[W10] NFC North: quella sporca 53ina…

nfcBrutti e, apparentemente, inspiegabili. Sono i Chicago Bears in cima alla Nfc North. Inguardabili per gran parte delle loro partite. Eppure fortunati quanto basta e vincenti. Una squadra che non sai come prendere. Con un quarterback potenzialmente fortissimo ma drammaticamente propenso a combinare un turnover più di Bertoldo (che mai in vita sua avrebbe pensato di essere accostato a intercetti e fumble), specialmente nella red zone. Senza un gioco di corsa seriamente dominante. Con una batteria di ricevitori vicina all’improponibile e una linea d’attacco con tendenze omicide (nei confronti del suddetto qb, bearsmaltrattato più di tutti: 37 sack subiti). Eppure sono lì. Non nel mezzo come canta Ligabue dei suoi mediani, bensì in cima dove non te li aspetteresti. Trascinati dalla difesa e da quel qualcosa che rende le stagioni vincenti e gli americani chiamano intangibles.
Briggs, Urlacher e soci sono più facili da analizzare. Hanno il maggior numero di palle recuperate della Nfl (poi sperperate per buona parte dai compagni dell’attacco ma questo è legato all’essere brutti e cattivi) nonché il primo posto nella graduatoria dei punti concessi: appena 14,6 a gara. E non poteva essere che dietro il segreto dei Bears (secondi contro le corse e settimi contro i passaggi). Poco importa che la pass rush sia perfettibile. Julius Peppers va raddoppiato e il resto della difesa ne giova. Così ecco la sporca 53ina di Lovie Smith staccare almeno per qualche giorno i compagni di viaggio, e favoriti estivi, Green Bay Packers. Sedersi a 7-3 con un biglietto playoff solo da confermare all’agenzia di viaggi. Prenotazione effettuata con un’altra gara esteticamente trascurabile ma storica. La vittoria sui Miami Dolphins di giovedì notte infatti oltreché aver dato il la alla volata per il titolo divisionale è stata la numero 700 nella storia degli Orsi, i primi a raggiungere la soglia nella Nfl. Complimenti.

Se Chicago è brutta e vincente, i Packers, chiamati a rispondere ai Bears domenica nel IV Favre Bowl al Mall of America Field di Minneapolis, sono rotti e coriacei. Devastati dagli infortuni non stanno comunque mollando la presa. L’obiettivo sarà anche ridimensionato, pensarli al Superbowl senza Ryan Grant, Nick Barnett, Jermichael Finley e tutti gli altri azzoppati è obiettivamente difficile, ma resta di prestigio: spuntare il titolo divisionale e cercare di fare più strada possibile in gennaio. C’è poi quella storia di far pagare un nuovo salato conto al vecchio idolo Brett Favre. Domenica, appunto l’ultima occasione.

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favreNon che, obiettivamente, serva questo gran sforzo per infierire sui Minnesota Vikings. Testimonianza vivente, i gialloviola, che se una rondine non fa primavera, un record non fa una stagione. E non dovrebbe salvare nessuna panchina. Così dopo la straordinaria prova del vecchio numero 4 contro gli Arizona Cardinals (record di yard lanciate: 446, seconda volta in carriera oltre le 400) quando è riuscito a far rimontare 14 punti ai Vikes in una manciata di secondi, con la non trascurabile complicità dei giocatori del deserto, domenica scorsa è arrivata una nuova mazzata proprio contro i cattivi Bears. Minnesota è tornata piccola, piccola. E i ricevitori chicagoani sono quasi improponibili quelli viola, tolto Harvin, rivaleggiano ad armi pari. L’anziano Favre stavolta non ci ha messo troppo del suo. Sono bastate le mani quadrate dei Camarillo e dei Berrian e i tacchetti degli scarpini sbagliati di Shiancoe a far deragliare per l’ennesima volta la locomotiva ansimante e sferragliante di coach Brad Childress. Ecco il nodo. Minnesota quest’anno non va da nessuna parte. Ormai è chiaro anche al più piccolo laghetto del freddissimo stato. Allora perché intestardirsi? Cambiare Favre non serve. Almeno non per trarne profitto in campo dato che alle spalle c’è un Tarvaris Jackson su cui è impensabile voler puntare. Sarebbe bene, se proprio, farlo per tutelarne la salute e la vecchiaia del quarterback 41enne. Muovere oltre Childress al contrario è un dovere per la proprietà. Mossa facilitata peraltro dall’avere un head coach in pectore come Leslie Frazier sulla sideline. Frazier se non farà il capo allenatore a Minneapolis il prossimo anno andrà altrove a coprire un posto vacante. Queste ultime gare perciò sono l’occasione giusta per capire se lui può essere un successore con cui avviare un nuovo progetto a lungo termine. Sarebbe sciocco incaponirsi in un’annata che non ne vuole sapere. I milioni buttati al vento tali restano comunque. Meglio pensare a ripartire. Da Frazier e Peterson e Harvin.

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