[SB XLV] La fiaba e lo sport

sb45Mentre la notte si spinge a salutare il mattino in arrivo. In un freddo e umido inizio di febbraio basso-padano. E’ una sensazione calda e avvolgente scoprire di potersi estraniare da un mondo troppo spesso alla deriva facendosi cullare da una favola. Ti alzi dal divano. Spegni la televisione. E ti trascini fino al letto. Negli occhi hai un sorriso. E’ stato ancora una volta lo sport a raccontartela, la fiaba. 

Una storia di campioni che hanno dovuto sudarsi ogni istante della gloria che ora li inonda in una pioggia di coriandoli colorati. Un racconto che ti fa simpatizzare anche per gli sconfitti. Non avrebbero meritato meno dei vincitori di alzare quel trofeo, tanto semplice e lineare quanto affascinante e dallo stile intramontabile. E’ un film di Cary Grant, un quadro di Andy Warhol, una canzone dei Beatles: il Vince Lombardi Trophy. E’ sempre moderno.

Pubblicità

Hai visto partite migliori. Altre più epiche. Rams-Titans e il placcaggio su Dyson a una yard con il cronometro che scade. Steelers-Cardinals e la presa di Santonio Holmes nell’angolo dell’end zone. I field goal di Vinatieri. La ricezione di Tyree contro gli imbattibili Patriots. Broncos-Packers e il tuffo di Elway. L’errore di Norwood che diede inizio alla maledizione dei Bills.

packersMa domenica notte Green Bay Packers e Pittsburgh Steelers hanno centrato il bersaglio. Soddisfatto fino in fondo il desiderio di ogni appassionato di sport. Gli hanno fatto trascorrere quattro ore su una nuvoletta carica solo dei significati e delle storie che si sono portati quelle maglie bianche e verdi sulle 100 yard di campo.

E nei sessanta minuti di partita hai ripercorso l’annata travagliata dei Packs. Partiti favoriti. Martoriati dagli infortuni. Di Ryan Grant, di Jermichael Finley, di Nick Barnett, tanto per citarne alcuni. Dello stesso Rodgers, la commozione cerebrale che l’ha tenuto fuori per una partita. Si sono rialzati. Hanno conquistato il posto nei playoff, con l’ultimo biglietto rimasto a disposizione nella Nfc, quello della testa di serie numero 6. Un tagliando che è valso tre gare in trasferta.

Hai ripensato alla carriera di Rodgers. Snobbato al draft 2005 in favore di Alex Smith. Pescato da Green Bay con la 24esima chiamata. Ombra di Favre per tre stagioni e poi suo successore. Ha spalle larghe però quel numero 12. E non è buono solo per le statistiche. L’ha dimostrato anche domenica notte. Sono lampi. Le sinapsi faticano a starti dietro.

Green Bay e la sua storia antica. I successi. Il nome strano. Figlio di quella Indian Packing Company, primo sponsor per quei 500 dollari dati al fondatore Earl Lambeau per le magliette. L’anomalia di quella piccola cittadina del nord che della sua squadra è proprietaria. L’associazione no profit. Alle spalle non ci sono i numeri di Barcellona da cui attingere. Ma la passione è la stessa. Così come la competenza. Perché i soci scelgono il consiglio d’amministrazione che poi elegge i sette membri del comitato esecutivo. Gente che sa steekersfare bene il suo lavoro. Il presidente Mark Murphy ha la faccia da Ricky Cunningham ma ha saputo dare ai Packers un pugno alla Fonzie sul juke box appoggiando il general manager Ted Thompson e la sua scelta di dare a Rodgers le chiavi della squadra salutando Brett Favre. Coraggio e competenza.

E vedi Charles Woodson saltellare di gioia con il braccio penzolante legato al collo. Nel corso della sfida altri infortuni (ko anche Driver) hanno provato a mettersi di traverso. Le “teste di formaggio” hanno schivato anche quelli. E non solo quelli. Perché non sono tutti fenomeni. Quel Jordy Nelson, dai numeri inflazionati nella finalissima rispetto al talento, ha ammassato drop oltre alle yard ricevute. James Jones, che è salito sul tetto del mondo da giocatore dopo non averne avuto nemmeno uno da ragazzo, ancora una volta ha rischiato di combinarla grossa non trattenendo un pallone cruciale.

Hanno avuto un cuore grande però, per arrivare sino a lì. E non puoi non ammirare la costanza di Donald Driver, il talento di Greg Jennings. Grandissimi giocatori, questi. Come Clay Matthews, come lo potrebbe diventare Bj Raji. E quel James Starks? Rookie molto infortunato e poco utilizzato in stagione regolare, poi cavallo da tiro nei play-off.

Quelle quattro ore di football non ti hanno mai fatto smettere di agitare la materia grigia. Con Kevin Greene, anello di congiunzione Packers-Steelers. Chissà quanto si rivede in Matthews. Lo allena e come lui è stato maestro di sack. Con gli uomini d’acciaio il Super Bowl l’aveva giocato e perso. Contro Dallas. Si è preso la rivincita sui Cowboys andando ad esultare in casa loro. In quello straordinario stadio che pare persino esagerato con il suo ultramegamaxischermo.

Una favola straordinaria. Resa tale anche dal livello degli sconfitti. Hanno provato fino all’ultimo a non arrendersi. Gli Steelers sanno cosa vuol dire essere campioni. Lo sono stati appena due anni fa. Lo sono stati più di chiunque altro nell’era del Super Bowl, infilandosi sei anelli al dito. Gli ultimi due li ha vinti con il controverso Big Ben a ricevere l’ovale dal centro. Roethlisberger è matto come un cavallo. Scova i guai e ci si tuffa con la stessa abilità con cui vince le partite. Forte, potente. Bravo. Come il collega Rodgers (più pulito e bello da vedersi il ragazzone del Wisconsin). packersDomenica ha sbagliato più del solito. Per questo ha perso. Ha sbagliato anche per la pressione che i Packers sono riusciti a mettergli. Maggiore di quella subita dal numero 12 in verde. Se non ci fossero personaggi come Hines Ward, David Harrison e Troy Polamalu si potrebbe azzardare che ad incidere possa essere stato un po’ d’inconscio appagamento nella truppa di Mike Tomlin. Un gruppo troppo duro però, per sbilanciarsi. Lui, Tomlin, è stato il più giovane coach a raggiungere il Super Bowl due volte. Non male davvero, sebbene gli si possa imputare che nei Packers si veda di più la mano del coach. Inezie, comunque.

Pubblicità

La Steelers nation può essere orgogliosa dei suoi guerrieri. Torneranno. Come torneranno i Packers del resto. Hanno fondamenta solide, le due squadre. E le due franchigie, anche. Perché oltre ai titoli, domenica in campo c’erano due tifoserie tra le più affezionate e calorose. Due città che vivono per i loro club. Che respirano verde-oro e giallo-nero. Ecco come è possibile che Green Bay e Pittsburgh si sbarazzino di Chicago e New York nelle finali di Conference. Cheesehead e Terrible Towels. Due simboli di una straordinaria favola.

Di quelle favole che solo lo sport sa raccontarti. Perché le condisce con passione, amore, follia. E mentre il mattino aspetta il testimone della notte che se ne sta andando, ti senti stringere un po’ il cuore. Perché è già finita. Ma sorridi. Perché Green Bay e Pittsburgh ti hanno regalato un momento che non dimenticherai. Un momento che aspetterai anche il prossimo anno. Lockout permettendo, ovviamente. Questo sì sarebbe un orco cattivo nella fiaba del football. Ma ci penseremo domani.

Merchandising Merchandising

Articoli collegati

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Huddle Magazine si sostiene con gli annunci pubblicitari visualizzati sul sito. Disabilita Ad Block (o suo equivalente) per aiutarci :-)

Ovviamente non sei obbligato a farlo, chiudi pure questo messaggio e continua la lettura.