[NFL] Pensando a Vick

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Riflessioni di una persona normale su un essere speciale

Confesso che, negli ultimi giorni, mi sono concesso più volte di riguardare gli highlights relativi alla pazzesca performance da oltre 400 yards e 6 TD di Vick nel Monday Night Football contro i Washington Redskins. Voglio condividere le riflessioni che quelle immagini hanno suscitato in me, un appassionato di football americano come tanti.

Se è vero che ci vogliono spalle larghe per giocare a football, ci vogliono spalle larghissime per mantenersi in equilibrio nel fare vita da superstar. In fondo, nella sua essenza la parabola di Vick può essere paragonata a quelle di tante vite comuni, fatte di apprendimenti, crescite, affermazioni, difficoltà, tentazioni, errori, conseguenze da affrontare, riscatti da ricercare e ottenere, dignità da recuperare. Solo che il mondo del professionismo sportivo d’oltreoceano è un acquario emblematico per quanto riesca ad amplificare ogni aspetto in maniera insopportabile conferendo ad esso caratteristiche tipiche dell’epos o della tragedia: il talento è dono divino, l’affermazione è notorietà planetaria, il successo è potere economico incalcolabile e di conseguenza le tentazioni sono spettri affascinanti e terribili, gli errori tonfi assordanti, le conseguenze reclusione e pubblica infamia, il riscatto una lontana chimera e l’essere riaccolti nella società e nel proprio mondo di competenza una favola da tramandare.

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La vera fortuna di un uomo in possesso di un qualsivoglia talento dunque non sta tanto nel riuscire a farlo fruttare (per tonnellate di bigliettoni), ma nel proteggerlo nei momenti di difficoltà usufruendo dell’aiuto delle persone giuste. E, per converso, nel saper stare alla larga dalle persone sbagliate – sempre.
Se si considera che Vick non era nemmeno ventenne quando i Colorado Rockies lo scelsero nel 30° round del draft 2000 della MLB (forse tutti non sapevano che…), e poco più che ventenne quando divenne prima scelta assoluta del draft NFL del 2002 e, in seguito, il suo “patrigno sportivo” Arthur Blank gli fece firmare un contratto da 130 milioni di dollari per 10 anni facendone l’icona della franchigia della Georgia, ecco che tutto il resto – a partire dai primi coinvolgimenti “a distanza” nello spaccio di marijuana per proseguire con gli investimenti dissennati e finire coi combattimenti fra cani – può essere considerato come la quasi inevitabile, infernale aberrazione della vita di un soggetto ancora incompiuto proiettato nel cosmo del business e manipolato da esso. Una caduta agli inferi non disdegnata ma “guidata”, in un certo senso (innumerevoli esempi ci insegnano quanto sia quasi più eccezionale essere una black superstar e riuscire a condurre una vita estranea da follie). Il problema è che per sopravvivere agli inferi occorre saperci vedere bene; e qui intervengono i punti di riferimento, necessari siano essi cercati in prima persona o imposti dall’esterno.

Osservando l’astro della Virginia, non si può non pensare alle tre figure sportive fondamentali per il suo recupero: Andy Reid, Donovan McNabb e soprattutto Tony Dungy. Il primo ha accettato di offrire a Vick una seconda chance, perfettamente cosciente di quanto ogni ragazzo possa commettere errori devastanti se lasciato in balìa di se stesso, essendo egli padre di due ragazzi quasi smarriti letalmente nel mondo della droga. McNabb è stato colui che ne ha sponsorizzato l’arrivo agli Eagles, forte di un’amicizia che si conserva tutt’ora, benché proprio l’approdo di Vick a Phila abbia favorito – insieme alla presunta maturazione sportiva di Kolb – la trade che l’estate scorsa ha spedito McNabb alla corte di Shanahan. Il terzo è colui che ha accettato di guidare la rinascita caratteriale e spirituale del ragazzo-Vick: non si parla del maestro della Cover 2 o del coach dei Colts campioni del mondo, ma dell’assiduo studioso della Bibbia, del padre di un 18enne suicida, dell’uomo capace in una settimana di volare dall’Indiana alla Florida per presenziare al funerale del figlio con un intervento di quasi mezz’ora sul tema della fede e tornare poi dai suoi giocatori per essere presente alla partita, un uomo dalla spiritualità così potente da definire il tragico evento che ha colpito la sua famiglia “una prova voluta da Dio”.
Questi sono stati gli incontri-chiave che hanno dischiuso a Vick il viatico verso la maturità, il rimorso, la rinascita.

Grazie all’esempio di personaggi come McNabb, Reid e Dungy, forse si può sostenere che, pur nella sua complessa ambiguità, l’universo sportivo americano come nessun altro sa tradurre in esempi  solidi e concreti il senso di giustizia e civiltà partoriti e sviluppati per secoli a livello teorico e filosofico nel Vecchio Continente.
Era ovvio però che il rientro di Vick non sarebbe stato una passeggiata di salute. Una parte della cittadinanza di Philadelphia ha messo in piedi comitati volti a impedire l’ingresso nella loro comunità di un soggetto capace di uccidere cani impiccandoli sui cavi della corrente elettrica, per non parlare dei picchetti e dei meetings degli animalisti o dell’annunciata, stretta sorveglianza del commissioner dell’Nfl Goodell, o ancora dei dubbi sull’accoglienza degli stessi compagni di squadra. Senza considerare quelli relativi alle condizioni atletiche di un atleta unico sul pianeta ma da due anni impossibilitato ad allenarsi perché agli arresti.
In molti hanno pensato e sperato – forse gli stessi che hanno agevolato la riabilitazione di Vick nel mondo del football – che alla fine il suo sarebbe stato un rientro “pretestuoso”, cioè volto principalmente a recuperare l’uomo ancor prima del giocatore. Il pentimento e l’espiazione – per non dire la “conversione” – erano pretesi più dei passaggi da touchdown.
Pare che, alla fine, le pretese siano state soddisfatte: Vick si è infatti riproposto come un giocatore più consapevole, umile e sincero, dedito al lavoro e in grado di seguire una vita regolare, un uomo desideroso di pagare il proprio terribile debito con la società e di sfruttare con gratitudine e serenità la seconda chance che gli è stata concessa. Ma il ragazzo diventato uomo ha anche altri progetti…

La volontà di cambiare e il basso profilo pagano sempre. Rientrato nella lega nel luglio del 2009, lentamente e silenziosamente Vick ha iniziato a lavorare di nuovo come un serio professionista, tornando ufficialmente a lanciare i primi palloni il 27 agosto, nel match di preseason giocato dai suoi contro i Jaguars, e trascorrendo la stagione come backup impiegato come special threat in pacchetti offensivi (una Wildcat “ibrida”) studiati per far convivere occasionalmente in campo lui e McNabb. Poca roba e futuro incerto, insomma, ma da parte sua mai una parola di troppo, mai un mugugno. Solo fatica e piena disponibilità.
Sembrano trascorsi secoli. Per nostra fortuna, è davvero come se lo fossero. McNabb è andato – da principio per far posto all’idolo di casa Kolb – e il Vick di oggi, per la gioia dei nostri occhi, sta oscurando quello delle annate 2001-2006. Ora le sue spirali sono strette come non mai e riescono a viaggiare per aria tranquillamente oltre le 60 yards centrando spesso e volentieri il bersaglio, e le soluzioni geniali e improvvisate si integrano perfettamente nella strategia e negli schemi preparati e perfezionati con l’allenamento. Dopo 10 giornate di campionato, il mancino da Virginia Tech sta trascinando gli Eagles verso una stagione importante con prestazioni da MVP, ma soprattutto sta restituendo all’Nfl la gioia di godere di un talento straordinario. Tutto è cambiato. Solo le gambe sono quelle di una volta. Si spera.

 

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Redazione

Abbiamo iniziato nel 1999 a scrivere di football americano: NFL, NCAA, campionati italiani, coppe europee, tornei continentali, interviste, foto, disegni e chi più ne ha più ne metta.

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