[NFL] Miami Dolphins: un nuovo inizio

Nello scetticismo quasi generale è partito il [inserire un numero ordinale a piacere] progetto di rebuilding della storia recente dei Miami Dolphins. Il primo atto è stato una sconfitta tanto pesante quanto prevedibile in casa degli Houston Texans, che peraltro quest’anno sono una delle squadre più forti e complete della lega; il secondo atto è stato invece una vittoria tanto netta quanto inattesa in casa contro gli Oakland Raiders, che peraltro quest’anno sono… beh, più o meno il contrario degli Houston Texans. Alti e bassi,quindi, secondo previsione e nella miglior tradizione di un cantiere con tanto di scritta “Under construction” davanti. E allora, capiamoci: cosa sta succedendo dentro al cantiere?

Succede che, stavolta, il progetto di ricostruzione è molto più radicale di quelli passati: perchè, a differenza di quanto aveva trovato Jimmy Johnson (e Dave Wannstedt dopo di lui), nel roster non c’è nessun quarterback destinato alla Hall Of Fame; perchè, a differenza di quanto aveva trovato Nick Saban, non c’è nessuna difesa dominante da migliorare; perchè, a differenza di quanto aveva trovato Bill Parcells, non c’è un credito di “credibilità” da spendere per convincere giocatori, media e addetti ai lavori della bontà del tuo progetto. Anzi. Ai Dolphins, alla fine della scorsa stagione, non c’era nulla di tutto questo.
Joe PhilbinQuindi l’unica possibilità per Joe Philbin – ex offensive coordinator a Green Bay – è stata quella di premere il tasto “reset”, e ripartire praticamente da zero o quasi. Con uno staff quasi totalmente nuovo e soprattutto con un progetto nuovo, il “suo” progetto; che parla di West Coast Offense e di zone blocking in attacco, di 4-3 e di interscambiabilità fra le safeties in difesa e che come tale ha bisogno di giocatori adatti per poterlo applicare. Motivati, capaci, ma soprattutto giovani, perchè ora a Miami si vuole ragionare in prospettiva.
In base a questa logica, il draft è stato la vera base del progetto. Guardando il roster attuale dei Dolphins, la free agency ha portato un solo pezzo nuovo di una certa importanza, e cioè il cornerback Richard Marshall; il resto sono state scommesse naufragate per motivi esterni (Chad Johnson), progetti abortiti col tempo (l’idea di David Garrard come QB) o conferme di pezzi importanti già presenti (il DT Paul Soliai). Alla fine, tutto il “mercato” è girato attorno ai tormentoni Peyton Manning e/o Matt Flynn, ulteriore prova del fatto che a Miami la ferita eternamente aperta è sempre quella del quarterback.

E, di nuovo, si torna al draft: la scelta di Ryan Tannehill da Texas A&M con l’ottava scelta assoluta (prima volta che un QB viene scelto al primo giro da Miami dopo…. hmm… Dan Marino) è solo la copertina di quello che questo draft sta significando per la franchigia. Sono stati aggiunti pezzi potenzialmente importanti come il tackle Jonathan Martin (giovane e atletico, prototipo degli uomini di linea che servono a Philbin e opposto a quello che era ad esempio il massiccio e inamovibile Vernon Carey), il pass rusher Olivier Vernon e il tailback Lamar Miller (tutti e due usciti da “The U”, dopo che per anni i Dolphins avevano sistematicamente ignorato i prodotti della Miami University, e anche questo è un segnale di cambiamento). Per contro, non sono stati colmati dei vuoti evidenti in posizioni importanti, come wide receiver e cornerback; o meglio, per colmarli si è scelto di puntare forte sui giovani, prendendo tutti i rischi insiti in una scelta del genere: finora non si sono visti molti frutti ma il futuro, si sa, è un’ipotesi.
Ma l’enfasi sul draft si è vista anche in due mosse “collaterali”: due dei pezzi più importanti della squadra dello scorso anno sono stati scambiati in cambio di scelte al draft. E’ indubbio che le partenze di Brandon Marshall e Vontae Davis hanno lasciato due voragini nel roster nell’immediato, ma hanno lanciato due segnali forti: il progetto Philbin passa per il draft e sarà sempre di più così e, soprattutto, nessuno che non sia funzionale al progetto è indispensabile. “Hard Knocks” (il docu-reality di HBO che ogni anno segue un training camp di una squadra NFL e quest’anno proprio i Dolphins) quest’estate ha mostrato chiaramente tutto ciò, e la trade improvvisa che ha mandato Davis ai Colts ne è stata l’esempio perfetto.

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Le partite di preseason (chiusa 0-4) e soprattutto le prime due gare di regular season non hanno fatto altro che alzare il velo sul cantiere e mostrare a tutti i problemi che ogni squadra imbottita di giovani e nel mezzo del passaggio a un nuovo sistema – sia in attacco che in difesa – non può non incontrare. Certo, tutti guardano il quarterback e quindi salta subito all’occhio che Ryan Tannehill è un rookie, che fa errori da rookie e ha tutti i limiti del rookie (ma in qualche occasione ha già dimostrato perchè è lui che gioca titolare e perchè potrebbe farlo ancora per parecchi anni) ma c’è molto altro: la linea offensiva deve ancora assorbire appieno i nuovi schemi, i wide receiver affidabili sono solo due, i linebacker idem, i cornerback pure, le due safeties devono ancora imparare ad integrarsi, il roster è tutto fuorchè profondo e via così.
Tutto grigio? No, non tutto; in fin dei conti la gara contro Oakland stata vinta, e dire che “è stato solo perchè i Raiders fanno più schifo” sarebbe ingiusto (anche verso i Raiders). Tannehill pare crescere in fretta, gli manca ancora abbastanza ma la guarigione di Brian Hartline gli ha dato altre due mani solide a cui lanciare oltre a Bess – e ce n’era assoluto bisogno; non è dato sapere dove arriverà il ragazzo ma per il momento ci sono motivi per sperare ed essere ottimisti e va già bene così.

La front seven difensiva è, per ora, il punto di forza della squadra, niente male in run defense e comunque meglio del previsto in pass rush. Alcuni dei rookies, poi, stanno eccedendo le aspettative, su tutti il fullback Javorskie Lane, pure lui un ex-Aggie, recuperato letteralmente dalla strada da Mike Sherman e finora esemplare. E poi, soprattutto e grazie al cielo, c’è Reggie Bush: Hard Knocks lo ha mostrato come un leader e un esempio, il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene dal campo di allenamento, le partite ne hanno confermato la forza e la pericolosità in campo, il classico “mismatch” pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
I numeri in campo di Bush (in due partite 40/241 yards corse con 2 TD e 9/71 yards ricevute) ne fanno una certezza e i Dolphins, per continuare la salita, hanno bisogno di certezze come questa. Anche perchè già da domenica, con il ritorno a Miami di Tony Sparano e dei Jets (che non sono messi poi così meglio) sarà la solita battaglia.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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