Punta tutto sul 6: la storia di Baker Mayfield

Il mondo dell’NFL è caratterizzato dalla presenza di alcuni personaggi che oltreoceano vengono spesso definiti polarizing, polarizzanti, personalità in grado di suscitare nel pubblico solo reazioni e sentimenti forti, siano essi positivi o negativi.

Sono quei personaggi di fronte ai quali raramente si resta indifferenti: o li ami, o li odi. E quando li ami, odi il fatto stesso di amarli.

Questi personaggi, ovviamente, vanno a nozze con la tipica narrativa dei media americani, i quali ne esagerano i tratti peculiari al punto da farli amare ancora di più da chi già li ama e alimentare ulteriormente l’odio – bruttissima parola, che qui ovviamente uso nella sua accezione agonistica – dei loro hater.

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E’ molto difficile che l’opinione di un tifoso nei confronti di questi personaggi cambi tanto radicalmente da trasformare l’odio in amore, o viceversa. Questo perchè, spesso e volentieri, i giocatori “vittima” di questo trattamento sono superstar della lega, gente abituata a vincere.

E se vinci, chi già ti amava ti venererà di più, e chi già ti odiava non farà che provare sempre più astio nei tuoi confronti. E’ la natura umana.

Ma cosa succede quando una di queste figure capaci di far scaturire nei tifosi emozioni tanto forti inizia un declino inaspettato dai toni quasi melanconici? Qui il discorso cambia perché, per citare il Batman di Christian Bale e Christopher Nolan, se è vero che “o muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo”, può succedere anche il contrario. Perché anche il peggior nemico di Gotham può diventare il Cavaliere Oscuro, soprattutto se si chiama Baker Mayfield.

Ma facciamo un passo indietro, vediamo da dove nasce questo grande villain tanto controverso.

Se c’è una cosa che non si può negare a Baker Raegan Mayfield è quella sicurezza in sé stesso che, più spesso che no, si è tramutata in un’arroganza che lo ha portato a diventare uno dei personaggi più polarizzanti della storia recente della lega.

Al momento del diploma, nonostante un eccellente carriera nella High School – terminata in calando il suo Senior Year – non sono state molte le università che hanno creduto nel quarterback texano, il quale si è subito trovato a compiere una scelta importante: un posto assicurato con borsa di studio integrale in un college minore, oppure scommettere su sé stesso come walk-on in una Power 5, dove avrebbe dovuto lottare con le unghie per scalare i ranghi del roster? Conoscendo il personaggio – per quanto solo attraverso lo schermo televisivo – dubito che Baker abbia dedicato più di una manciata di secondi a questo dilemma dal quale sarebbe dipesa la sua carriera. E così Mayfield sceglie Texas Tech, sceglie di scommettere su sé stesso.

Non sarà l’ultima volta.

A Texas Tech Baker guadagna subito un posto da titolare – anche al netto di un infortunio dello starter – e disputa un’ottima stagione che, tuttavia, termina con la prima delle tante controversie che caratterizzeranno la sua carriera. A fine anno Baker chiede infatti il trasferimento nel college dei suoi sogni, Oklahoma, accusando Texas Tech di non avergli offerto una borsa di studio integrale. Dopo alcune peripezie burocratiche dovute al fatto che l’università texana sosteneva di aver di fatto offerto una borsa di studio a Baker, il trasferimento va a buon fine e Baker diventa ufficialmente un Sooner.

Da questo primo importante passaggio della carriera di Mayfield si intravede già la costante che segnerà tutto il suo percorso collegiale e professionistico: Baker è uno di quei giocatori fatti per giocare con una chip on their shoulder, costantemente alimentati dalla voglia di rivalsa e di dimostrare quanto valgono, desiderosi – forse inconsapevolmente – di sentirsi sempre in qualche modo un underdog.
Ah, il successore di Baker a Texas Tech è stato un ragazzo nato a neanche trecento miglia di distanza, un tale Patrick Mahomes. Chissà come sarebbe oggi l’NFL se Baker fosse rimasto in Texas…

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Ma Baker va in Oklahoma, ed è qui che per la prima volta si vede il “vero” Baker Mayfield, quello che tutti amiamo (o odiamo). Con la maglia dei Sooners, Baker diventa una vera superstar della Big XII e di tutto il college NCAA. E’ sempre a Oklahoma che Baker inizia davvero a polarizzare le masse. Durante il suo Senior Year – giocato durante un anno di eligibility guadagnato grazie a quella che è diventata la “Baker Mayfield Rule” – Baker mette in piedi una stagione stellare con numeri che lo porteranno a essere il primo ex walk-on a vincere l’Heisman, guidando i Sooners alla loro storica seconda apparizione ai playoff.

E’ sempre durante questa stagione, tuttavia, che l’eccentricità di Baker inizia a emergere senza freni, rendendo impossibile staccargli gli occhi di dosso.

Nel bene e nel male.

Che fosse grazie a una giocata da highlight o dopo avergli visto piantare la bandiera di Oklahoma sulla “O” gigante dipinta in mezzo al campo di Ohio State, tutto il mondo del college football aveva un posto nel proprio cuore riservato a Baker Mayfield.

Nel bene, e nel male.

baker mayfield

E’ inutile che fingiamo di lamentarci, in tutta la sua americanità il mondo NFL vive di questi personaggi in grado di offrire continue narrazioni e di spostare in modo tanto radicale le masse, anche e soprattutto quando il chiacchiericcio nei talk show sportivi prevale su quanto dimostrato in campo. Una NFL senza personaggi come Baker sarebbe come un film d’azione senza un antagonista, come Batman senza Joker. Ogni narrazione ha bisogno di un nemico, e in molti hanno visto in Mayfield questa figura così necessaria.

Baker entra nella lega con tutte le aspettative di un quarterback scelto alla prima assoluta, con il peso sulle spalle di dover essere il salvatore di un franchise ancora piegato dal disastro di Johnny Football e il faro nella notte di una città in procinto di dire addio a Lebron James per la seconda volta in pochi anni.

A tutto ciò si aggiunge un bersaglio sulla schiena grande come una casa dovuto all’eccentricità del suo carattere e agli episodi che hanno costellato la sua carriera collegiale dentro e fuori dal campo.

Sin dagli esordi Baker sembra ridare speranza ai Browns, migliorando un record impossibile da peggiorare e trovando la prima vittoria fuori casa dopo più di 3 anni – no, non è un refuso – tutt’al più contro una rivale divisionale.

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Se c’è un merito che non si può negare a Baker è quello di sostenere sempre le parole con i fatti. Come direbbero in America, “walk the walk, talk the talk”.

In concomitanza con la celebre intervista in cui dichiara di essersi “svegliato sentendosi pericoloso”, Baker guida i Browns a 5 vittorie nelle ultime 7 partite, portando Cleveland a un record stagionale di 7-8-1, il migliore in più di 10 anni.

baker mayfield

Quello che in termini narratologici si potrebbe definire il villain arc di Baker, ossia quell’era della sua storia personale e professionistica che l’ha visto assurgere al ruolo di antagonista nella maggior parte dei filoni narrativi creatisi intorno a lui, raggiunge il suo apice nel 2020, in una stagione caratterizzata da un clima surreale e da stadi vuoti e silenziosi a seguito delle restrizioni imposte per il Covid. Baker disputa una stagione eccellente, guidando i Browns alla loro prima apparizione ai playoff dopo quasi due decenni e alla prima vittoria in postseason dal 1994, anno in cui non era che un luccichio negli occhi di mamma e papà. Cleveland esce sconfitta dai playoff dopo una visita ad Arrowhead, ma lo fa con ritrovata fiducia e speranza per le stagioni future. Un lauto rinnovo contrattuale e le simboliche chiavi del franchise sembrano ormai essere parte certa del futuro di Mayfield. O forse no?

“O muori da cattivo, o vivi tanto a lungo da diventare un eroe”.

Questa versione antitetica della celebre citazione di Batman probabilmente trova applicazione solo in mondi fittizi cinematografici o letterari.
Ma quello dell’NFL è un universo capace di creare storie che vanno molto vicine alla finzione.

All’uscita dai playoff, i Browns esercitano la fifth-year option del contratto da rookie di Baker, prendendosi così un anno in più per ragionare sul da farsi. Il 2021 di Mayfield, tuttavia, non va come sperato. Baker colleziona più infortuni che vittorie, si fa prendere dalla frustrazione e sembra regredire a livello comportamentale, soprattutto in campo. Quest’insieme di cose influisce sul suo decision-making, che in questa stagione tocca i minimi storici, e sulla sua rendita generale a livello di numeri. Chiunque ai tempi fosse un hater di Baker – scusate l’infelice assonanza – sarà di certo andato in brodo di giuggiole: finalmente un bel bagno d’umiltà per quel giocatore così arrogante e antipatico.

“O muori da cattivo…”

I Browns decidono che Baker non è il quarterback del futuro e decidono di puntare sul ben più controverso Deshaun Watson, mossa che costerà loro tre prime scelte e ben 230 milioni di dollari garantiti. Baker, dall’altra parte, viene mandato a Carolina per una misera scelta condizionale al quinto giro. Con la maglia dei Panthers, Baker deve giocarsi il posto da titolare con Sam Darnold e P.J. Walker, vincendo temporaneamente il ruolo di starter anche per via dell’infortunio di Darnold in preseason, alternandosi però con Walker dentro e fuori dalla panchina per poi essere tagliato a metà novembre dopo aver messo a referto una sola vittoria in quasi tre mesi.

“…o vivi tanto a lungo da diventare un eroe.”

Anche i grandi antagonisti meritano una fine degna, maestosa.
Voglio credere che neanche il più accanito hater di Mayfield sia stato felice nel vederlo finire così: sostituito da un giocatore le cui controversie sono di natura ben più seria; bersagliato per anni dai media per qualche apparizione in normalissimi spot televisivi; scartato dopo aver visto susseguirsi in soli quattro anni altrettanti head coach e offensive coordinators per poi essere mandato in una squadra priva del benché minimo progetto ed essere tagliato pure da quest’ultima nel pieno della stagione.

No, anche un villain come lui merita di più.

Più volte, negli anni, Baker ha dimostrato di aver solo bisogno di una chance.
Se l’è presa a Texas Tech, e ha pagato.
Se l’è presa a Oklahoma, ed è diventato un Heisman e un first pick.

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Mai scommettere contro Baker Mayfield.

Pochi giorni dopo essere stato svincolato dai Panthers, Mayfield viene “raccattato” dai decimati Rams via waiver solo 48 ore prima della partita con i Raiders. Con neanche due giorni per conoscere la squadra e imparare il playbook, non è pensabile che Baker possa anche solo scendere in campo come backup. Pronti, via: dopo una sola serie offensiva, McVay decide di buttare Baker nella mischia, ma è impensabile che sotto di 13 e con un solo quarto da giocare riesca a raddrizzare la partita.

Mai scommettere contro Baker Mayfield.

Ci sono giocatori incapaci di dare il massimo quando la situazione è comoda, quando tutto sembra andare per il verso giusto.

Quegli stessi giocatori sono in grado di imbastire un drive di 98 yard in meno di due minuti, senza timeout e conoscendo a malapena il linguaggio usato dal playbook, il tutto poche ore dopo essere stati tagliati da una delle ultime squadre della lega. Rams 17 – Raiders 16.

Per una sera, Baker torna a gustare quel dolce sapore di rivalsa che probabilmente non assaporava dalla sua prima e unica – allora – vittoria ai playoff.

Quel sapore che è sempre stata la benzina per il suo successo.

Il villain Baker Mayfield non c’è più. Il ragazzino che a Oklahoma si è afferrato gli attributi – nel senso letterale del termine – per provocare i giocatori avversari è cresciuto. L’arroganza c’è ancora, quella non se ne andrà mai, ma ora tutti riescono a vederla per quello che è davvero: sana voglia di vincere e di dimostrare quanto vale. Probabilmente Cleveland non è mai stato l’ambiente giusto per Baker, un ambiente che raramente ha dimostrato autentica fiducia in un quarterback sulle cui spalle ha tuttavia addossato l’enorme responsabilità di farsi redentore di un franchise alla deriva.

No, non era quella la situazione giusta per Baker: il solo essere stato la prima scelta assoluta del draft stonava con quella viscerale necessità di sentire il peso di una chip on his shoulder che ha contraddistinto i migliori momenti della sua carriera.

Ma se non Cleveland e non Carolina, dove, allora?

La risposta è più semplice di quanto si possa pensare, e in retrospettiva nessuno di noi si sarebbe dovuto stupire quando esattamente un anno fa è arrivata la chiamata giusta. Per un giocatore che ha bisogno di scommettere su sé stesso, serve una squadra che ha bisogno di scommettere su sé stessa. Una squadra da poco orfana del più grande quarterback di sempre. Una squadra che sa di non avere nulla da perdere nel dare fiducia a un ragazzo nel quale rivede la propria voglia di dimostrare quanto si vale.

“I’ve been called every name in the book.
But now, you can call me a Buccaneer.

Il matrimonio tra Baker e i Buccaneers è quello che in inglese si definirebbe un match made in heaven, un’accoppiata da sogno. Un ambiente funzionale, ancora in costruzione ma con un progetto ben definito e sviluppato intorno a giocatori chiave da entrambi i lati della palla.
I Bucs hanno da subito dato fiducia a Baker, e Baker li ha ripagati mettendo in piedi la sua miglior stagione di sempre, segnata da molti più alti che bassi e conclusasi con la vittoria della division e una playoff run forse insperata in cui in solo due partite Mayfield ha lanciato per quasi 700 yard e 6 touchdown.
Baker ha finalmente trovato una casa: una franchigia che sì gli ha dato fiducia, ma che allo stesso tempo – con un progetto coerente e stimolante – gli permette di tenere viva quella fiamma senza la quale il “Bakeshow” non può esistere.

A Tampa abbiamo finalmente rivisto il vero Baker, quello del college, ma in una versione matura, cresciuta. Il ragazzino che ha piantato la bandiera dei Sooners sul campo dei Buckeyes è diventato un uomo che ha finalmente trovato una casa sulla costa ovest della Florida e non sembra avere intenzione di andarsene.

Forse è vero che o muori da cattivo, o vivi tanto a lungo da diventare un eroe.

O forse, più semplicemente, esistono giocatori che sotto una corazza di arroganza e sfacciatezza nascondono il bisogno profondamente umano di avere alle proprie spalle una squadra che creda in loro e che sia pronta a scommettere tutto sul 6, ancora una volta.

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Edoardo Vicario

Classe 1995, born and raised tra i laghi Piemontesi, appassionato di football e letteratura. Compenso la mia ignoranza sulle finezze tecnico-tattiche del football provando a raccontare le storie dell'NFL a modo mio. Trovate tutti i miei deliri cliccando la casetta qui sotto.

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