Cosa c’è di nuovo negli attacchi NFL

Avrete sentito spesso che la NFL funziona come un ecosistema ciclico, in cui si alternano ere di dominio delle difese ad altre in cui a farla da padrone sono gli attacchi, e certamente c’è del vero in questo cliché. Da decenni il pendolo della supremazia tattica oscilla da un lato all’altro del campo scandendo, spesso senza che la maggior parte dei fan se ne accorga, le regole d’ingaggio della battaglia scacchistica a cui assistiamo ogni domenica. Questa alternanza rimane valida anche oggi, ma è cambiata rispetto al passato. In passato questi mutamenti erano lentissimi e potevano svilupparsi su diverse stagioni. La West Coast Offense ha dominato incontrastata per almeno un lustro prima che le difese trovassero le contromisure adatte a fermarla. Vent’anni più tardi, la famigerata difesa “Tampa 2” introdotta da Monte Kiffin ha rappresentato per quasi un decennio il paradigma difensivo di riferimento, proprio perché gli attacchi hanno impiegato anni per trovare le contromisure adatte. Il pendolo tattico scorreva lentamente, i mutamenti erano spesso graduali come l’alternanza delle ere geologiche. Il football, insomma, cambiava ad un ritmo più blando, e in un certo senso non poteva essere altrimenti. L’ostacolo principale per gli innovatori era principalmente tecnologico: non c’era il game pass, non c’erano algoritmi iper avanzati in grado di elaborare montagne di dati, non c’era nemmeno la possibilità per gli allenatori di fare “brainstorming” su zoom e condividere possibili contromisure. Il football, come del resto la società, era meno interconnesso di oggi e i possibili antidoti al “meta” tattico della lega erano più difficili da trovare; senza contare che una volta trovati questi antidoti si propagavano molto più lentamente. Oggi la velocità del botta e risposta tra attacco e difesa è quasi schizofrenica, misure e contromisure si trovano in tempi rapidissimi che ricordano in un certo senso il pendolo di Newton, con le sue sferette d’acciaio che si urtano velocemente da destra a sinistra. Inoltre, la battaglia non si combatte più solo sul terreno delle grandi idee o dei sistemi (West Coast Offense, Seattle Cover 3, Air Coryell, oggi wide zone offense contro difese a due safety profonde) ma anche a livello microscopico, vale a dire sui singoli schemi, su come controbattere ad un particolare tipo di motion, come usare una certa formazione per liberare un ricevitore su un terzo e medio, come allineare il runningback in modo da riuscire a correre lo stesso schema di corsa in modo più efficace.

Da appassionato di tattica quale sono, non c’è niente di più interessante di scandagliare le partite di Week 1 alla ricerca di questi micro aggiustamenti ai quali centinaia di allenatori hanno dedicato mesi di offseason. Quest’anno in particolare le innovazioni sono state parecchie e principalmente sul lato offensivo del pallone. Non è un caso, dato che come abbiamo scritto in The Playbook vol. 3 gli attacchi erano stati messi in scacco dalle difese dopo anni di predominio quasi incontrastato, e non potevano che presentarsi ai blocchi di partenza con delle risposte nuove ai nuovi problemi posti dalle difese più moderne. Quali sono stati i più interessanti? Andiamo a vederli insieme.

Pistol formation

Chiariamoci: nel football niente o quasi viene inventato e quelle che definiamo innovazioni spesso non sono altro che rielaborazioni di grandi classici del passato. La pistol formation, quella formazione in cui il quarterback è posizionato cinque yard dietro la linea offensiva e il runningback si trova alle sue spalle, fa parte dell’arsenale offensivo del football da tantissimo tempo. Il suo primo utilizzo massiccio nella NFL moderna risale probabilmente al 2012, l’anno d’oro di Robert Griffin III a Washington. Più recentemente, Lamar Jackson e i suoi Ravens si sono basati su questa formazione per distruggere la NFL nel 2019.

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RGIII, Lamar, il contesto è chiaro: la pistol è una formazione prediletta da squadre che dispongono di un quarterback mobile e vogliono utilizzarlo nel gioco di corse. Dopo che qualche squadra oltre ai Ravens aveva timidamente sperimentato con la pistol già lo scorso anno, in Week 1 abbiamo assistito ad un uso molto più rilevante di questa formazione. In particolare, i Falcons di Marcus Mariota e i Seahawks di Geno Smith l’hanno usata tanto e bene.

Non finisce qui, perché nella NFL di oggi stiamo vedendo anche squadre con quarterback da tasca includere la pistol nel loro armamentario tattico. Due esempi su tutti: i Vikings con Kirk Cousins e i Browns con Jacoby Brissett. 

Quali sono i vantaggi? Rispetto alla shotgun, in cui il runningback si trova di fianco al QB e quindi in caso di corsa non può prendere un tragitto “dritto per dritto”, la pistol permette al portatore di palla di correre in linea retta verso il centro della trincea e in questo modo minaccia subito le difese e in particolare i linebacker, che hanno così meno tempo per attaccare la linea di scrimmage. Anche in caso di finta di corsa la pistol ha i suoi vantaggi. Uno su tutti, il tempo che il quarterback deve passare dando le spalle alla difesa è molto inferiore a quello di una playaction da sotto il centro. Limitando il tempo in cui il quarterback dà le spalle alle difesa si riesce da un lato a minimizzare il rischio che qualche difensore gli piombi addosso all’improvviso, dall’altro si riduce il tempo a disposizione per la secondaria di ruotare e cambiare la disposizione difensiva che il quarterback aveva “fotografato” prima di girarsi verso il runningback per fintare la corsa.

Backfield affollati

L’immagine dello schieramento dei Vikings ci permette di passare alla prossima innovazione. Per prima cosa, se ci fate caso Minnesota schierava il suo miglior ricevitore, Justin Jefferson, all’interno del backfield. I ricevitori schierati come runningback sono un’altra novità che si sta affermando, non a caso ne abbiamo esposti pregi e difetti nell’ultimo The Playbook. In ogni caso, insieme a Jefferson c’è anche un’altro giocatore a far compagnia a Cousins nel backfield, il runningback Dalvin Cook. È evidente che negli ultimi due anni i backfield della NFL si sono fatti sempre più affollati. Dopo almeno un decennio di spread offense in cui gli attacchi puntavano ad allargare il campo il più possibile tenendo solo un runningback nel backfield, la lega sta tornando gradualmente verso due se non tre giocatori attorno al QB.

 Non si tratta di un semplice ritorno al passato, alla famosa I formation vecchia scuola con quarterback dietro al centro e un fullback e un runningback dietro di lui. Abbiamo ora formazioni con due “runningback” (uno dei due può tranquillamente essere un ricevitore) ma con il quarterback in shotgun, quindi cinque yard indietro rispetto alla linea offensiva, e due runningback schierati uno a destra e uno a sinistra del quarterback. Il pioniere di questo nuovo assetto è stato, manco a dirlo, Kyle Shanahan, che da almeno due anni sfrutta questo Pony personnell (due tailback veri e propri in campo) per ottenerne grandi vantaggi. Shanahan è stato inoltre uno dei primi ad usare un ricevitore in queste situazioni, schierando Deebo Samuel nel backfield in quello che è noto come “Deadpool package”. Altre squadre stanno prendendo spunto dai Ravens di Greg Roman per schierare addirittura tre giocatori più il quarterback nel backfield, formando una “diamond pistol” così chiamata perché richiama vagamente la forma del diamante.

Sembra una cosa da poco, ma schierare in questo modo i giocatori offensivi crea parecchi grattacapi alla difesa. Come ha spiegato magistralmente Benjamin Solak in una puntata del The Ringer Football Show, nel difendere i passaggi le difese si relazionano a dove sono schierati per il campo ricevitori, runningback e tight end, a dove corrono le loro tracce, a partire da dove corrono quelle tracce e a quando le compiono. Avere due giocatori nel backfield, oltre a permettere grande varietà nel gioco di corse e screen pass, permette di manipolare le regole di difese ancora abituate a difendere giocatori sul perimetro, non dentro il backfield. Questo vantaggio, messo in mano a giovani coordinatori creativi come Scott Turner, porta a chiamate splendide come quella che ha generato il touchdown di Antonio Gibson nel primo quarto di Washington-Jacksonville.

Quads formations

Concentrare giocatori lontano dalla linea di scrimmage non è l’unico modo in cui gli attacchi stanno ponendo nuove difficoltà alle difese. Un’innovazione in un certo senso antitetica rispetto ai set a due runningback è quella delle quads formations, dove “quad” sta per quattro e indica il numero di ricevitori posti su un solo lato del campo. Se guardate con attenzione le partite di Week 2 noterete quanto le squadre NFL stiano insistendo su queste formazioni, sia che le schierino già prima dello snap, sia che invece le ottengano spostando all’ultimo un runningback verso il lato del campo già occupato da tre ricevitori.

I vantaggi delle formazioni quad sono parecchi. Per prima cosa, le difese sono abituate a combattere due o tre ricevitori per lato, quindi aggiungerne di più aumenta le possibilità di trovare un giocatore libero nelle sacche di spazio che inevitabilmente si vengono a creare. Proprio perché non sono abituate ad affrontare formazioni di questo tipo, le difese hanno un menù limitato di schemi da utilizzare contro di esse, quindi l’attacco ottiene anche il vantaggio di rendere più prevedibile la difesa avversaria. Se la difesa sovraccarica il lato a quattro ricevitori, ecco che è costretta a giocare in 1vs1 sul lato opposto, e se l’attacco tiene isolato su quel lato il suo miglior ricevitore può garantirsi un matchup invitante, come fatto dai Vikings in questa situazione. 

Le quads sono poi ottime per costruire passaggi screen sul corto, in cui il destinatario del passaggio ha ben tre compagni pronti a portargli immediatamente i blocchi. Alcuni degli allenatori più brillanti come Matt LaFleur sono già passati alla contromossa, fingendo uno screen sul lato a quattro ricevitori per poi passare a uno dei finti bloccanti.

Post wheel

Passando alle combinazioni di tracce, mi sembra abbastanza evidente che una delle più cercate sia quella tra una post e una wheel route. Non meno di sette squadre hanno chiamato questo concetto che l’anno scorso era stato utilizzato con costanza quasi esclusivamente dai Miami Dolphins.

In week 1 i Vikings (non è un caso che continuo a citarli, il loro nuovo head coach Kevin O’Connell mi ha davvero impressionato nella sua prima uscita stagionale) l’hanno chiamato e avrebbero potuto ricavarne un touchdown se Kirk Cousins non avesse rifiutato il lancio profondo sulla Wheel Route di Adam Thielen.

A mio avviso il modo migliore per chiamare Post-Wheel è quello in cui il ricevitore che corre la wheel (che è una traccia che va in verticale ma con una traiettoria arcuata simile ad un ramo di parabola) arriva in motion dal lato opposto, perché mette più stress sulla difesa e costringe gli avversari a comunicare e a passarsi correttamente i compiti di marcatura. Post Wheel è un concetto molto versatile perché si lega molto bene con le Run Pass Option, le situazioni in cui il quarterback decide se lanciare o far correre il runningback a seconda del comportamento di un difensore identificato dall’attacco come “conflict defender”, un giocatore da mettere in conflitto. Qui vediamo i Falcons effettuare una combinazione Post Wheel ma Marcus Mariota anziché lanciare lascia la palla al suo runningback per la corsa.

La nuova reverse

Chicca finale che riguarda una gadget play molto interessante. Negli ultimi anni gli attacchi si sono dimostrati sempre più letali nello sfruttare giocate a basso rischio che permettono di ingannare la difesa e mettere la palla in mano agli attaccanti più esplosivi. Nel 2020 il gioco più di moda era stato la “fake counter reverse”, in cui l’attacco fingeva una corsa counter da sotto il centro e poi uno dei due bloccanti faceva marcia indietro e apriva la strada per un ricevitore partito in motion.

Quest’anno una variazione sul tema che diverse squadre stanno adottando consiste nel mettere il quarterback in shotgun anziché sotto il centro e basare il gioco non sulla finta di una corsa counter ma di una corsa split zone. L’effetto è altrettanto devastante contro difese pigre nel rispettare i propri compiti. 

The Playbook Vol. III – Guida tattica alla NFL 2022

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Alberto Cantù

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