Noblesse oblige: Arch Manning sceglie Texas

Le voci si sono rincorse e sovrapposte per mesi, si parlava di Manning Tour quando l’erede della famiglia più nobile nel mondo del football passava a visitare le migliori università della nazione e finalmente, un po’ all’improvviso, è arrivato l’annuncio ufficiale.

Un tweet, una frase, un hashtag a coronamento di una foto. Semplice, immediato, niente fronzoli. Stile Manning

“Committed to the University of Texas. #HookEm”

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Così Arch Manning, figlio di Cooper, nipote di Peyton e Eli ed erede della dinastia cominciata con il nonno Archie, ha fatto sapere al mondo la sua prossima destinazione.

Ci concentriamo sulla sobrietà dell’annuncio perché è decisamente inusuale. Abbiamo visto ragazzi annunciare la propria scelta collegiale nei modi più disparati (anche paracadutandosi da un aereo in volo, consiglio questo articolo di The Athletic in merito) e l’hype addosso ad Arch Manning avrebbe potuto generare una lista infinita e molto remunerativa di contenuti da dare in pasto ai social media.  Avrebbe potuto, appunto. Perché noblesse oblige: la nobilità comporta degli obblighi.

Per un programma che ha un disperato bisogno di tornare alla ribalta nazionale come quello dei Longhorns, assicurarsi il prospetto più importante dell’ultima decade (almeno) e il QB n.1 in tutti i ranking per la classe del 2023, è di vitale importanza. Nonostante a dicembre dello scorso anno Quinn Ewers (altro QB n.1 della propria classe) ha deciso di riportare i suoi talenti a casa dopo un anno passato a scaldare la freddissima panchina di Ohio State.
Manning sarebbe potuto andare dovunque: Alabama, Georgia (le finaliste) ma anche Florida sembrava entrata nella conversazione di prepotenza. Niente da fare, tra tutte Arch ha scelto la Texas di Steve Sarkisian ed AJ Milwee, il giovane quarterback coach dei Longhorns del quale si dice già un gran bene.

Non scontato se si pensa che Texas viene da una stagione, la prima per Sarkisian, ai limiti del disastroso (5 vittorie e 7 sconfitte): l’arrivo di Manning ad Austin è già stato paragonato, e non poteva essere diversamente, a quello di Vince Young nel 2002. L’ultimo Messia a portare la compagnia dell’arancione bruciato alla terra promessa.
Sarkisian ha venduto alla famiglia Manning la sua visione del futuro per i Longhorns, la cui costruzione, nonostante gli inciampi sul campo, sembrava progredire già ad un buon ritmo (#5 recruiting class della nazione e numerosi transfer eccellenti) prima di questo colpo. Ora si viaggerà a velocità supersoniche. E’ molto probabile, infatti, che tantissimi dei migliori prospetti faranno la fila per giocare con Arch: un effetto secondario di questo commitment che potrebbe essere decisivo per il futuro di Texas. Con il passaggio nella Southeastern Conference (SEC) all’orizzonte.

Detto questo, Manning ha ancora una stagione piena di high school football e arriverà ad Austin solo, presumibilmente, nella primavera/estate del 2023. Nel frattempo, Texas e Sarkisian dovranno dimostrare dei passi in avanti rispetto allo scorso anche se, a meno di cataclismi e visto quanto è stata ponderata la scelta di Arch, difficilmente cambierà idea (pur avendone virtualmente la possibilità). Sarà interessante da seguire anche la dinamica che, inevitabilmente, si creerà con Quinn Ewers, sul quale ora si fa pressante l’obbligo di farsi vedere degno della sua nomea già quest’anno: arrivare alle porte della stagione 2023 con ancora tutto da dimostrare ed un Manning che scalpita alle spalle potrebbe non essere la situazione ideale per questo ragazzo.

Ovviamente per Texas la staffetta tra due dei migliori prospetti di sempre (o almeno da quando esistono i siti specializzati in recruiting) nel ruolo di QB sarebbe lo scenario migliore possibile: Ewers che brilla quest’anno tanto da tenersi il posto anche per l’anno successivo mentre Arch cresce alle sue spalle e si prenderà le chiavi della Corvette solo quando Ewers sarà draft elegible.
Sono convinto che praticamente tutti i college d’america vorrebbero avere questo tipo di “problemi”.

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Nell’era del trasferimento facile e della conseguente enfasi sul roster management che avvicina sempre di più le squadre di college a quelle NFL, non mancano gli esempi recenti di perfetta gestione della staffetta (Alabama con Hurts-Tua-Mac Jones, Ohio State con Fields e Stroud)
E’ chiaro, sono esempi eccellenti. Ma è l’eccellenza che Sarkisian sta cercando per i suoi Longhorns e, per ora solo sulla carta e meno sul gridiron, la sta trovando.

Il punto di domanda, legittimo, che vola come un avvoltoio su tutta questa vicenda è il seguente: se Arch si fosse chiamato Smith e non Manning avrebbe generato tutto questo? No, ovviamente, o perlomeno non così. Gli esperti dicono che da un punto di vista prettamente tecnico questo ragazzo sarebbe comunque stato tra i migliori QB della nazione ed il “gene Manning” ha già dato prova di essere molto forte, l’unico della famiglia che non è riuscito a sfondare è stato proprio il padre di Arch, Cooper ma solamente per sfortuna: gli fu diagnosticata una stenosi spinale poco prima di cominciare la sua carriera ad Ole Miss. Il che, a mio modo di vedere, rende la parabola del figlio Arch ancora più poetica.

Aspettando il prossimo Manning.

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Guido Semplici

College Football - Co-Host di Scusate il CFB, mi trovate anche su Podcast Verso il Draft e su Twitter.

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