Joe Burrow: The American Dream
In questo articolo non voglio parlare di come un ragazzo è riuscito in un anno a diventare la prima scelta assoluta del Draft 2020 rispetto a un ipotetico 5° giro e un futuro da backup.
Per questo ci sarà tempo, forse ce n’è già stato, è la storia che in questi giorni viene narrata e ripetuta in loop. Se non l’avete sentita vi verrà raccontata nei prossimi giorni e verrà spremuta fino all’ultima goccia.
Il tempo scorre veloce, le cose cambiano in fretta, anche se in questi giorni di clausura forzata ci sembra che le giornate non passino più, nessuno un anno fa avrebbe ipotizzato Burrow prima scelta al Draft, forse era più verosimile la pandemia che stiamo vivendo.
In questo articolo voglio dirvi perché, per me, Joe Burrow è pronto a diventare una nuova icona della NFL moderna a prescindere dalla squadra dove inizierà la carriera, ovvero i Cincinnati Bengals.
La mia tesi non si basa sui numeri eccezionali della passata stagione, sui riconoscimenti personali o di squadra raccolti nell’ultima stagione di College Football. Certo non posso non considerarli ovviamente influenzano la mia opinione. Però anche di questo vi parleranno altri.
Se non parto dai risultati sportivi, né dalla sua storia che ha dell’incredibile mi sono tolto le argomentazioni più forti in merito però ne ho di altre, e spero di convincervi.
Anni fa nel mio viaggio in Louisiana parlando con un aiuto allenatore di basket college, rimasi sorpreso da alcune sue parole, ora non le ricordo esattamente, ma il succo era: a questi ragazzi non manca il talento fin da bambini sono abituati a essere eccellenti, i migliori tra i loro parenti, i migliori tra i loro amici, i migliori della loro classe, i migliori del loro anno, della loro città poi arrivano qui si sfaldano, gli manca la vera competizione non sono abituati a perdere, è perdere che ti forma, ti obbliga a trovare altre vie, a cambiare il tuo modo di pensare, se vinci sempre la tua strategia non la cambi e non impari adattarti. Se non ti adatti muori.
Questo concetto è 100 volte più valido quando arrivi al professionismo nello sport, specialmente quello americano, specialmente nella NFL.
Joe Burrow e tutti gli altri prospetti che si sono presentati al Draft, si troveranno a fare questo salto mortale che è diventare un giocatore di NFL, per alcuni l’opportunità della vita non solo per la loro carriera, ma spesso anche per la loro famiglia.
La pressione sarà altissima, a questo aggiungiamo che se vieni scelto per primo, vieni scelto per giocare nel tuo stato natale e, se non bastasse, verrai visto come il salvatore di una delle peggiori franchigie della lega.
Sia chiaro se vieni scelto come prima scelta non hai vinto una vacanza alle Maldive, la squadra che si guadagna il privilegio di scegliere per primi non ha “brillato” la stagione precedente.
Per Cincinnati è stata quarta volta, di cui una tramite trade, che si è trova on the clock per prima e la seconda che usa la pick per un QB dopo Carson Palmer.
Mi rendo conto di aver divagato leggermente, torniamo a Joe Burrow, che sta per presentarsi tra i professionisti a 23 anni (per far un paragone, è più vecchio di Lamar Jackson di 28 giorni e di Kyler Murray di un anno). Per me l’età giusta, e con una maturità che tutti gli scout gli riconoscono, dopo un percorso a ostacoli per una maglia da titolare trovata a quasi mille miglia da casa a LSU.
Joe, essendo il ragazzo sul quale non si era pronti a scommettere se non dopo la sua esplosione, saprà meglio di altri adattarsi alle sconfitte e a cambiare la mentalità per renderla vincente perché l’ha già fatto: l’ha fatto nel suo percorso, l’ha fatto a LSU dove si viveva da tempo di una sindrome di Stoccolma nei confronti di Alabama e dove le tigri sembravano in gabbia.
Ecco parliamo di LSU e parliamo del coach che l’ha portato in Louisiana, Ed Orgeron, uno che può dare lezioni su come cadere e rialzarsi per poi arrivare in cima, da lui sono sicuro che Burrow ha dovuto imparare almeno un po’ i modi e la strada per superare le avversità.
Se analizziamo la NFL negli ultimi anni vediamo come sta cambiando velocemente: sempre più un football vicino a quello del college, il QB mobile sta diventando la norma, e Burrow riesce a unire un attento gioco di corse a passaggi profondi e di qualità (non è il braccio più talentuoso del Draft però compensa con la visione di gioco). A questo aggiungo che ora i QB rookie vengono buttati quasi subito nella mischia, senza un percorso di attesa, non so se sia un bene o un male, ma è sicuramente un fatto e Burrow sembra più pronto.
Ai Bengals troverà un coach giovane, una mente offensiva che ha lavorato in prevalenza come coordinatore dei QB, e con una discreta carriera universitaria nel ruolo. Ora non mi sono ancora fatto un’idea chiara di Zach Taylor e delle sue capacità come allenatore di una squadra NFL, ma i presupposti perché possa essere la giusta guida per Joe Burrow ci sono, per entrambi è la grande occasione.
Il programma di LSU negli ultimi anni ha prodotto giocatori ready to play, per citarne alcuni: Davin White, Odell Beckham Junior, Landry, Jamal Adams e Burrow è pronto per aggiungersi alla lista.
In Ohio penso che il legame con il territorio sia forte, una motivazione ulteriore per il successo, e non può essere altrimenti se vinci l’Heisman Trophy e le parole che trovi sono queste:
“Venendo dal sud est dell’Ohio, una zona davvero impoverita, con la povertà due volte più alta rispetto alla media nazionale… io sono qui per quella gente che non ha molto per quei bambini che non hanno cibo che li aspetta a tavola dopo scuola”
A Burrow la personalità non manca, probabilmente non guiderà la protesta durante l’inno nazionale, però mi sembra pronto a raccontare in diretta nazionale le contrapposizioni di una nazione di cui lui oggi rappresenta il sogno americano.
Il sogno di coloro che lavorano duro, senza arrendersi, senza dare ascolto a chi ti dice che non ce la farai e che forse è meglio smettere di sognare.
Joe quel sogno lo sta realizzando.