[W3] Pesce avariato, la crisi dei Dolphins

nflPremessa: poi magari succede che da qui alla fine i Dolphins le vincono tutte, finiscono 13-3 e vanno ai playoffs in carrozza. Certo, tutto può succedere, ma al momento la situazione è – purtroppo per i tifosi aqua-arancio – un po’ diversa, e con questa bisogna fare i conti.
E la situazione è zero su tre, per la quarta volta negli ultimi otto anni. È logico che ogni tifoso si stia facendo le stesse due semplici domande: la prima, “ma che cosa sta succedendo?”; la seconda, “ma di chi è la colpa?”.
La risposta alla prima, dopo aver visto le tre partite contro Patriots, Texans e Browns è articolata, ma si può sintetizzare in tre punti:
 
• La linea di attacco ha, ancora una volta, diversi problemi. Il lato sinistro è il migliore: Jake Long è la roccia e al suo fianco Richie Incognito è abbastanza affidabile, certamente un altro giocatore rispetto a quello che si ricordavano ai Rams e ai Bills. Al centro il rookie Pouncey migliora costantemente ma è, appunto, un rookie e come tale non esente da errori. Il peggio è a destra: Vernon Carey è stato spostato da tackle a guardia, per coprire il fallimento di Jerry (terza scelta al draft 2010), ma è sovrappeso e non più il giocatore di qualche anno fa; e il tackle Marc Colombo concede almeno un sack a partita e si sta rivelando per quello che è, cioè un giocatore tagliato dai Cowboys (non certo la migliore linea della NFL). Come risultato, il reparto non ha coesione, è discontinuo e concede troppo agli avversari. E tutto purtroppo, sistematicamente, anno dopo anno.
 
• La difesa non ha più anima. Lo scorso anno sembrava che Mike Nolan avesse trovato la formula giusta, ma quest’anno si è clamorosamente sgonfiato tutto. Pass rush inesistente, sia dalla linea, sia dai linebackers (non può esserci solo Wake, e a volte nemmeno lui); centro del campo in cui un buon tight end può fare quello che vuole indisturbato; e secondaria che può essere tranquillamente bucherellata non solo da Brady o Schaub, ma anche da un Colt McCoy qualsiasi (nonostante quello che pensa Vontae Davis, che per arrivare al livello di Revis deve ancora crescere un po’). 
 
• L’attacco è incapace di capitalizzare le occasioni in red zone. Contro i Browns, i primi tre approdi entro le 20 yards sono stati convertiti in un touchdown e due field goals. Avrebbero potuto essere 21 punti, sono stati 13; e in una partita persa per un punto, il calcolo è facile. Contro New England e Houston, la stessa musica: fino alle 20 yards tutto abbastanza bene, poi, una volta arrivati in red zone, arrivano decisioni sbagliate di Henne, esecuzioni imprecise da parte di altri, chiamate dubbie del coaching staff. Se è vero che è quando il pallone scotta si vede chi c’è e chi non c’è, allora i Dolphins non ci sono.

henne

 
E se non ci sono, di chi è la colpa di tutto ciò? Ecco la seconda domanda.
 
Sgombriamo subito il campo: stavolta Chad Henne non c’entra. Curiosamente, lui è uno dei pochi lati positivi di questo inizio di 2011. Fin dalla preseason il quarterback ex-Michigan è apparso diverso rispetto allo scorso anno, più preciso, più sicuro e meno propenso ai facili errori che lo avevano perseguitato finora. Qualcosa sbaglia ancora, in red zone non riesce a ‘salire di livello’ come altri suoi colleghi più quotati sanno fare, magari questi sono i suoi limiti e non c’è nulla da fare, ma almeno le sue colpe sono marginali rispetto a quelle di altri. E allora?
 
sparanoAllora, detto della squadra, bisogna salire, e arrivare a Tony Sparano. Il coach è amato dai giocatori, e per certi aspetti ha certamente fatto un ottimo lavoro: ad esempio, sono innegabili i suoi meriti nell’annata del 2008 con l’inatteso titolo divisionale. Però, negli anni, ci sono molte scelte sbagliate fra quelle di sua competenza: composizione del coaching staff, errori di valutazione dei giocatori (Sparano, come ex allenatore di linea d’attacco, dovrebbe esserne un esperto), errori nella gestione tattica delle partite, gestione dello spogliatoio non impeccabile (vedi l’anno scorso la gestione dell’addio di Jason Taylor). Ma, tirate le somme, alla fine il coach la sufficienza se la guadagna. In fondo i giocatori che ha a disposizione sono questi;  il suo parere conta, ma le decisioni vere sono prese altrove. Quindi, saliamo ancora.
 
irelandJeff Ireland, GM. L’uomo che fa il draft, assembla il roster, lo rifinisce ogni settimana secondo logiche imperscrutabili: ad esempio, firmare giocatori che abbiano un legame con i Dallas Cowboys (nel roster di Miami ce ne sono sei). Il posto da cui vengono lui e Tony Sparano e da cui, soprattutto, viene l’uomo che li ha portati entrambi a Miami. Colui che quattro anni fa ha creato – con carta bianca – tutto il progetto di ricostruzione dei Dolphins, “due anni per tornare ai playoffs e tre/quattro per il Superbowl”. Colui che è riuscito a farsi fare un contratto che prevedeva che poteva andarsene in anticipo e venire pagato lo stesso. Colui che ha scelto Jake Long ma che verrà ricordato per Chad Henne. Colui che un anno fa, probabilmente fiutando l’aria, ha salutato tutti e se ne è andato. Lui, il Grande Tonno: Bill Parcells.
 
Non c’è un tifoso di Miami che non pensi – con un brivido – che la situazione attuale dei Dolphins sia il fallimento definitivo del progetto di Parcells. Quello che, dopo gli anni di Jimmy Johnson, Dave Wannstedt e Nick Saban, doveva finalmente riportare i Dolphins ai livelli di una storia fatta di Don Shula, di Dan Marino, della perfect season, della “no name defense”. E invece nulla, tutto tempo e soldi buttati. Un gigantesco equivoco, frutto di una visione del football invecchiata come Parcells, un progetto realizzato male, con scelte sbagliate e anche un po’ di sfortuna, oppure tutti e due? La risposta non può non chiamare infine in causa anche la proprietà, dal precedente owner Wayne Huizenga, che aveva arruolato Parcells come ultimo tentativo di vincere prima di passare la mano, all’attuale Stephen Ross, apparso sempre più interessato all’aspetto business che a quello sportivo, almeno fino a quest’estate e al pasticcio combinato con la tentata assunzione di Jim Harbaugh avendo Sparano ancora sotto contratto.
 
Insomma, un bel pasticcio, dove ognuno – dai giocatori alla proprietà – ha la sua parte di responsabilità. Ad essere un tifoso Dolphins, ci sarebbe da deprimersi. Come se poi non bastasse già avere i Patriots nella division, aver visto i Jets costruire una squadra da titolo nello stesso tempo ed ora dover subire pure la vista dei Bills (I Buffalo Bills!) in testa imbattuti.
Poi magari succede che da qui alla fine i Dolphins le vincono tutte, finiscono 13-3 e vanno ai playoffs in carrozza. Certo, tutto può succedere…
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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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