Huddle’n Music: 1939, tra shutout e jazz classico nel Wisconsin

I Green Bay Packers di Earl Louis Lambeau, detto “Curly”, non hanno certo bisogno di presentazioni.

Per il team del Wisconsin e per il suo formidabile giocatore/allenatore, padre del football americano, parlano i 6 titoli NFL incassati tra il 1919 (anno di fondazione) e il 1949 (l’ultimo da allenatore di Lambeau).

Sei titoli nazionali vinti, nelle sette finali raggiunte dalla squadra di Lambeau, fanno dei Packers originali una delle organizzazioni più rispettabili e vincenti di questo sport. Un solo Championship Game perso, al Polo Ground nel 1938 contro i New York Giants di coach Steve Owen: nel dicembre del ’38, davanti a oltre 48mila spettatori, i Giants erano sotto di un punto nel terzo periodo di gioco e riuscirono a riprendere il vantaggio grazie al lancio a touchdown da 23 yard di Ed Danowski per il fullback Hank Soar. L’ultimo quarto finì 0-0 con le rispettive difese a contrapporsi in modo autoritario. L’incontro terminò 23-17 per i newyorkesi; Green Bay non aveva mai perso una finale prima di quella domenica.

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Un’intera estate per riflettere, per Curly. Non tanto perchè nella sconfitta ci fosse qualcosa di sbagliato, i Giants erano una squadra molto forte e che tra le altre cose aveva avuto un record di poco migliore rispetto a quello dei suoi Packers. Ma la squadra di Green Bay aveva costruito una vera e propria dinastia, doveva difendere la sua posizione e cercare di riconquistare il trono NFL.

Il 1939 iniziò in maniera singolare: la NBC fu la prima grande rete televisiva a coprire una partita della NFL, quando il 22 ottobre 1939 trasmise la partita tra i Philadelphia Eagles ei Brooklyn Dodgers. La rete era ancora solo agli inizi, con solo due affiliate, la moderna WRGB (ora affiliata alla CBS) a Schenectady e W2XBS a New York City. L’esperimento televisivo si riuscì a seguire soltanto da New York e da Albany. L’uso di una telecamera laterale, l’unica telecamera utilizzata nella trasmissione di quel match, sarebbe diventato lo standard per tutte le future trasmissioni delle partite NFL fino al 2017; l’angolo è particolarmente adatto per stimare la distanza in yard, rispetto agli angoli della telecamera più mobili che hanno iniziato ad apparire nel 21° secolo.

Il 1939 dei Packers era a senso unico: la squadra doveva tornare a vincere riscattando la sconfitta contro i Big Blue.

La stagione regolare di Green Bay andò decisamente bene. La squadra vinse la NFL Central Division con il record di 9-2 ed una vittoria in più rispetto ai rivali di sempre, i Chicago Bears di Halas. Proprio contro i Bears arrivò una delle due sconfitte, quella del 5 novembre per 30-27 a Wrigley Field; l’altra era stata subita in Week 3 contro i Cleveland Rams sempre cper soli 3 punti di scarto (27-24). Ciò denota la solidità di quei Packers che sì potevano perdere, ma per farlo le avversarie dovevano lottare alla morte.

Il team di Green Bay era trascinato dall’abile ricevitore Don Hutson, “l’antilope dell’Alabama”: in quell’anno 34 completi per 846 yard e 6 touchdown.

Oggi come oggii, meno di 900 yard in una stagione potrebbero risultare “poche” per il miglior ricevitore della lega, ma non dimentichiamoci che quel football ancestrale era basato sul grounding and punding, ossia sul gioco sulle corse in stile trincea. Difatti, se il miglior wideout aveva totalizzato “solo” 846 yard, il miglior quarterback, Davey O’Brein dei Philadelphia Eagles, ne aveva lanciate “solo” 1324.

Se i Packers erano risultati la prima potenza dal loro lato del tabellone, dall’altro, quello della NFL Eastern Division, i New York Giants avevano fatto lo stesso riconfermandosi con un 9-1-1 precedendo i Washington Redskins.

Dunque, come nel 1938, la finalissima si sarebbe disputata nuovamente tra il team di New York e quello di Green Bay. Ma questa volta al 1000 S. 77th St., West Allis, in Wisconsin. Per capirci meglio, al Wisconsin State Fair Park History che sorgeva nel sobborgo a ovest di Milwuakee.

La voglia di rivalsa giallo-verde era talmente tanta che, mentre l’attacco colpiva con puntualità e metodo, la difesa si ergeva non alta bensì altissima, imponente quanto bastava per lasciare gli avversari a secco.

La rivincita tra Green Bay Packers e New York Giants finì 27-0 per la squadra di Curly Lambeau, il quale vinse il suo quinto titolo nazionale con i Packers firmando anche un prestigioso record: quel Championship Game fu il primo nella storia della NFL a concludersi con uno shutout!

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Altri tempi, altra musica. E rimanendo sui temi classici, non potevamo certo tralasciare quello del jazz a noi tanto caro.

L’artista che abbiamo scelto per rappresentare il Wisconsin è il grande “Woody” Herman, all’anagrafe Woodrow Charles Herman.

Nell’ambiente si dice che di bandleader del suo stampo non ne facciano più: clarinettista di primo ordine, sassofonista e cantante, Woody Herman naque a Milwaukee il 16 maggio del 1913. I suoi genitori erano Otto e Myrtle (Bartoszewicz) Herrmann: La madre era di origini polacche. Il padre aveva un profondo amore per il mondo dello spettacolo e questo influenzò non poco il piccolo Woodrow in tenera età: infatti da bambino Woody lavorò come cantante e ballerino di tip tap nel vaudeville (un genere teatrale nato in Francia a fine Settecento). Poi, all’età di 12 anni, iniziò a suonare il clarinetto e il sassofono.

Nel 1931 conobbe Charlotte Neste, un’aspirante attrice, e la coppia si sposò nel settembre 1936. Di lì a breve Woody Herman si unì alla band di Tom Gerun e le sue prime registrazioni furono “Lonesome Me” e “My Heart’s at Ease”. Herman si esibì anche con l’orchestra Harry Sosnick, Gus Arnheim e Isham Jones. Quest’ultimo scrisse diverse canzoni popolari, tra cui “It Had to Be You” ma ad un certo punto si stancò di performare alla guida di una band; Woody Herman vide l’opportunità di crescere e di dirigere la sua banda e alla fine portò avanti ciò che rimaneva tra i resti dell’orchestra dopo il ritiro di Isham Jones.

Da quel punto in avanti la carriera di Herman fu una scalata al successo: dal “Be-bop and the First Herd” al “The Four Brothers Band”.

A soli tre giorni dal ritorno al successo dei Green Bay Packers, il 13 dicembre del 1939, il nativo del Wisconsin con il sussidio della “Woody Herman & His Orchestra” pubblicò una delle sue primissime opere intitolata “Blues on Parade”.

Le sonorità del brano, nonchè i suoi ritmi, cavalcano l’onda dello swing dei primi anni Venti reinterpretandone i colori a distanza di due decadi. Ma il clarinetto di Woody Herman, secondo l’orecchio raffinato dei cultori più esperti, ha delle incredibili riconciliazioni che si rifanno inaspattatamente ad una delle figure più importanti tra quelle dei massimi operisti della storia: quella del nostro inarrivabile Gioachino Rossini.

Un particolare stilistico di Herman e per il quale l’artista si è distinto molto durante la sua lunga carriera, era l’intensità con la quale Woody ascoltava i suoi solisti. Un fattore che indicava la sua strabiliante leadership all’interno dell’orchestra con un comportamento super solidale e molto educato. In certi ambienti, talvolta, saper ascoltare è la cosa più importante di tutte; soprattutto nell’ambiente del jazz!

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Quello di Woody Herman era un talento capace di coinvolgere intorno a sè tanti altri talenti. Del resto, un pò come accadeva nel caso di Curly Lambeau…

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Alex Cavatton

@AlexCavatton sport addicted dal 1986. Amministratore di Chicago Bears Italia. Penna di Huddle Magazine dal 2018. Fondatore di 108 baseball su Cutting Edge Radio. Autore dei progetti editoriali: Chicago Sunday, Winners Out, RaptorsMania, Siamo di Sesto San Giovanni, Prima dello snap. Disponibili su Amazon

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