accusa il colpo e perde lucidità negli allenamenti, ma ripensa ai Proverbi e si affida a Dio.

Justin Forsett Marshawn Lynch SeahawksLa sua fede lo conforta e sembra che finalmente le cose possano andare per il verso giusto. La madre guarisce e i Seahawks lo richiamano in squadra. Tra il 2009 e il 2010 Justin riesce a vivere il periodo migliore della sua breve carriera, finalmente sembra che la sua bassa statura non sia più un difetto, ma un pregio. Nel 2011 però, sulla panchina di Seattle arriva Pete Carroll, un amante dei giocatori fisici, che fa subito intendere a Justin di non essere parte integrante del progetto, causa le acquisizioni di Leon Washington per i ritorni e di Marshawn Lynch come primo running back. Per Forsett non ci sarebbero problemi, è un grande amico di Lynch, gli ha già fatto da back-up a Cal ed il suo completamento anche fuori dal campo e nella comunità, dove l’introverso Lynch ha più difficoltà ad inserirsi.

Tutto questo però, non basta. Forsett si allena, non si lamenta mai dello scarso impiego in campo ed è sempre costante, ma i Seahawks non vedono in lui un potenziale aiuto e non gli rinnovano il contratto. Stavolta Justin ha sensazioni diverse rispetto al passato, non è più un giovane semi-sconosciuto, ma è un giocatore che ha fatto parte di un team importante e ha visto il campo spesso e con buoni risultati, è sicuro che presto arriverà una nuova opportunità.

Justin Forsett TexansIl destino sa essere molto beffardo però, e ciò che Justin sentiva non corrispondeva alla realtà. I primi giorni di free agency passano senza la benché minima offerta, così come la seconda ondata, quella riservata solitamente ai back-up. Per mesi il suo cellulare non squilla, lui continua ad allenarsi e tenersi in forma a Cal, ma è difficile pensare positivamente, fino a quando arriva una chiamata inattesa: Gary Kubiak lo vuole ai Texans. Justin vola a Houston e si trova benissimo, adora il suo coach ed è parte integrante degli schemi offensivi perché sa fare tutto, dal correre in maniera decisa in end zone a bloccare in pass protection. Forsett è convinto di poter essere confermato anche per la stagione 2013, ma la dirigenza non è dello stesso avviso dell’head coach e preferisce puntare sul secondo round Ben Tate come back-up di Arian Foster.

Ancora una volta si ritrova senza squadra, ma non passano che pochi giorni prima che i Jaguars lo chiamino per inserirlo nel loro progetto di ricostruzione. Per la prima volta il suo contratto prevede di più del minimo salariale e, sempre per la prima volta, ha dei bonus. La sfortuna, si sa, ci vede benissimo al contrario della sua più benevola compagna e si abbatte su Justin in maniera subdola. Un infortunio all’alluce lo limita nel training camp ed in pre-season, tagliandolo fuori dai ruoli che contano. Inizia a non essere visto come un giocatore utile, finisce quarto in depth chart, sembra che la gente non apprezzi le sue qualità sul campo.

Justin inizia così a pensare ad un grosso cambiamento nella sua vita. Si è sempre affidato a Dio ed inizia a prendere consapevolezza che forse il campo da football non è il suo luogo. Negli anni ha aiutato tante persone, con le sue preghiere, con la sua bontà, con il suo esempio di caparbietà, magari nei piani del Signore il suo posto è un altro. Quando, a marzo, i Jaguars lo tagliano senza troppe sorprese, il suo addio passa in sordina, ma per Justin è comunque un brutto colpo. In ogni caso, anni di dure esperienze lo avevano reso un uomo migliore e, ora, sapeva che, qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe rimasto in pace con sé stesso.

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L’opportunità che non si aspettava però, doveva ancora arrivare. Un giorno di aprile il suo agente, Doug Hendrickson, lo chiama dicendogli che Ozzie Newsome, general manager dei Ravens, lo vuole in squadra per allungare il reparto running back, dato che Ray Rice sta aspettando la condanna per le percosse alla sua fidanzata (ora moglie) e probabilmente salterà delle partite. Justin è d’accordo, ben sapendo di potersi ricongiungere con coach Kubiak, nuovo offensive coordinator della franchigia del Maryland. Coach John Harbaugh e Newsome non sono impressionati dal ragazzo e decidono di cautelarsi scegliendo al quarto round dell’ultimo draft un running back, ma decidono anche di fidarsi del nuovo coordinatore e accolgono Forsett in squadra.

Justin Forsett Baltimore RavensTutto ciò che Justin ha passato nel corso degli anni lo aveva fortificato e lo aveva preparato a qualcosa di grande e il destino ha voluto che questo qualcosa si realizzasse con una maglia viola addosso. Rice viene condannato e bandito dalla NFL, Bernard Pierce, secondo in depth chart, si infortuna e Justin può finalmente cogliere al volo l’opportunità della vita. Scende in campo e fa faville, rivitalizza il running game di Baltimore, si trova a meraviglia coi suoi lineman che gli aprono autostrade che sfrutta con intelligenza e grande visione di gioco. Con l’ultimo week da giocare, Justin è sesto per yard corse (1.147), primo tra i running back per yard a portata (5.3) e primo, insieme a DeMarco Murray, per corse da più di venti yard (14). Soprattutto, ha ottenuto il rispetto e l’amore di un’intera franchigia.

Non solo sul campo, ma anche nello spogliatoio è diventato un membro fondamentale della squadra. I suoi discorsi, l’aiuto che dà ai giocatori con problemi familiari, tra cui Rice stesso, l’attenzione che rivolge ai giovani e l’esempio con cui guida tante persone sono la base della sua grandezza morale.

Justin ha passato giorni buoi, ma ha sempre trovato la luce e il conforto in Dio. La sua storia insegna a non arrendersi mai, a prepararsi sempre per l’opportunità della vita. Anche ciò che in apparenza sembra impossibile può diventare realtà, e Justin, tanto piccolo in statura quanto grande di cuore, lo ha dimostrato a tutti noi.

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Gabriele Balzarotti

Appassionato di USA e sport americani fin dall'adolescenza, le leggendarie imprese di Ray Lewis hanno reso la mia anima black and purple. Mente dietro alla "Strada verso il Draft", fucina di schede sui giovani talenti che arrivano in NFL, e conduttore di Podcast verso il Draft.

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