Huddle’n Music: Chicago, un viaggio tra le origini di football e musica House

Welcome to the Windy City! Welcome to the Midwest.

Penultima tappa del nostro lunghissimo viaggio!

Chicago è la città più vasta ed importante dell’entroterra americano, terzo mercato in termini di importanza e terza area urbaistica più popolata del paese dopo quelle di New York e Los Angeles. Per tutti coloro che la conoscono, Chicago rappresenta il vero volto degli Stati Uniti: metropoli che a differenza di NY e LA è decisamente meno contaminata dalle influenze europee e latino-americane, sebbene da queste parti la cucina messicana sia senza dubbio la più amata.

Pubblicità

Insomma, in qualche modo possiamo affermare che, più delle altre, Chicago sia la città degli americani e non ci prendiamo riserve nel farlo.

Il patrimonio culturale di questo luogo è talmente grande da non poter essere misurato. Quindi, all’interno della nostra redazione, ci sembrava riduttivo inquadrare una partita o una singola stagione legandola al concept di Huddle n’ Music per poi accompagnarla sulle note di un brano, o accostarla all’immagine di un artista.

Il capitolo sulla città del vento, sui Chicago Bears e sul genere musicale da mettergli sotto come colonna sonora si sviluppa in modo alternativo rispetto al formato di quelli raccolti nella nostra rubrica. Troppi personaggi leggendari, eventi che hanno cambiato la storia e fattori straordinari che creano unicamente un forte imbarazzo della scelta. Una pesante indecisione su chi scegliere, perchè a chiunque non verrà inserito in questo racconto, di base, farai un torto.

Pensi a Chicago e le figure che appaiono nella mente sono talmente rilevanti da far smuovere un sorriso di appagamento sulle labbra, più che altro perchè a certi livelli non ci si può proprio arrivare: Michale Jordan, Al Capone, Barack Obama, Walt Disney, Bill Murray, Harrison Ford, John Wayne Gacy, Robin Williams… Who’s gonna fuck with these people?

Pensi ai Bears e ci sono Brian Urlacher, Walter Payton, Mike Ditka, Buddy Ryan, c’è Signletary, c’è Sid Luckman, c’è Bronko Nagurski, c’è Gale Sayes e c’è William “The Refrigerator” Perry. Su quel campo da football che colora di verde il Soldier Field c’è talmente tanta storia da perdersi…

Pensi alla musica di Chicago e c’è Buddy Guy, c’è Chaka Khan, c’è Common, ci sono gli Smashing Pumpkins, c’è Kanye West, ci sono i Blues Brothers e c’è Patti Smith. Per citarne alcuni…

Ecco perchè come fil rouge per Chicago abbiamo scelto la parola “origine”, optando per la decisione di partire dalle radici di un movimento.

chicago bears
GSH

George Stanley Halas, meglio noto come Papa Bear.

George Halas è nato a Chicago, Illinois, il 2 febbraio del 1895 in una famiglia di immigrati di origini est-europee. Halas si è trasferito a Decatur, sempre in Illinois, per assumere una posizione presso la AE Staley Company; lavorava come rappresentante per l’azienda e nel frattempo giocava come esterno della squadra di baseball sponsorizzata AE Staley Company. Inoltre era giocatore-allenatore della squadra di football sponsorizzata semre dalla Staleys, i Decatur Staleys. Lo chiamavano “Mr. Everything” e credete, quando gli americani indicano qualcuno con un nickname difficilmente si sbagliano.

Pubblicità

Halas ha scelto i colori della sua alma mater, arancione e blu navy, per le divise della squadra. Nel 1920, Halas ha rappresentato gli Staleys alla riunione che formò l’American Professional Football Association (diventata poi la NFL nel 1922) a Canton, Ohio. Il resto è storia.

La prima stagione dei Decatur Staleys, quella del 1920, terminò con il record di 12 vittorie, 1 sconfitta contro i hicago Cardinals e 2 pareggi pazzeschi (entrambi per 0-0) contro i Rock Island Independents e gli Akron Pros. I problemi finanziari degli Staley non dissuasero Halas dal potenziare in modo significativo il roster; dopo la prima partita della stagione 1921, il fondatore dell’azienda e omonimo Augustus E. Staley cedette il controllo della squadra ad Halas in modo che potesse trasferirla a Chicago, dove la squadra aveva attirato molti tifosi nella stagione 1920. Staley diede ad Halas un bonus di $ 5.000 per il trasferimento a Chicago, a condizione che il manager mantenesse il nome della franchigia di Staleys per la stagione 1921.

I “Chicago Staleys” appena coniati aprirono un negozio a Cubs Park, presto conosciuto come Wrigley Field; Halas aveva un buon rapporto con il proprietario dei Chicago Cubs William Wrigley Jr. e con il presidente Bill Veeck Sr. Il programma di George Halas portò gli Staleys a vincere il loro primo campionato NFL.

L’anno successivo, Halas ribattezzò la sua squadra “Chicago Bears”. Anni dopo, Halas ha ricordato che voleva scegliere un nome che facesse riferimento ai Cubs. Ragionando sul fatto che i giocatori di football erano molto più grandi e grossi dei giocatori di baseball, ha concluso: “Se i giocatori di baseball sono cuccioli (Cubs), allora i giocatori di football devono essere orsi!”

Come i nomi degli incommensurabili personaggi citati a monte, quello di George Stanley Halas gode della stessa notorietà. Sia a Chicago, che nel resto degli Stati Uniti. Perchè Halas insieme al suo amico e rivale Lombardi rappresenta l’origine della National Football League; e se oggi questo impero ha raggiunto vette mai esplorate prima nel mondo dello sport professionistico americano, lo deve a personaggi come Halas. Personaggi che hanno saputo vederci lungo…

George Halas è il padre del football americano, icona di stile e innovazione. Un uomo vincente che ha dato vita ai leggendari Chicago Bears, che sui loro colori ha forgiato gli inarrivabili Monsters of the Midway degli anni Quaranta e che, nell’epoca moderna, ha poi gettato le basi per costruire gli ’85 Bears, quelli del Super Bowl e della difesa più terrificante nella storia del football.

Con i Chicago Bears Halas ha vinto 8 Championship dal 1920 al 1967, anno in cui non ha più allenato la squadra ricoprendo solo cariche dirigenziali. George Halas è venuto a mancare il 31 ottobre del 1983 all’età di 88 anni, dopo aver draftato gente come Walter Payton e dopo aver messo insieme una squadra formidabile. La stessa che, per lui, avrebbe poi vinto il Super Bowl XX. Il primo nella lunga storia dei Chicago Bears.

Questa parentesi finale mi ricorda ciò che successe ad un altro sportivo assoluto di quei tempi, Mike Tyson. Cresciuto e allevato come un figlio dall’immenso maestro Cus D’Amato, l’allenatore dei campioni. Cus ha portato Iron Mike Tyson a diventare il più giovane campione dei pesi massimi nella storia del puglilato (20 anni, 4 mesi e 22 giorni), ma purtroppo non ha potuto vederlo con i suoi occhi per aver lasciato questa terra prima del tempo.

Ma sotto il Super Bowl vinto dai Chicago Bears e sotto alla cintura di campione del mondo indossata da “Kid Dynamite”, ci sono le inconfondibili firme di Papa Bear e di Cus D’Amato. Le origini.

Di padre in… padre. La palla passa alla scena musicale di Chicago, indubbiamente tra le più ricche e autentiche tra tutte quelle presenti nel panorama mondiale. Sebbene le origini del nostro prescelto siano newyorkesi, poichè esso è nato nel Bronx a metà degli anni Cinquanta, l’impronta che questo personaggio ha lasciato nel retaggio culturale della Windy City è indelebile tanto quanto quella di Halas.

Pubblicità

Parliamo di Francis Warren Nicholls Jr. In arte, Frankie Knuckles.

Frankie Knuckles

Perchè proprio lui, in mezzo a tanti?

Semplice, perchè Frankie Knuckles è il Padrino, “The Godfather of House Music”.

Knuckles e Larry Levan (leggenda della musica disco della Big Apple) erano amici di lunga data ed hanno iniziato a frequentare le discoteche fin da adolescenti, negli anni Settanta. Mentre studiavano design tessile al FIT, Knuckles e Levan hanno incominciato a lavorare come DJ suonando soul, disco e R&B in due delle prime discoteche più importanti che si ricordino: The Continental Baths e The Gallery. Sul finire degli anni Settanta, Knuckles si è trasferito da New York City a Chicago, dove il suo vecchio amico, Robert Williams, stava aprendo quello che divenne il nightclub chiamato Warehouse. Quando nel 1977 il prestigioso club ha aperto a Chicago, Knuckles è diventato subito un resident affinando il suo stile che, già al tempo, era proiettato verso un qualcosa di superiore. Il suo orientamento era una miscela di classici della discoteca, pezzi atipici e inusuali della indie soul, sporadiche rock track, synth-disco europeo e ogni sorta di rarità, che alla fine sarebbero state tutte codificate come “House Music”. Difatti lo stile musicale, ora noto come house, prende il nome da una versione abbreviata del nome “Warehouse”. E già qui ci siamo detti tutto. O quasi.

In principio, il Warehouse era un club frequentato quasi esclusivamente da un pubblico gay di origine afro-americane, ma col passare del tempo la sua esclusività ha attratto una clientela più eterogenea. Una dinamica molto, molto similare a quella che si è sviluppata una quindicina di anni fa nel famosissimo Berghain-Panorama Bar di Berlino, divenuto ormai da tempo il tempio sacro della musica elettronica nonchè punto massimo d’arrivo per ogni artista del settore. Nel momento in cui il nome di un dj o di un produttore compare nel lineup del Berghain, di fatto è come se fosse entrato negli All Pro della scena EDM.

La sperimentazione elettronica è entrata nell’orbita della scena e Knuckles ne fa il suo fiore all’occhiello. Il processo di isolamento del break ritmico, riassemblato in incessanti sequenze, crea uno stato ipnotico che va ad adagiarsi sul loop musicale con disinvolta morbidezza. Le basi sono queste e, in sostanza, Frankie reinventa la black music che ha ascoltato sin da quando era un bambino. Dal gospel al jazz, dalla musica funk a quella soul, i suoni ancestrali che hanno accompagnato i suoi inverni si alimentano grazie al tocco del suo beat elettronico; il tutto si completa fluttuando sulle note di vecchi blues rielaborati dai sintetizzatori mentre le sfumature delle voci in distorsione fanno immaginare un processo futuristico non ancora del tutto chiaro.

La fusione tra vecchio e nuovo, tra passato e futuro, porta alla nascita della “cassa”. E su di essa si muoverà il mondo.

Cercare di riassumere Frankie Knuckles in un articolo mixato al football americano è abbastanza riduttivo. Ciò che ha concepito Knuckles andrebbe fatto studiare ai bambini sui libri di scuola perchè artisti di una tale prospettiva porterebbero le giovani menti, ormai precocemente essiccate all’interno di dispositivi elettronici “mangiavita”, ad interpretare in modo più eclettico e ricettivo i concetti di arte e musica. Magari, nella speranza di distaccarli dall’idea standardizzata e povera di sentimento in stile “Amici di Maria De Filippi”.

Knuckles ha lasciato questo mondo il 31 marzo del 2014, all’età di 59 anni.

La sua Chicago gli ha reso omaggio circa un anno dopo, casualmente in concomitanza con il mio trasferimento in Illinois. Al terzo piano dello Stony Island Trust & Savings Bank Building, un edificio neoclassico di 17.000 piedi quadrati a South Shore, circa 5.000 dischi in vinile sono stati dispostisu file di scaffali recuperati da un negozio di ferramenta. Forse non c’è abbastanza nella collezione da poter far pensare a un museo, ma questi dischi sono un tesoro culturale molto più prezioso di ciò che si possa immaginare: la nuova Stony Island Arts Bank ha lo scopo di preservarli e renderli accessibili al pubblico, per condividerli con gli appassionati come avrebbe voluto il loro custode.

Questi dischi, appartenevano al leggendario Frankie Knuckles. Oggi immortale.

Vi lascio con la sua traccia più celebre, con la produzione che ha fatto ballare, sognare e innamorare generazioni intere. Vi lascio con la più grande opera artistica del Maestro, quella che senza questioni ha cambiato la storia.

Pubblicità

Vi lascio con Your Love.

Merchandising Merchandising

Alex Cavatton

@AlexCavatton sport addicted dal 1986. Amministratore di Chicago Bears Italia. Penna di Huddle Magazine dal 2018. Fondatore di 108 baseball su Cutting Edge Radio. Autore dei progetti editoriali: Chicago Sunday, Winners Out, RaptorsMania, Siamo di Sesto San Giovanni, Prima dello snap. Disponibili su Amazon

Articoli collegati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Huddle Magazine si sostiene con gli annunci pubblicitari visualizzati sul sito. Disabilita Ad Block (o suo equivalente) per aiutarci :-)

Ovviamente non sei obbligato a farlo, chiudi pure questo messaggio e continua la lettura.