Uno sguardo al 2020: Minnesota Vikings

Minnesota Vikings. Sei giornate di via crucis. Il sogno di una resurrezione di fine autunno, anticipata dalla Pasqua del Lambeau Field. L’anonimo finale, sfregiato dalla vergognosa sconfitta di Natale in quel di New Orleans.

COME DOVEVA ANDARE…

Non mancano le ambizioni ai Minnesota Vikings all’alba della stagione 2020. Questo nonostante ci siano dei segnali poco confortanti. Sì, perché il rinnovamento della secondaria iniziato da coach Mike Zimmer non si sposa bene con l’estate della pandemia, che impedisce il regolare svolgimento delle attività prestagionali. Il sistema di gioco dei defensive back è complesso. I giovani potrebbero faticare. Ma resta l’ottimismo. Coach Zim è un guru difensivo, Green Bay sembre aver fatto ribaltato il tavolo del proprio spogliatoio con le sue strategie al draft, Chicago Bears e Detroit Lions non paiono in grado di contrastare i gialloviola. Resta l’ottimismo anche dopo aver appuntato sul taccuino la rinuncia alla stagione del miglior innesto difensivo, il defensive tackle Michael Pierce arrivato dai Baltimore Ravens. Comincia a incrinarsi, quell’ottimismo che fa immaginare di potersi giocare il titolo divisionale, quando l’infortunio di Danielle Hunter, a lungo avvolto dal mistero, si rivela per quello che tutti temono: un serio problema al collo che lo esclude dall’annata. Ecco allora che la zampata del GM Rick Spielman che porta nel Minnesota Yannick Ngakoue non permette di far esplodere la libido di vedere all’opera una coppia di pass rusher eccezionale. Tiene comunque alte le aspettative. Alimentate dal rinnovo di Dalvin Cook e dalla conferma di Riley Reiff, che sceglie di abbassarsi lo stipendio per evitare il taglio, a ridosso della prima giornata. Operazioni rese possibili dalla ristrutturazione del contratto di Kirk Cousins. Una mossa che si abbina ai rinnovi triennali di coach Zimmer e del general manager Spielman in quella che viene definita una soft rebuild. Una ricostruzione dolce, con cui restare competitivi nel 2020 per cercare di dare la caccia al bersaglio grosso nel 2021 e nel 2022.

…E COME E’ ANDATA

Che si siano fatti i conti senza l’oste, però, è evidente sin dalle prime giornate. La squadra non quaglia, pur contro avversari che non sembrano ancora rodati al meglio non riesce ad essere all’altezza né in attacco né in difesa. E perde anche Anthony Barr per tutta la stagione. Alla terza settimana però una scintilla accende l’orizzonte: Justin Jefferson, il ricevitore rookie scelto al primo giro, fa vedere per la prima volta di cosa è capace. Lui e Cook per poco non bastano a vincere con i Tennessee Titans, quando anche gli special team cominciano a mostrare falle che perdureranno tutto il 2020. Ad interrompere la via crucis è momentaneamente il successo sui derelitti Houston Texans. Le successive sconfitte a Seattle e contro Atlanta sembrano la pietra tombale anticipata all’annata. In casa dei Seahawks il coaching staff si impegna al massimo per gettare al vento una vittoria in tasta. Contro i Falcons la squadra anziché confermare i passi avanti visti la settimana prima, crolla. Per fortuna arriva il bye. E la stagione si azzera. Fallito il costoso esperimento Ngakoue, spedito ai Baltimore Ravens perdendo nel complesso un bel po’ di draft value per il “noleggio” di un DE 5 partite.

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Zimmer semplifica il playbook e al ritorno in campo è Pasqua. La miglior prova dell’anno al Lambeau Field. Il filotto che segue è interrotto dalla sciagurata sconfitta contro i Dallas Cowboys in casa. E’ il segnale che hai Vikings manca qualcosa. E lo testimoniano le due complicate vittorie con Carolina Panthers e Jacksonville Jaguars, avversarie di cui Cousins e compagni avrebbero dovuto fare un sol boccone. L’infortunio di Eric Kendricks fa crollare il castello di carte. Oddio, a Tampa Bay Minnesota non sfigura affatto contro i futuri campioni, ma Dan Bailey sbaglia tutto lo sbagliabile. Il crocevia del campionato è il successivo spareggio playoff con i Bears, che hanno vissuto un cammino opposto. La spunta Chicago. Per Minnesota è il game over. Niente play-off. Stagione da 7-9. Un velo pietoso sull’incubo di Natale, una delle peggiori sconfitte vichinghe di sempre. L’ultima partita dell’anno con i Lions è utile solo a Justin Jefferson, che suggella le sue qualità a suon di record.

COSA HA FUNZIONATO…

Justin. Jefferson. E’ il raggio di sole del 2020. Il ricevitore da Lsu ha sgretolato ogni primato per un WR rookie e ha riportato alla mente dei tifosi gialloviola il primo anno di quel signore col numero 84 per cui non c’è bisogno di scrivere il nome. Quasi tutto l’attacco, in ogni caso, il suo l’ha fatto. Anche il bistrattato Cousins, dopo un inizio terribile, a modo suo si è fatto apprezzare ed è riuscito finalmente a vincere una partita in prime time. Dalvin Cook si è confermato nell’elite del ruolo, dimostrando di meritare ogni dollaro speso per il suo rinnovo, specialmente considerando il tipo di gioco scelto da Minnesota. Positivo anche l’impatto di Cameron Dantzler (soprattutto) e Jeff Gladney, i due cornerback al primo anno impiegati molto più di quanto immaginato. Ma la lista delle cose buone non va oltre.

…E COSA NON HA FUNZIONATO

Troppo è andato storto. La pandemia ha inciso su tutte le squadre, sui Vikings in maniera sicuramente più pesante vista l’enorme quantità di rookie in squadra e la necessità, nota pre-Covid, di dover lavorare intensamente per insegnargli ogni cosa. La difesa si è trovata in campo con una manciata di ragazzini e una vagonata di seconde linee. Le assenze di Hunter, Pierce e Barr sono state un fardello insopportabile. E non solo gli infortuni hanno resto il reparto «la peggior difesa che abbia mai avuto», citando coach Zimmer. L’esperimento Ngakoue è stato un fallimento totale. Costato un secondo giro, è stato rivenduto per un terzo, perdendoci parecchio draft value. Non ha fornito quello che i coach si aspettavano nonostante i suoi 5 sack in sole 6 partite siano state il massimo raggiunto da un giocatore dei Vikings nel 2020. Il che testimonia un altro dei problemi: la pochezza della pass rush, addirittura nulla dall’interno della linea difensiva. E le difficoltà difensive sono da ascrivere anche al grave errore di valutazione di Zimmer, che non ha adeguato da principio i suoi complessi schemi a una truppa chiaramente impreparata per tutti i motivi citati. Ha scremato il playbook solo da dopo la bye week. Troppo tardi. Doveva sapere che la squadra non era pronta, doveva saperlo anche prima del via. L’ultima mazzata alla difesa è stato l’infortunio di Kendricks nel finale, che ha esposto tutte le mancanze di quei linebacker che con lui al fianco il loro compito lo hanno portato a termine discretamente.

Senza pressione sul quarterback, con una secondaria inesperta, difficilmente i Vikings avrebbero potuto fare di meglio. Tanti big play concessi a inizio stagione sono arrivati proprio per questo. I miglioramenti successivi hanno leggermente mitigato le ambasce, fino al forfait del 54.
Non c’è stato nemmeno il passo avanti di molti giocatori di seconda fascia che si sperava potessero migliorare, senza contare l’ennesimo infortunio di Mike Hughes, cui l’etichetta di bust è ormai appiccicata saldamente. Anzi, ci sono stati passi indietro, su tutti quello di Anthony Harris. Con Harrison Smith impegnato ad aiutare i giovani CB è venuta meno l’alchimia che aveva reso la free safety un pezzo pregiato della difesa.
Se la difesa è stata una delusione, gli special team sono stati un disastro assoluto. Dan Bailey ha sulla coscienza almeno 2-3 vittorie. E Minnesota è stata inguardabile anche sui ritorni e sui punt, concedendo addirittura un doppio touchdown in due azioni consecutive.
In tanto affanno passa quasi, sottolineo il quasi grande come una casa, in secondo piano l’atavica inadeguatezza della linea d’attacco nel proteggere il quarterback (va meglio quando si tratta di aprire varchi per le corse). I difetti di Cousins sono enfatizzati all’inverosimile dal non poter contare su una linea affidabile nella pass protection. Se i tackle hanno giocato una discreta stagione, le guardie non sono state presentabili praticamente mai. Dru Samia e Dakota Dozier in due non fanno un quarto di un giocatore Nfl.

Se si somma il tutto ecco che anche la ristrutturazione del contratto di Cousins acquista un retrogusto diverso rispetto al sapore iniziale. Se in gennaio sembrava una mossa interessante per giocarsi qualche buona chance, a dicembre se ne vede solo il cappio salariale che i Vikings si sono infilati al collo per il 2021 e il 2022.

E ADESSO?

Operare in free agency quest’anno non è stato facile proprio per una situazione di cap molto delicata. I margini sono stati creati con operazioni di mercato dolorose, come l’addio al tight end pietra angolare della locker room Kyle Rudolph. Spielman e Zimmer hanno pensato soprattutto alla difesa e rimangono ancora gli enormi buchi nella linea offensiva, peraltro indebolita dalla partenza di Reiff. Il piano sulla OL è avvolto dal mistero. I giocatori seguiti hanno scelto piazze che offrono più garanzie di alto livello, il che lascia pensare che le offerte economiche non fossero paragonabili a quelle messe sul piatto per sistemare la difesa con Dalvin Tomlinson e Patrick Peterson. Per ovviare ai problemi di linea offensiva resta il draft. Draft che non avrà un secondo giro e che ancora una volta avrà molte scelte nel terzo giorno (4 al quarto giro).
Ecco il terzo giorno su cui si ostina a puntare molto Spielman ma che l’anno passato è stato estremamente deludente. Un punto di domanda rimane anche sulla ricostruzione degli special team: cacciato Bailey, a chi saranno affidati i calci per i punti? Punt ancora con Colquitt, a costi ridotti. E i ritorni?

Tra i punti di domanda anche l’impatto dell’ennesimo cambio di offensive coordinator. Sì, perché Gary Kubiak ha fatto nuovamente un passo indietro e in cabina di pilotaggio siederà il figlio Klint, tutto da testare al momento di chiamare i giochi, nonostante il Dna sia una garanzia. Negli appunti che gli avrà lasciato sulla scrivania papà Gary ci sarà scritto anche “cerca un WR3 affidabile e credibile”. L’esplosione di Jefferson lo scorso anno ha nascosto le magagne legate al terzo violino dei ricevitori.
E punti di domanda enormi sono anche le condizioni di Danielle Hunter dopo l’operazione (nonché il suo morale visto che da mesi si parla del suo desiderio di avere un contratto migliore) e lo stato di forma di Michael Pierce dopo un anno ai box.
Tantissime le incognite, a cui a inizio aprile si è aggiunto l’arresto di Gladney. Il giovane cornerback è stato incarcerato per aver picchiato una ragazza con cui usciva. Una vicenda che fa passare il football in secondo piano.

Tornando allo sport, per i Vikings il 2021 nasce ancora con buone aspettative su cui si allungano pericolose ombre. La difesa sulla carta ha grandi potenzialità e fa sperare in una stagione da un numero di vittorie in doppia cifra. Gli ormai storici nodi di linea d’attacco e kicking team invece rischiano di spingere ancora una volta i Vikings sul baratro delle eterne incompiute.

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