[NFL] Ray Rice: perchè la NFL ha fatto bene, ma ne esce male

A cura di Francesco Andrianopoli

Il “caso Ray Rice” è sulla bocca di tutti gli appassionati di football (e non solo, essendo ormai assurto alle cronache ordinarie): la complessità delle questioni trattate, sia dal punto di vista etico che da quello giuridico, ne impone quindi un approfondimento “a freddo”, che non può che partire da un riepilogo dei fatti, per come ci sono noti al momento:

il 15 febbraio 2014 il Baltimore Sun annuncia che Rice e la fidanzata Janay Palmer sono stati arrestati dopo una lite avvenuta in un albergo/casinò di Atlantic City, e successivamente rilasciati dopo la formalizzazione di una accusa di “simple assault” (grossomodo analogo ai nostri reati di percosse e lesioni personali lievi) ai danni di entrambi.
Nei comunicati che seguono, i legali di Rice dichiarano che si è trattato di un “alterco minimo”, e che nessuno dei due ha riportato lesioni né ha sporto denuncia nei confronti dell’altro.

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il 19 febbraio il sito scandalistico TMZ pubblica un video, preso dalle telecamere di sicurezza dell’hotel, in cui si vede Rice trascinare di peso Janay, apparentemente priva di conoscenza, fuori da un ascensore, prima di essere avvicinato da uomini della sicurezza, che ne accertano le condizioni e chiamano la polizia.
I Ravens chiedono spiegazioni a Rice e, dopo averle ricevute, emettono dichiarazioni di condanna dell’accaduto ma anche di supporto a Rice e a Janay, invitandoli a risolvere i loro “problemi di coppia” rivolgendosi ad uno specialista.
Rice non rilascia dichiarazioni pubbliche, ma tutti i columnist legati ai Ravens e alla NFL dichiarano che secondo le loro fonti Rice avrebbe descritto gli eventi come un litigio tra i due trasceso in qualche spintone, per il quale Janay avrebbe perso l’equilibrio, battendo la testa su un corrimano dell’ascensore.

il 27 marzo le accuse mosse a Janay vengono archiviate senza seguito, mentre quelle a carico di Rice vengono trasformate in “aggravated assault”, una fattispecie di reato ben più grave, che prevede una pena detentiva minima di tre anni.
La pubblica accusa dichiara di aver cambiato i capi di imputazione dopo aver visionato tutti i filmati, lasciando intendere di essere entrata in possesso di video che ritraggono anche il momento esatto dello scontro fisico, e non soltanto i secondi successivi.
Il giorno dopo, Ray e Janay si sposano: la data delle nozze era stata già da tempo prevista per l’estate, ma viene inaspettatamente, e senza spiegazioni, anticipata.

il 2 maggio Rice si presenta in Tribunale mano nella mano con Janay, si dichiara formalmente non colpevole e accetta di evitare il processo partecipando ad un programma di recupero che sospende la prosecuzione del giudizio in via condizionale.

il 24 luglio la NFL comunica di aver sospeso Rice per due giornate. La decisione suscita polemiche roventi, e dopo circa un mese, il 28 agosto, Goodell invia una lettera ufficiale agli owner ammettendo di aver sbagliato nella valutazione del caso (“I didn’t get it right”); annuncia inoltre che le pene per le violenze domestiche verranno inasprite, portandole a 6 turni di squalifica per la prima violazione e alla squalifica a vita in caso di recidiva.

Qui terminano i fatti, e iniziano le speculazioni: l’opinione comune è che la NFL avesse accesso al video integrale fin dall’inizio, ed è probabile che sia andata così, nonostante le univoche smentite della lega e anche della pubblica accusa, che ha dichiarato che il video integrale non è mai stato a disposizione della NFL.

Roger-GoodellResta il fatto che TMZ è riuscito ad averlo, quindi è evidente che, se Goodell l’avesse veramente voluto, avrebbe potuto ottenerlo senza problemi: nel peggiore dei casi, il video decisivo è stato visionato ed ignorato/minimizzato; nel migliore, si è scelto di ignorarlo a prescindere, senza neppure richiederlo, con il classico “occhio non vede, cuore non duole”; in entrambi i casi, si tratta di un comportamento meritevole di critica e censura, e in effetti ha suscitato una vasta e meritata indignazione.

Non si può dire lo stesso di chi critica l’operato della NFL sulla base di un ragionamento per cui i fatti, benché gravissimi, contestati a Ray Rice sarebbero di esclusiva competenza della giustizia penale, e non dovrebbero quindi essere rilevanti nel giudizio sportivo: chi segue questa linea di pensiero spesso bolla come “moralismo” gli interventi di una lega professionistica volti a punire fatti che non hanno alcuna connessione con la prestazione sportiva.

E’ una impostazione che non può essere condivisa, perché parte da un presupposto errato: le leghe professionistiche americane non sono degli ordinari datori di lavoro, come ad esempio un consorzio di imprese: sono un “club privato”, regolato da norme interne che sono state elaborate e concordate da tutti i soggetti coinvolti.

In un club privato, la formalità diventa sostanza, e la moralità può diventare legge: ad esempio, se un country club o un golf club stabilisce per regolamento che i propri membri non devono bestemmiare, a pena di espulsione, nel momento in cui qualcuno bestemmia, e viene espulso, non può lamentarsi del fatto che sia una scelta eccessiva, assurda, “moralistica”, ipocrita, oppure giustificarsi con il non aver fatto nulla di grave, di non aver commesso alcun reato.

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Nelle leghe professionistiche americane, e quindi anche nella NFL, il “regolamento interno” è rappresentato dall’accordo collettivo, il Collective Bargaining Agreement o CBA, che impone a tutti i soggetti che fanno parte della lega non solo regole operative, ma anche comportamentali; in particolare, la NFL impone a tutti i suoi membri il rigoroso rispetto di un codice comportamentale, la “Personal Conduct Policy” o PCP.

Nella PCP è introdotto, come principio generale, il divieto di comportamenti che possano essere pregiudizievoli per l’integrità e il buon nome della NFL: più in particolare, è espressamente specificato che:

“It is not enough simply to avoid being found guilty of a crime. Instead, as an employee of the NFL or a member club, you are held to a higher standard and expected to conduct yourself in a way that is responsible, promotes the values upon which the League is based, and is lawful.
Persons who fail to live up to this standard of conduct are guilty of conduct detrimental and subject to discipline, even where the conduct itself does not result in conviction of a crime. Discipline may be imposed in any of the following circumstances:
– Criminal offenses including, but not limited to, those involving: the use or threat of violence; domestic violence and other forms of partner abuse […] ”.

La norma non potrebbe essere più chiara: chi fa parte del “club NFL” è tenuto non solo a non commettere reati, ma anche a tenere un comportamento personale irreprensibile, evitando (tra le altre cose) comportamenti violenti, anche laddove non si traducano in una condanna della giustizia ordinaria.

Ray Rice, William GayE’ quindi irrilevante concentrarsi sul fatto che i comportamenti di Rice possano o debbano essere valutati dalla giustizia ordinaria, e rimanere in quell’ambito: la sua condotta è palesemente “pregiudizievole” per la NFL, rientra in uno dei casi espressamente previsti ed indicati come comportamento non accettabile, ed è ampiamente provata e dimostrata dalle evidenze video (a differenza di altre situazioni analoghe, in cui le prove non sono altrettanto schiaccianti, e quindi è comprensibile sospendere il giudizio finché la giustizia ordinaria non abbia terminato – o comunque portato avanti – il proprio corso, per farsi un’idea più chiara della situazione): basta questo, non è necessario altro per giustificare una sanzione disciplinare.

Così come è fuori luogo l’obiezione secondo cui potrebbero esserci molti casi analoghi che non vengono puniti con la stessa durezza semplicemente perché non conquistano la stessa importanza mediatica: il punto è proprio quello, la NFL impone ai suoi tesserati di non tenere comportamenti pubblicamente criticabili, e quindi guadagnare gli onori delle cronache per un comportamento “moralmente” negativo è già di per sé una violazione.

E’ il caso, ad esempio, delle sanzioni imposte ai proprietari NBA nel momento in cui sono diventate pubbliche alcune loro sgradevoli esternazioni a sfondo razzista: se diventano pubbliche, gettando una cattiva luce sulla lega nel suo complesso, quest’ultima è legittimata a sanzionarle con tutta la durezza che ritiene necessaria.

Se a qualcuno non sta bene essere valutato e giudicato anche dal punto di vista dell’etica e della morale pubblica, oltre che del diritto penale, è libero di fare nell’altro nella vita, piuttosto che il giocatore di football o basket professionista, o il proprietario di una franchigia: nel momento in cui “entra nel club” ne accetta anche le regole, senza condizioni e senza la possibilità di lamentarsene quando il danno è stato fatto.

L’aspetto su cui invece la NFL appare più debole, e più fondatamente attaccabile, è quello delle modalità con cui Rice è stato punito, vale a dire prima con una sospensione blanda (due giornate), poi con il taglio da parte della squadra, poi con la sospensione indefinita; tutto per lo stesso fatto.

Secondo le sue stesse regole, la NFL nell’esercitare il suo potere disciplinare adotta il principio che da noi chiameremmo del “ne bis in idem”: un tesserato non può essere punito due volte per lo stesso comportamento, intendendo non solo il divieto di duplice punizione da parte dello stesso soggetto, ma anche una regola specifica che vieta l’irrogazione di due diverse sanzioni disciplinari da parte della società e da parte della NFL (articolo 46, sezione 4 del CBA: “The Commissioner and a Club will not both discipline a player for the same act or conduct. The Commissioner’s disciplinary action will preclude or supersede disciplinary action by any Club for the same act or conduct.”).

In questo caso, entrambi gli aspetti sembrano essere stati violati: Rice è stato punito due volte dalla NFL (prima con la sospensione per due giornate, poi con quella a tempo indeterminato), ed è stato punito con sanzioni diverse sia dalla società che dalla NFL, ma sempre per lo stesso fatto: questo potrebbe dar luogo ad una impugnazione di una o di tutte le sanzioni, sia da parte del giocatore che della sua associazione (la NFLPA), o addirittura ad una richiesta di risarcimento del danno.

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Aggiornamento 17/09: NFLPA ha decido di appellarsi alla squalifica di Rice perchè non è possibile punire due volte una persona per lo stesso comportamento.

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I Ravens e la NFL, a fronte di un contenzioso del genere, potrebbero difendersi soltanto dimostrando che l’aggravamento delle sanzioni è derivato dall’emersione di nuove prove, o dalla condotta successiva all’evento: voci non ufficiali che provengono dal club lasciano intendere che il “licenziamento in tronco” di un giocatore così importante è stato determinato dal fatto che Rice, parlando con i tecnici, la dirigenza e la proprietà, avrebbe inizialmente minimizzato i fatti, presentando una versione dei fatti molto diversa da quella emersa nel secondo video; a questo punto, la linea difensiva della società e della lega potrebbe essere quella di giustificare le sanzioni maggiorate non con il fatto in sé e per sé, ma come punizione per la condotta sleale e reticente del giocatore.

In ogni caso, e a prescindere da come si svilupperanno queste vicende, se da un lato è scontato che Rice si è macchiato di un comportamento gravissimo ed inescusabile, d’altra parte è difficile negare che la lega lo abbia gestito in modo approssimativo e grossolano.

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Redazione

Abbiamo iniziato nel 1999 a scrivere di football americano: NFL, NCAA, campionati italiani, coppe europee, tornei continentali, interviste, foto, disegni e chi più ne ha più ne metta.

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17 Commenti

  1. Fleccio, figuriamoci se mi posso battere sul piano legale con te 🙂 So benissimo che l’NFL fa quel che vuole e se stabilisce che mettersi le dita nel naso davanti alle telecamere implica 2 giornate di squalifica, lo fa e basta. I giocatori sono prima di tutto employees. Dico semplicemente che fuori dall’NFL c’è l’opinione pubblica americana (intesa in senso lato, con tutte le sue componenti, più o meno minoritarie) e questi provvedimenti mi sembrano più che altro diretti a compiacere settori dell’opinione pubblica al fine di evitare di mostrare il fianco di fronte a possibili attacchi. Che l’NFL non voglia essere minimamente associata ad autori di crimini o che gli owners non vogliano essere considerati come coloro che proteggono gli autori di crimini, è legittimo, ma io contesto proprio il giudizio di fondo, la scelta di essere così. E penso che non siano così pochi i tifosi che vogliono tenere ben distinti i due piani (sportivo e legale-giudiziario-comportamentale).

  2. Ottimo articolo Francesco!

    Per quanto riguarda la parte dove scrivi ‘voci non ufficiali che provengono dal club lasciano intendere che il “licenziamento in tronco” di un giocatore così importante è stato determinato dal fatto che Rice, parlando con i tecnici, la dirigenza e la proprietà, avrebbe inizialmente minimizzato i fatti, presentando una versione dei fatti molto diversa da quella emersa nel secondo video’ sembrerebbe però che i Ravens sapessero cosa era successo esattamente nell’ascensore, se è vero che il loro GM Ozzie Newsome ha detto questo:
    “What we saw on the video was what Ray said,” Newsome said. “Ray didn’t lie to me. He didn’t lie to me.”
    Quindi in questo caso non possono aggrapparsi a nulla. Hanno sperato che la cosa si chiudesse lì ma poi quando è montata la polemica grossa hanno deciso di non volersi scottare oltre con il giudizio dell’opinione pubblica.

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