La NCAA verso il professionismo

Il mondo dello sport collegiale è di fronte all’ennesimo scossone dell’ultimo triennio: nella serata di giovedì, infatti, le scuole facenti parti delle “Power 5” conference e il board della NCAA hanno approvato la proposta di consentire alle scuole il pagamento diretto dei propri tesserati.

Vediamo in breve di cosa stiamo parlando.

Sono ormai più di trent’anni che il college football non è uno sport dilettantistico, e che i giocatori in modo “oscuro” e “illegale” percepiscono compensi che vanno al di là della sola “full scholarship” cui legalmente hanno diritto.

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Il passaggio ufficioso dal dilettantismo al professionismo è avvenuto nel 2021, quando è stata approvata in tutta la nazione la legge sulla NIL che ha consentito per la prima volta in modo ufficiale ai giocatori di ricevere dei pagamenti sfruttando i propri diritti di immagine, e quindi di monetizzare attraverso contratti pubblicitari, di sponsorizzazione e qualunque altro tipo di evento da loro organizzato (convegni, firmacopie ecc.).

Questo nuovo decreto, invece, consentirà alle Università il pagamento diretto degli atleti, il che vuol dire che il passaggio dal dilettantismo al professionismo sarà completo ed ufficiale: i giocatori non monetizzeranno più solo dalla propria immagine ma anche dal proprio “lavoro”, che a tutti gli effetti è l’essere un giocatori di college football.

Da qui in avanti – si vocifera che l’entrata in vigore sia prevista per la stagione 2025le scuole potranno condividere parte dei propri ricavati con i propri tesserati fino ad un massimo ancora da stabilire (che sarà una sorta di “salary cap”) e che dovrebbe aggirarsi sui 20 milioni di dollari all’anno.

Inoltre, la NCAA si impegnerà a pagare circa 2,7 miliardi di dollari di “arretrati” ai giocatori che hanno fatto parte della lega negli ultimi 10 anni, a patto che tutti coloro i quali richiedano tale risarcimento accettino la clausola di impossibilità di intentare procedimenti legali contro la NCAA stessa, cosa che negli ultimi anni l’organismo a capo di tutto lo sport collegiale si è trovato più volte costretto a fronteggiare.

Per noi appassionati, cosa cambierà?

Premettendo che manchi ancora l’approvazione di un giudice, che sancisca la conferma di questa proposta, è lecito attendersi alcune variazioni, ma non così drastiche, perlomeno nel breve periodo.

Non si è mai fatto mistero che i giocatori ricevessero dei compensi dalle università in modo più o meno nascosto sia prima che dopo l’entrata in vigore della legge sul NIL, quindi la grande differenza è che ciò che prima avveniva all’ombra ora potrà essere fatto alla luce del sole.

Il passaggio dal dilettantismo al professionismo è dunque una questione formale, seppur rivoluzionaria.

Chiaramente ad ora è difficile fare previsioni o commenti troppo dettagliati, finché non si avranno notizie più certe sui dettagli – il “salary cap” sarà uguale per tutti? O in percentuale sugli introiti? Quale sarà la disparità economica tra le squadre membri della stessa conference? Il pagamento potrà essere fatto anche come “bonus alla firma” nel recruiting? Quale sarà la disparità di retribuzione tra un quarterback e un linebacker? – ma la certezza che si ha è che, ancora una volta, i capi allenatori dovranno adattarsi ad un mondo in continua evoluzione e rivedere le proprie certezze.

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È facile prevedere che sia il recruiting che il transfer portal ora diventino effettivamente un “mercato”, con le figure degli agenti che assumeranno sempre maggior importanza e renderanno il college football uno sport professionistico a tutti gli effetti.

Come sostengo da sempre: più il college football perde la sua unicità per assimilarsi alla NFL più, a lungo termine, né pagherà le conseguenze in termini di qualità del prodotto. Ma sarà il tempo a parlare.

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