Huddle Mailbag, risposte alle vostre domande #5

Vi diamo il benvenuto a questo appuntamento con Huddle Mailbag, la rubrica bisettimanale in cui rispondiamo alle vostre domande di qualsiasi natura legate al mondo dello sferoide prolato. Ringraziando i nostri lettori per le domande pervenute, come nell’appuntamento precedente in coda all’articolo troverete i metodi per contattarci e porgerci le vostre domande!

Mauro ci chiede:

Buongiorno sono Mauro e scrivo da Torino e sono tifoso dei Falcons. Volevo chiedervi ma dov’è il vero problema dei Falcons? Mi spiego meglio a parte la difesa che ha delle lacune nelle secondarie, Dov’é il vero problema secondo voi? Perché quest’anno è già successo più volte è anche negli anni passati, secondo me anche prima del superbowl perso, riescono a perdere partite incredibili e quando le vincono si fanno comunque rimontare molti punti. A me sembra che da metà del terzo quarto che giochino con il freno a mano tirato.
Anche domenica scorsa contro Denver (domanda pervenuta subito dopo quella partita, ndr), partita che stavano dominando nettamente ma poi finisce con solo 7 punti di scarto…

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Grazie

Dalla redazione risponde Alberto

Ciao Mauro,

Da compagno di tifo ti abbraccio a distanza. Quest’ultimo triennio è stata una via crucis di sofferenza sportiva che non augurerei a nessun tifoso, tranne ovviamente a quelli dei Saints. La tua domanda è davvero lunga, ci leggo lo sfogo di una frustrazione che capisco benissimo, dato che è la stessa che mi ha attanagliato per lungo tempo, per la precisione dal momento in cui James White ha varcato per l’ultima volta la nostra endzone durante quel Super Bowl.

Dov’è il problema dei Falcons? Ci ho riflettuto parecchio mentre le stagioni si avvicendavano e ci veniva promesso un cambiamento che non è mai arrivato. Mentre vedevo il pallone di Ryan sfilare tra le mani di Julio a Philadelphia, mentre buttavamo partite già vinte e mentre avversari alla portata ci spazzavano dal campo. Perché riusciamo sempre a spararci da soli sul piede, a cadere di faccia a un metro dal traguardo, a finire dritti all’ultima curva prima della vittoria? E perché non impariamo mai dai nostri errori, anzi ci ricaschiamo puntualmente in modo ancora più goffo?
 
Ti dico la verità, una risposta semplice non c’è, o almeno io non sono ancora riuscito a trovarla. Ci sono tanti livelli diversi, tutti legati tra loro al punto che separarli diventa difficile. Partiamo dall’alto, perché il pesce puzza sempre dalla testa. L’errore capitale del nostro proprietario Arthur Blank è stato di non aver mai superato la notte di Houston. Difficile biasimarlo, ma la sua reazione al 28-3 è stata testarda e ingenua allo stesso tempo: ha continuato ad incaponirsi, non so se per gratitudine o per convinzione, sui due uomini che lo hanno portato talmente vicino al Lombardi Trophy da potercisi specchiare davanti. Il GM Thomas Dimitroff e l’Head Coach Dan Quinn hanno goduto di un guinzaglio molto più lungo del dovuto, e il disastro dei Falcons parte dalla loro incapacità di trovare la formula magica del 2016 (spoiler: il vero motivo è che l’unico uomo a conoscerla, la formula magica, ci ha lasciati nel 2017 per portare i suoi talenti a San Francisco). Su questa  visione big picture delle nostre sventure ho scritto un pezzo che ti linko qui sotto.

Dan Quinn è andato, ma è troppo tardi per gioire

Dalla tua domanda/sfogo, però, mi sembra di capire che le tue perplessità riguardano come i Falcons stanno in campo, dove sbagliano e perché continuano a sbagliare. Passiamo brevemente ai problemi tattici di questa squadra.

Le difficoltà della nostra difesa hanno due cause principali. La prima è tecnica: anni di pessime scelte al draft (Vic Beasley e Isaiah Oliver su tutti) e in free agency hanno fatto sì che su quel lato del pallone i Falcons non abbiano mai avuto un livello di talento accettabile. L’unica superstar difensiva ad aver indossato la nostra maglia negli ultimi anni è stato Grady Jarrett al centro della linea difensiva. Da quand’è che non abbiamo un edge rusher dominante? Tu ti ricordi l’ultimo shutdown cornerback che abbiamo avuto? O un linebacker in grado di dominare il centro del campo? Io faccio molta fatica a ricordarmene uno sinceramente. I Falcons poi hanno fatto un lavoro scadente in fatto di player development: a parte il solito Jarrett (e forse forse Foye Olokun), non siamo mai stati in grado di scovare gemme nei giri bassi del draft, ripulirle e metterci in tasca dei titolari solidi e affidabili. Risultato, il materiale tecnico è sempre stato scarso. Il vero problema è stato lo schema troppo passivo e prevedibile di Dan Quinn, che negli anni ha provato senza successo ad impiantare il sistema difensivo reso grande dai Seahawks della Legion of Boom orchestrata dal suo mentore Pete Carroll (se questo aspetto ti incuriosisce puoi approfondirlo nella guida tattica che Huddle ha pubblicato lo scorso settembre). Giustamente hai notato i problemi della secondaria, forse il vero tallone d’Achille della difesa. Nelle nostre difficoltà contro i passaggi si riflettono tutti e due i problemi di cui ti parlavo prima: livello di talento decisamente sotto il par (salvo solo AJ Terrell e parzialmente Neal e Dennard), mancanza di comunicazione e schemi troppo spesso prevedibile e/o inefficaci. Domenica scorsa a New Orleans i timidi segnali di miglioramento fatti vedere da Raheem Morris si sono squagliati alla prima prova impegnativa,

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Mentre la difesa ha sempre faticato, nei primi quattro anni d.S. (dopo Shanahan) l’attacco ha faticato sempre di più a tirare la carretta. È la gestione di questo reparto che mi fa bollire il sangue. Se sotto Steve Sarkisian eravamo in flessione (inevitabile visto che il termine di paragone era uno degli attacchi più esplosivi della storia), nel bienni di Dirk Koetter siamo semplicemente deprimenti. Non c’è altro aggettivo per descrivere un attacco così prevedibile, nonostante la quantità strabordante di talento offensivo. Capiamoci, Koetter non è un incapace (non ci sono incapaci nei coaching staff NFL), è semplicemente un playcaller mediocre. Non c’è “juice” nei suoi attacchi, sono sicuro che hai notato anche tu quanto ogni yard che guadagnano sembra incredibilmente faticosa da ottenere. Perché è tutto difficile? Ti elenco una serie di motivi:
A) Dirk Koetter non chiama motion. Le motion dei giocatori offensivi sono l’ultima moda della NFL. Alcuni degli attacchi più brillanti (Rams, Steelers, Chiefs) ne chiamano a bizzeffe e sono ripagate con guadagni facili sui passaggi e numeri migliori nel running game. L’attacco di Koetter è statico già prima dello snap, e le cose spesso peggiorano ad azione in corso
B) Dirk Koetter non è un buon play designer. Nel suo attacco le tracce non si complementano per mettere in difficoltà la difesa, e quando lo fanno non sortiscono gli effetti sperati. Perché? Praticamente Koetter intende le cinque tracce dei suoi ricevitori come cinque “1vs1” con i difensori che devono marcarli. Non c’è organicità in come si muovono i nostri pass catchers, quindi se muoviamo il pallone è perché Julio ha battuto il suo uomo o perché Ridley è in giornata di grazia. Di nuovo, Koetter non sfrutta i vantaggi che le regole e le strategie offensive concedono agli attacchi.
C) Dirk Koetter non è un buon play caller, soprattutto nel running game. Koetter chiama le corse sbagliate (corse centrali come inside zone, quando il nostro attacco è sempre stato impostato sulle outside zone verso l’esterno) e le chiama nel momento sbagliato, soprattutto sui secondi e lungo, la peggior situazione in assoluto per chiamare una corsa. In attacco quindi il talento c’è, ma è sempre stato messo in mani molto meno sapienti di quelle di Shanahan.

Ti chiedo scusa Mauro, vedo che mi sono dilungato più di quanto pensassi. Alla fine il vero sfogo è stato il mio. Sarà l’ultimo? Non lo so, l’aspetto più sconfortante è che non sappiamo ancora se la Via Crucis sta per finire o se dovremo soffrire ancora a lungo. Spero che la prossima tua mail sarà più ottimista di questa, e che le mie risposte saranno più confortanti di quelle di oggi. Nel frattempo teniamo duro

Matteo ci chiede:

Buongiorno, la mia curiosità è la seguente: tecnicamente è più difficile il compito del kicker o del punter ? Io credo il punter. Questo perchè, considerando le condizioni meteo uguali per entrambi, la forza da dosare per un punt dalle 40 o dalle 5 per far cadere la palla nelle 10 avversarie è decisamente differente; in un FG invece che lo si tiri dalle 25 o dalle 50 il kicker tirando sempre forte non sbaglia mai. Che ne pensate?

Dalla redazione risponde il direttore Giovanni

Tutti e due sono ruoli specialistici, non esistono praticamente kicker che fanno i punter o il contrario se non in situazioni di reale emergenza. Il movimento del corpo e della gamba calciante è completamente diverso e deve essere allenato e non può essere improvvisato. Quale dei due ha un compito più difficile? Da una parte c’è la ricerca del piazzamento del pallone, sia lateralmente che in profondità, dall’altra la pressione del valore del proprio calcio sull’andamento della partita. Attenzione su una cosa, non è vero che calciare un field goal dalle 25 o dalle 50 non cambi nulla perchè la routine del kicker rimarrà sempre la stessa, ma anche lui tiene in considerazione la distanza per calciare nella maniera più efficace.

Emanuele ci chiede:

Buonasera, Io volevo sapere come vengono preparate le chiamate del play book. Viene preparata una sequenza da adottare in partita indipendentemente da quello che accade o hanno tutta una serie di chiamate specifiche per le situazioni che si creano. Inoltre è hc che chiama le giocate o oc ed in questo caso che cosa fa hc. Saluti.

Dalla redazione risponde Massimo

Il Gameplan viene preparato in settimana dopo aver visionato i filmati dell’avversario ed analizzato punti forti e punti deboli. Banalmente viene scandagliato il playbook a disposizione per selezionare i giochi che più si adattano alle risultanze dello scout, evitando, quindi, di inserire quelli che, sempre secondo lo scout, hanno meno probabilità di riuscire.
Fatta questa selezione, si preparano le chart vere e proprie, che suddividono i giochi in corse e passaggi, situazioni di campo, hashmark di partenza, down e yardaggio, tempo e così via, in maniera da avere nella play chart una sezione per ogni situazione che contenga i migliori giochi da chiamare per ogni situazione. La specificità di questa play chart sta all’Head Coach, ma normalmente in NFL sono molto dettagliate e prevedono una marea di situazioni. In pratica la chiamata avviene quasi in automatico selezionando la situazione di gioco in questione, che so Siamo nel secondo quarto mancano meno di due minuti alla fine del tempo, siamo sulle nostre trenta, hashmark di destra, secondo e cinque e voglio correre. E’ come se fosse una query su un database: fissi i parametri e ti viene selezionato il gioco (ho semplificato molto per far capire il processo, in realtà hai sempre la scelta fra più giochi).

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Solitamente, poi, si crea un cosiddetto script di 10/15 giochi da eseguire al primo drive, indipendentemente dalla posizione di campo e yardaggio, principalmente per saggiare fronti e coperture dell’avversario, personale ed eventuali aggiustamenti apportati rispetto allo scout che si è fatto in settimana.
Infine, in generale le chiamate spettano all’offensive coordinator, ma ci sono alcuni casi in cui è l’head coach ad occuparsi direttamente delle chiamate. Se le chiamate sono delegate ai coordinatori HC ha comunque voce su scelta dei giochi, strategia da adottare e personale da mandare in campo, sceglie, ad esempio, se giocarsi un quarto o calciare un punt o un field goal, correre o lanciare in determinate situazioni, fare finte, ecc. ecc.

Simone ci chiede:

Qualcuno può dirmi qualcosa in merito a Pat Fitgerald di Northwestern?

Dalla redazione risponde Eugenio

Breve storia: dopo aver frequentato proprio il college in quel di Northwestern come linebacker, Pat non fu selezionato al draft del suo anno di eleggibilità trovando solo nei Cowboys un brevissimo stint di due partite in pre-season prima di abbandonare definitivamente il campo di gioco come giocatore. Nel 1998 seguì il suo ex coordinatore difensivo, divenuto nel frattempo head coach, Ron Vanderlinden ai Maryland Terrapins per poi un anno dopo passare ai Colorado Buffaloes seguendo l’ex head coach di Northwestern Gary Barnett. Dopo un anno anche ad Idaho tornò come coach difensivo nel 2001 ai Wildcats. Rapidamente scalò le gerarchie trovandosi nel 2006 a diventare head coach all’età di 31 anni.

Northwestern non è un college d’elite per il football, il proprio programma è minore rispetto a tanti altri e quanto Fitzgerald ha ottenuto con i Wildcats è qualcosa di impressionante. Sotto la sua guida la squadra ha un record di 104-79 ed è attualmente imbattuta quest’anno. Lo scorso anno l’università ha subito una delle pochissime battute d’arresto, solo cinque stagioni con record negativo su quindici da quando è sulla sideline, con tanto di 4 bowl vinti su 9 disputati. E’ un coach solido, lavora tantissimo sulla testa dei giocatori e le sue squadre non mollano mai. Ha un pregio che può essere anche un difetto, che si diceva anche di Matt Rhule (head coach dei Panthers, ndr) e che condivide con David Shaw di Stanford: è molto selettivo. Non fa scelte tanto per fare, le pondera sotto ogni piccolo aspetto.

Caro Simone, non so se la tua domanda è legata alla possibile associazione del nome di Fitzgerald con la tua squadra del cuore, comunque faccio un excursus anche sotto questo aspetto. Il nome del coach di Northwestern è stato recentemente avvicinato alle franchigie dei Jets e dei Bears in caso di cambio di allenatore. Mi sento già di dire praticamente certo che non sarà il coach dei biancoverdi di New York. Appena due anni fa rifiutò clamorosamente la sideline dei Packers che avrebbero fatto ponti d’oro per lui e che poi virarono su Matt LaFleur. Non sembra proprio interessato a trasferirsi nella “Grande Mela”. Discorso diverso invece è per i Bears che sembrerebbero poter attirare le attenzioni di questo promettente head coach. Da molti Chicago è ritenuta una delle pochissime squadre capaci di poterlo schiodare da Northwestern. C’è tuttavia un grandissimo ma che è legato alla famiglia: i tre figli sono tutti e tre tra gli 11 ed i 16 anni e pare che Fitzgerald preferisca non trasferirsi per poter seguire quotidianamente la vita dei figli e che non abbia intenzione di farli trasferire. Come andrà a fine? Lo sapremo solo a gennaio.

Tommaso ci chiede:

Cosa si intende con Età dell’Oro per i QB? dove “inizia e finisce” una ”generazione” di giocatori per poterla poi identificare come buona o meno buona?
Perché l’ipotetica generazione precedente a quella di Mahomes e soci dovrebbe essere considerata meno “dorata” di quella futura? Quanti QB “forti” o “davvero forti” sono necessari nel medesimo spazio temporale per inquadrare una generazione come d’oro e non incenso o mirra?
Mi fareste un esempio di età dell’oro passata e soprattutto di una generazione invece non propriamente “esaltante”?
Ho battuto il record di “virgolette” ?

Dalla redazione risponde Dario

Il concetto di “Golden age” su cui si basa la tua domanda non è affatto definitivo. Generalmente con esso si intende una serie di giocatori, qualsiasi sport esso sia, che rappresenta un’occasione importante per lo sport stesso (o per la loro nazione a esempio) di immensa crescita ed evoluzione. Come giustamente intuisci però nel definire una generazione dorata dobbiamo tenere conto di alcune variabili esterne. Ti faccio un esempio italiano e uno statunitense. La Nazionale di calcio italiana del 2006 rappresenta una golden generation: Totti, Del Piero, Cannavaro, Buffon, Nesta, Gattuso; non avevano tutti la stessa età ma in quel momento erano nello stesso posto a dimostrare di essere una serie speciale di campioni. Il Dream Team di Barcelona ‘92: Jordan, Johnson, Pippen, Bird, Malone, Barkley; neanche loro avevano la stessa età, le stesse ambizioni, la stessa carriera, ma hanno cristallizzato in quell’estate una diapositiva che ha segnato la storia del basket.

In NFL non abbiamo tale fortuna: non esistono mondiali o olimpiadi che ci aiutino a definire una generazione. Dobbiamo navigare a vista di anno in anno e siamo costretti a rendercene conto sia di volta in volta che alla fine della musica. Chiedi perché la generazione prima di Mahomes non sia ritenuta d’oro, e te lo spiego subito: perché dovevano essere gli eredi di Manning, Brady, Brees, Roethlisberger. Dobbiamo per forza operare così, cioè renderci conto di cosa venga richiesto a una serie di giocatori e quindi giudicare se ce l’abbiano fatta o meno. Inizio la filastrocca.

Newton, Gabbert, Ponder, Locker, Luck, Tannehill, Griffin, Manuel, Manziel, Bridgewater, Mariota, Winston. Questi sono i QB scelti dal 2011 al 2015 in NFL. Non ho bisogno di spiegarti che non sono affatto stati (a eccezione di Luck probabilmente) utili a migliorare il football o a evolvere lo spettacolo.

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Ti invito a guardare la puntata di Peyton’s places su Brett Favre, leggendario QB dei Packers. Manning gli chiede della sua prima partita con Green Bay e Favre spiega che il suo offensive coordinator gli disse: “Occhio Brett su terzo down che questi usano la nickel!” e lui, non sapendo assolutamente cosa essa fosse, andò a istinto.

Proprio Peyton Manning raffinò il ruolo – più e meglio di chi venne prima come Jim Kelly a esempio – leggendo le difese e assumendo maggior controllo sul suo attacco. Contemporaneamente o quasi, Drew Brees portò la spread offense da Purdue alla NFL. Prima che loro potessero vincere, Tom Brady aveva già trionfato incarnando un altro tipo di attacco a New England. I contemporanei capirono che con loro tre in campo Colts, Saints e Patriots partivano da 21 a 0, e i posteri ora ne riconoscono la grandezza.

Verissimo, non abbiamo olimpiadi o mondiali a certificare l’avvento o la realizzazione di una generazione d’oro. Non abbiamo un metronomo a riacutizzare la nostra attenzione e convogliare il nostro giudizio. Però se conosciamo bene il nostro sport preferito possiamo anche noi cogliere l’essenza del cambiamento, le rivoluzioni in atto. E solo come conseguenza, definire quello che vediamo in campo la domenica come “generazione d’oro”. Puoi farlo anche tu: cosa ti aspetti da Joe Burrow, Tua Tagovailoa, Justin Herbert, Trevor Lawrence? Essendo un concetto aleatorio, l’elezione della “golden generation” è nelle nostre mani.

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Questa settimana ci sono pervenute due risposte esatte al nostro quiz quindi complimenti ad Alberto e Luigi! Nella fattispecie, ecco la risposta di Alberto:

“Il Walter Payton Award è un premio che la NFL riconosce al giocatore che più si è distinto nell’annata nelle opere di beneficenza e volontariato. Nella AFC sono solo 3 le franchigie i cui giocatori non hanno mai vinto questo premio. Quali?” Le squadre AFC che non hanno mai vinto il Payton Award sono Cleveland Browns, Buffalo Bills e New England Patriots. Per la precisione gli attuali Tennessee Titans hanno vinto nella loro precedente incarnazione, gli Houston Oilers. (Superato il tranellino, ndr)

Quiz bisettimanale in aggiunta all’articolo di HM Risponde. La risposta migliore sarà pubblicata nella prossima uscita. Ecco la nuova domanda!

“Il 22 Agosto del 1941 nasceva ad Englewood nel New Jersey Duane Charles Parcells. Il cognome vi farà sicuramente ricordare qualcosa mentre il nome passerà ovviamente nell’anonimato. Con il soprannome di “Big Tune”, affibbiatogli ai tempi dei Patriots ed una carriera leggendaria, che gli valse la Hall of Fame, avendo servito come head coach Giants, Patriots, Jets e Cowboys stiamo ovviamente parlando del mitico Bill Parcells. Tuttavia perché si faceva chiamare Bill visto che era nato Duane Charles?”
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Per contattarci e porci le vostre domande potete contattarci all’e-mail apposita mailbag@huddle.org e per i membri del gruppo telegram tramite #mailbag

Le migliori domande riceveranno risposta approfondita e ricercata nella nostra prossima uscita!

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Eugenio Casadei

Appassionato di calcio (Bologna) e trekking, segue il football assiduamente dal momento in cui vide giocare Peyton Manning con la maglia orange di Denver, divenire tifoso Broncos una naturale conseguenza. Scrive la rubrica settimanale "Indiscrezioni di mercato NFL" in offseason e la "Top Ten" in regular season con grande divertimento e passione.

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