The Playbook Vol. II – Trevor Lawrence e Justin Fields

«Quello che Dabo Swinney sta consegnando al football professionistico non è Steph Curry, ma il LeBron James della NFL» 

Un estratto del capitolo “Franchise Changers”, dedicato a Trevor Lawrence e Justin Fields che potete leggere integralmente insieme a molto altro su The Playbook Vol. II a breve in in vendita su Amazon in versione elettronica e cartacea.

Franchise changers: Trevor Lawrence, Justin Fields e la speranza di rinascere 

Il Draft NFL è un classico della cultura sportiva americana e anche qualcosa di più. In un mondo sempre più profano e de-sacralizzato, il Draft rimane un momento liturgico nel vero senso della parola. È l’evento che riunisce i fedeli delle 32 sette che compongono il culto organizzato più esteso degli Stati Uniti, assiepati sotto un palco che rivelerà i loro nuovi idoli. Il Draft è una promessa di un futuro migliore per quelle franchigie che più hanno sofferto nel presente, che nella maggioranza dei casi sono quelle che non hanno un franchise quarterback, uno di quei passatori prodigiosi che con la sua sola presenza garantisce la possibilità di contendere per il titolo ogni anno. Un franchise quarterback, reale o in potenza, da almeno la speranza di poter cambiare le cose. Prima del Draft di quest’anno nessuno aveva più bisogno di questa speranza di Jacksonville Jaguars e Chicago Bears, franchigie divise dalla loro storia ma unite dal bisogno di scriverne al più presto un nuovo capitolo. I  giovanissimi Jaguars, fondati solo nel 1995, bazzicano da tempo nei bassifondi della NFL senza intravederne l’uscita. “Da Bears” sono uno dei franchise iconici degli Stati Uniti, ma negli ultimi anni della loro stupenda storia si sono assestati in una mediocrità deprimente. Oltre che nelle discutibili scelte dirigenziali, i recenti passi falsi delle due squadre trovano una radice comune nella mancanza di un franchise quarterback. A ben vedere, Jaguars e Bears sono tra le poche franchigie a non averne mai avuto uno. Per entrambe, l’ultimo Draft potrebbe aver finalmente stravolto la situazione. La notte del 29 aprile, senza alcuna sorpresa, i Jaguars hanno reso Trevor Lawrence da Clemson la prima scelta assoluta del Draft 2021. Dieci scelte e due quarterback più tardi è arrivato anche il momento di Justin Fields da Ohio State, scelto dai Bears dopo una sorprendente trade up dalla posizione numero 20.

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La selezione al Draft ha rispecchiato il percorso di entrambi i prospetti. Lawrence, da sempre il primo della classe, era un prospetto generazionale, idolatrato, ambito e osannato dal momento in cui ha iniziato a lanciare la pelle di maiale. Per lui si è rispolverata la definizione di “perfect prospect”, riservata in passato a gente del calibro di Andrew Luck, Peyton Manning e John Elway. La perfezione di Lawrence è estetica prima ancora che tecnica. Ad uno dei suoi nuovi compagni di squadra, il linebacker Miles Jack, sono bastati pochi minuti di allenamento per arrivare a concludere che «thats what a number 1 pick should look like», è così che dovrebbe apparire una prima scelta assoluta: cascata di capelli biondi, occhi azzurri, spalle large, carisma magnetico e braccio esagerato. Lawrence sembra talmente perfetto da non sembrare neanche del tutto umano. Ha un aspetto etereo, metà arcangelo, metà cavaliere medievale, sembra un uomo messo sulla terra per compiere imprese memorabili. 

A differenza di Lawrence, Justin Fields ha dovuto fare i conti con parecchio scetticismo. Nonostante sia un atleta travolgente e un lanciatore clamoroso, nonostante sia costruito come un carro armato e abbia dimostrato una leadership da generale d’armata, Fields è spesso stato messo in dubbio, denigrato e alla fine escluso da una top 10 a cui, almeno secondo chi scrive, meritava di appartenere. Le critiche non sono una novità per un ragazzo che è stato snobbato persino dalla sua alma mater Georgia, che con una scelta a posteriori assurda gli ha preferito il dimenticabile Jake Fromm, costringendo Justin a ripartire dall’Ohio per guadagnarsi una visibilità e un riconoscimento proporzionali al suo infinito talento. A Ohio State Fields ha giocato su livelli strepitosi per due anni, ma qualcosa non ha convinto del tutto gli scout NFL. Il secondo posto nei QB ranking sembrava inizialmente cosa sua, ma nelle settimane di avvicinamento al Draft lo stock di Justin è crollato ben al di sotto di quelli di Trey Lance e Zach Wilson, due quarterback di università minori e con un pedigree meno impressionante. 

La distanza nella percezione del loro status prima del Draft ha messo in ombra uno degli aspetti più interessanti di questa quarterback class, la lunga rivalità che lega Fields e Lawrence da ormai diversi anni. I futuri quarterback di Bears e Jaguars sono nati lo stesso anno, il 1999, a una cinquantina di chilometri di distanza l’uno dall’altro. Vengono entrambi dalla Georgia, uno dei terreni di caccia prediletti dagli scout, e le loro traiettorie hanno iniziato ad incrociarsi nei primi anni del liceo. Ai tempi della high school Lawrence e Fields si allenavano dallo stesso quarterback coach privato, Ron Veal, che ricorda ancora con stupore le sessioni di lancio tra i due: «era una cosa del tipo “tu completi un passaggio, io ne completo un altro. Tu ne sbagli uno, io non sbaglierò». Fortunatamente abbiamo delle testimonianze video di quel periodo di rivalità adolescenziale. Nel 2017 Fields e Lawrence si sono affrontati nella finale dell’Élite 11, una competizione tra i migliori prospetti liceali del paese, vinta di misura proprio da Fields. In quei video non c’è traccia di trash talking o arroganza, né degli attacchi personali che ci potrebbe aspettare da due giovani stalloni costretti a condividere una stalla troppo piccola per entrambi. Quella tra Lawrence e Fields è sempre stata una rivalità autentica ma mai feroce, anche perché i ragazzi condividono un carattere riservato, quasi austero. Dai loro gesti e dal loro modo di giocare traspariva già all’epoca una maturità sorprendente. Justin e Trevor erano professionisti da molto prima di firmare il loro contratto da rookie in NFL e sono stati l’uno per l’altro lo stimolo a dare sempre di più. Nel momento in cui si davano battaglia all’Élite 11, erano già delle vere e proprie superstar. Lawrence aveva dato vita ad una sorta di culto profano a cui partecipavano tutti gli abitanti di Cartersville, riuniti nello stadio della High School locale a guardare questo Messia del football compiere miracoli ogni venerdì sera. Fields aveva faticato un po’ di più ad affermarsi, ma per la sua stagione da senior aveva le telecamere di ESPN puntate sul campo della Harrison High di Kennesaw. L’attesa per la scelta dei College è stata tra le più febbrili che si ricordi: il sito di scouting 247sports ha una scala di rating compresi tra 0 e 1. Lawrence ricevette uno 0.9999, Fields uno 0.9998, entrambi a un passo dalla perfezione. Il college ha confermato quelle attese: Trevor ha completato una stagione perfetta nel suo primo anno a Clemson, di fatto assicurandosi la prima scelta assoluta con due anni d’anticipo. Come da copione, Justin è partito lento, ha steccato il primo anno a Georgia ma ha recuperato il tempo perso una volta trasferitosi a Ohio State. Per dare una misura delle loro imprese collegiali basta un solo dato: il loro record combinato al College è 54-4, due di quelle sconfitte se le sono autoinflitte nei loro scontri ai Playoff NCAA. Trevor ha vinto il primo, Justin ha dominato il secondo nonostante un colpo terrificante subìto a inizio partita. Sarebbe stato incredibile vederli nella stessa Conference, o addirittura nella stessa Division, darsi battaglia ogni anno per le prossime dieci stagioni. Gli dei del football, però, sono stati di parere diverso e hanno preferito piazzarli agli angoli opposti della NFL. Da un certo punto di vista, forse, è meglio così. Se tutto andrà per il verso giusto e i due proseguiranno il loro dominio anche tra i pro, allora i loro rari duelli genereranno un hype difficile anche solo da immaginare. Il primo incontro in stagione regolare è atteso per il 2024, ma nel frattempo Trevor e Lawrence hanno altro a cui pensare. Entrambi dovranno gestire il peso di due fanbase che sognavano da decenni il loro franchise quarterback e si aspettano che i due ragazzi le accompagnino finalmente alla terra promessa. Il cammino verso il Super Bowl sarà piuttosto arduo per entrambi, perché Jaguars e Bears hanno parecchio da sistemare prima di poter costruire attorno ai loro prodigi una squadra in grado di contendere in postseason. In questo capitolo cercheremo di valutare il contesto in cui i due si troveranno, rispolverando per l’occasione i parametri usati nel primo The Playbook, ovvero talento, coaching staff e supporting cast. Partiamo, in ordine di Draft, da Trevor Lawrence. 

Talento

Dabo Swinney si sta specializzando nel paragonare i suoi quarterback a superstar NBA. Il coach di Clemson lo aveva fatto una prima volta nel 2017, quando aveva messo in guardia la NFL con un monito diventato iconico: «If you pass on Deshaun Watson, youre passing on Michael Jordan». Nonostante Watson si stia bruciando la carriera per uno scandalo di molestie sessuali, il paragone tecnico tra l’allora QB di Clemson e MJ era più che calzante. Quest’anno Swinney ci ha riprovato, paragonando Trevor Lawrence a Steph Curry. Questo accostamento ci convince decisamente meno, anche perché il paragone perfetto sarebbe stato sempre lì, nell’élite del basket NBA. Perché quello che Swinney ha consegnato al football professionistico non è il nuovo Curry, ma il LeBron James della NFL.

Il King e Sunshine (chiamato così per la somiglianza con Raggio di Sole di Remember the Titans) sono partiti da infanzie inevitabilmente diverse – case popolari di Akron il primo, placida middle class bianca il secondo – ma il loro talento prodigioso ha fatto sì che i loro percorsi si assomigliassero sempre di più. Per prima cosa, entrambi sono stati indicati come chosen ones (prescelti) dal momento in cui hanno messo piede al liceo. A 17 anni Lawrence era costretto a lasciare dal retro lo stadio di Cartersville, nel tentativo spesso inutile di non farsi sommergere dalla folla implorante di foto e autografi. Non poteva nemmeno pranzare tranquillo con la sua famiglia senza ritrovarsi padri di famiglia che lo supplicassero in ginocchio di scegliere questa o quella università. Nel 2003 LeBron passò direttamente dal liceo alla NBA, bypassando lo step del college. Secondo l’ex quarteback NFL Trent Dilfer, Lawrence era talmente speciale che avrebbe potuto fare altrettanto, se solo le regole glielo avessero permesso. Infine, come LeBron e a differenza di Steph, Trevor domina in primo luogo grazie ai doni di madre natura, che gli ha regalato un corpo di due metri con due pagaie al posto delle braccia, una coordinazione da ginnasta e un braccio da lanciatore del peso. 

Proprio il braccio è la cosa che più impressiona di Lawrence. Il suo arm talent gli permette di accedere a qualunque punto del campo, con qualunque traiettoria e qualunque angolo di lancio. Sul profondo può far volare arcobaleni di 60 yard che atterrano direttamente nelle mani aperte del ricevitore. Sul livello intermedio, dove alle traiettorie arcuate sono preferibili quelle più dirette, la potenza del suo braccio gli permette di infilare i suoi “laser pass” anche nelle finestre di lancio ristrette. Forse il suo lancio migliore è il back shoulder throw, che è molto utilizzato anche in NFL. Nel lancio back shoulder si lancia verso un ricevitore diretto verso la endzone avversaria, ma anziché servirgli il pallone lungo la direzione di corsa (quindi “in avanti”), lo si piazza indietro (da qui il nome backshoulder) in modo che debba avvitarsi su sé stesso, girarsi verso il QB e completare la ricezione.

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È un lancio che richiede un “tocco”, una precisione e un tempismo perfetti per funzionare, perché se la palla non arriva sulla “spalla dietro” del ricevitore esattamente nel momento in cui questo si sta girando, il lancio finirà sicuramente incompleto perché il WR non può aggiustare la sua corsa alla traiettoria del pallone. Lawrence non è ancora immacolato nelle meccaniche di lancio e nel footwork – a volte la sua altezza lo porta a lanciare con una base di lancio più ampia del dovuto – ma generalmente riesce a sfruttare la rotazione dei fianchi per generare la giusta velocità. A proposito di velocità, Trevor è un’atleta sensazionale. Non stiamo parlando di Michael Vick, ma il ragazzo sa muoversi, è agile per la sua stazza e in campo aperto può aprire la falcata fino a mangiarsi parecchie yard prima di venire atterrato. Non è un caso che l’attacco di Clemson abbia incorporato tantissime corse del suo numero 16, addirittura 231 in tre anni. Le sue gambe saranno il suo principale alleato nei primi anni di carriera, non tanto e non solo negli schemi di corsa chiamati appositamente per lui, quanto nelle situazioni di scramble, quando la pressione o la mancanza di ricevitori liberi lo costringerà a lasciare la tasca. Ci saranno dei momenti in cui «he doesnt know what he doesnt know», sarà talmente disorientato da non capire cosa non ha capito durante l’azione, e in quel caso sarà la sua mobilità a salvarlo, trasformando un sack in una giocata positiva.

Lawrence è un prospetto irripetibile, era destinato a diventare una prima scelta assoluta e così è stato. Ma è davvero il prospetto perfetto che è stato definito? La risposta è no, semplicemente perché i prospetti perfetti non esistono al di fuori del carrozzone mediatico che accompagna ogni Draft cycle. Siamo abituati a ritenere i prospetti di quarterback più promettenti come perfettamente pronti per il professionismo, ma questo è semplicemente impossibile. Benjamin Solak di The Draft Network ha centrato perfettamente il discorso: «Ogni quarterback collegiale è un dio fino a che non diventa eleggibile per il Draft», perché a quel punto analisti e scout prendono il microscopio e si mettono a scandagliare l’all 22 alla ricerca dei difetti più microscopici. A voler essere proprio pedanti, anche nel gioco di Lawrence qualcosa da sistemare c’è. Il prodotto di Clemson ha faticato in particolare all’inizio del suo secondo anno da starter, quando lanciò 7 intercetti nelle prime 8 partite del 2019. Sebbene Trevor sia tornato ad altissimi livelli dopo quella parentesi negativa, in tante sue partite è possibile trovare qua e là aspetti da correggere, qualche lettura errata, qualche lancio troppo aggressivo e qualche scelta un po’ superficiale. Il vero aspetto in cui Lawrence dovrà migliorare è, come si dice in gergo, tra le orecchie, perché il suo processore mentale non è ancora sofisticatissimo. La colpa non è sua, ma del sistema che Clemson gli ha chiesto di dirigere. In estrema sintesi, l’attacco dei Tigers è schematicamente semplice. In South Carolina sanno di avere gli atleti migliori e si curano di recapitargli il pallone in mano il più velocemente possibile, senza bisogno di schemi particolarmente complessi da leggere per segnare valanghe di punti. Ma come si manifesta questa semplicità e come ha inciso sullo sviluppo di Lawrence? Per prima cosa nell’uso smodato di RPO o run pass option. Come ormai sappiamo, nelle RPO il quarterback deve solo leggere il posizionamento e la reazione di un difensore per poi stabilire se lasciare la palla al running back oppure lanciare. Trevor le ha eseguite in modo impeccabile, ma un attacco così dipendente dalle RPO mette davvero poco sul piatto del quarterback a livello di lettura post snap dell’azione.  Allo stesso modo, i concetti di passing game tradizionale di Clemson erano quasi esclusivamente basati su half field reads. Nelle half field reads si divide idealmente il campo a metà e si chiede al QB di leggerne una sola. Si tratta spesso di combinazioni di tracce elementari, come lo smash, un concept che i Tigers hanno (ab)usato negli ultimi anni. In smash il ricevitore più esterno corre una hitch, quello più interno una corner, il QB deve leggere un solo difensore, spesso il cornerback, che è posto in una condizione di stress verticale da questa combinazione di tracce. Se il CB difende la traccia corta (hitch), il QB lancia quella lunga (corner) e viceversa.

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Avendo letto ed eseguito decine di smash concept in carriera, Lawrence è diventato un maestro nel lanciare una traccia complessa come la corner routes, e questa skill gli tornerà sicuramente utile tra i pro, ma in NFL il livello delle sue letture aumenterà sensibilmente di complessità. Quello della semplicità schematica è un problema comune al 90% dei QB collegiali, è un problema che si da per scontato per i QB collegiali, ma è necessario sottolinearlo per inquadrare le difficoltà che persino Lawrence incontrerà in NFL. Per i tifosi dei Jaguars non c’è alcun motivo di andare nel panico. Questa limitatezza schematica sarebbe stata un problema maggiore una quindicina d’anni fa, quando la NFL si basava principalmente su full field reads (letture non di metà ma di tutto il campo), mentre oggi la lega ha ormai incorporato sempre più schemi collegiali di facile lettura. Resta il discorso che in NFL ci sono occasioni in cui bisogna saper leggere tutto il campo e aggiustare il footwork mano a mano che si avanza nella progressione dello schema, e Trevor avrà bisogno di tempo per padroneggiare schemi più complessi. Questo aspetto ci porta ad una questione fondamentale, quella del coaching staff.

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The Playbook Vol. II sarà disponibile dal 25 agosto in ebook e cartaceo su Amazon

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Redazione

Abbiamo iniziato nel 1999 a scrivere di football americano: NFL, NCAA, campionati italiani, coppe europee, tornei continentali, interviste, foto, disegni e chi più ne ha più ne metta.

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