Andrew Luck e i quarterback del 2012

Come spesso accade quando arrivano questi bomboloni dal cielo, leggendo la notizia relativa alla decisione di McDaniels di restare ai Patriots è sembrato subito evidente come la parte importante della breaking news fosse quella non scritta, ma comunque facilmente deducibile anche dal tifoso casuale della National Football League.

È pensiero condiviso infatti che questo back and forth di McDaniels abbia poco a che fare con i Colts come organizzazione e molto con le condizioni fisiche del quaterback desaparecido di Indianapolis, Andrew Luck che, dopo aver perso parte della stagione 2016 e tutta quella del 2017, non ha ancora chiarito cosa ne sarà del suo prossimo futuro. Ed allora la rinuncia all’improvviso del nuovo\vecchio OC dei Pats può diventare un indizio decisivo, che potrebbe rappresentare l’ultimo chiodo sulla bara dei qb scelti al primo giro del draft 2012 che nell’ immaginario dei tifosi, al loro sbarco nella lega, avrebbero dovuto rappresentare la nuova ondata di futuri eroi della domenica pomeriggio americana e che invece, uno dopo l’altro, sono spariti dai radar della NFL.

Sono passati solo sei anni da quel marzo 2012 in cui i Colts, dopo aver perso 14 delle 16 partite di regular season 2011 e quindi vinto la “suck for Luck” scelsero quello che era probabilmente non era solo il miglior quarterback disponibile, ma il miglior giocatore dell’intero draft.

Pubblicità

Andrew Luck, Jurrell Casey

Gli stessi sei anni da cui il proprietario dei Redskins, dopo aver sostanzialmente ceduto anche la moglie ai Rams, si assicurò la possibilità di scegliere con la numero due l’Heisman Trophy winner Robert Griffin III, il giocatore che doveva restituire una squadra di football alla capitale degli Stati Uniti d’America.

I Dolphins puntarono tutto su Ryan Thanneill, un ex WR trasformatosi in QB durante la sua carriera al college, pensando di aver finalmente trovate il giocatore giusto per portare fuori da anni di mediocrità una delle franchigie più importanti della NFL, l’unica ad aver postato una stagione imbattuta.

Mentre i Browns, come da tradizione, senza apparente motivo decisero di puntare su Brandon Weeden, un rookie ventottenne con un passato nelle MLB per provare a interrompere il Cleveland Curse (operazione poi riuscita ai Cavs e sfiorata dagli Indians)

Con l’aiuto di alcuni colleghi scelti nei giri successivi, Cousins e Wilson su tutti, questa nidiata di QB è sembrata, almeno inizialmente nei numeri, una delle migliori che la NFL avesse mai visto. In quella prima week del 2012 furono ben 5 i rookie qb ad esordire titolari, qualcosa che non succedeva dal 1970. Nel corso della stagione le cose riuscirono perfino a migliorare, con i primi lampi di Foles, scelto al terzo giro, e alcuni infortuni che diedero a mezzi sconosciuti come Ryan Lindley o giocatori non scelti come Case Keenum, la possibilità di “vivere il sogno americano”.

A distanza di pochi anni è impressionante rileggere quella draft board.

Mentre alcuni dei qb scelti dopo il primo giro non solo sono ancora nella lega, ma hanno disputato e vinto alcuni dei recenti Super Bowl (Wilson\Foles) o stanno infiammando la free agency (Cousins) fa riflettere come nessuno di quelli selezionati al primo giro abbia avuto un ruolo determinante, in campo, nelle ultime due/tre stagioni.

RG3 è stato prima fatto fuori dai propri coach a Washington e poi dai Cleveland Browns. Thanneill non ha mai convinto e nonostante abbia avuto il merito di riportare i Dolphins ai playoff nel 2015 non si è trasformato nel giocatore che a Miami pensavano potesse diventare. Bradon Weeden va oltre la mia comprensione, in tutti i sensi. Resta Andrew Luck, ancora oggi probabilmente il migliore del lotto e, quando sano, uno dei primi tre qb della lega, il problema è che non gioca sostanzialmente da due anni e sul suo futuro, comprensibilmente, iniziano ad esserci troppi punti interrogativi.

La scelta di McDaniels, come detto in apertura, potrebbe essere LA risposta ai nostri dubbi anche se resta da capire quale sia precisamente la domanda. Luck non offriva abbastanza garanzie per rinunciare ai Patriots o non ne offre alcuna?
Nel primo caso potremmo doverci accontentare, nella prossima stagione, di una versione contraffatta del signal caller #12, diversamente, come anche ipotizzato dal nostro Dario Michielini, staremmo semplicemente contando i giorni che ci separano dalla conferenza stampa per l’annuncio del ritiro dell’ex Stanford.

Pubblicità

https://twitter.com/dariazzo/status/961157542968807426

La certezza, comunque vada a finire questa storia, è che non avremo più la possibilità di vedere Luck ai livelli del passato e questo, visto le premesse, è qualcosa che non può che dispiacere ad ogni singolo tifoso dello sferoide prolato. Ricordo di aver twittato durantela rimonta contro i Chiefs nei playoff del 2015 di come Luck mi ricordasse Favre per la capacità di andare oltre i propri errori e restare sempre mentalmente dentro la partita…
Questo è il tipo di giocatore a cui probabilmente dovremo rinunciare nei prossimi anni, uno destinato alla Hall of Fame. Vista la nebulizzazione di talento a livello di signal caller, in una lega che contro le evidenze continua a definirsi qb-comitted, è una perdita piuttosto pesante.

Tutto questo accade a poche settimane dal draft 2018, potenzialmente ricco di franchise-qb e che in qualche modo ricorda le sensazioni che circondavano quello che ha visto protagonisti i nostri eroi del 2012. Ultimamente sono incappato in uno dei mille mock draft che riportava l’Heisman Trophy Winner del 2017 alla numero uno quando fino all’inizio di questa stagione si faticava a capire se Mayfield sarebbe stato materiale da NFL o la sua taglia lo avrebbe tagliato fuori (concedetemi il gioco di parole). Alla 2 Darold, poi Rosen, Allen e Jackson, il più sottovalutato del lotto ma che è passato da “dovrebbe giocare WR tra i pro”, ad una probabile prima scelta.

mayfield Oklahoma

Stiamo parlando potenzialmente di 5 quarterback al primo giro, 3 nelle prime 10 posizioni, a dimostrazione che nonostante le numerose red flag, la tendenza dei GM della lega, condizionata anche dall’hard cap, discorso troppo spesso sottovalutato, sembra non voler cambiare e si preferisca quindi il big shot, a quello che impropriamente molto spesso definiamo re-bulding.

It is what it is

[ad id=”29259″]
Merchandising Merchandising

Andrea Ghezzi

Padre di Mattia e Lorenzo, Marito di Silvia, Fratello di Zoe (Franci ti voglio bene). Scrivo (poco) e parlo (tantissimo) di Football, anche italiano. Direttore di The Cutting Edge credo solo a tre cose: #mattanza #badaun e #bomboloni.

Articoli collegati

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Huddle Magazine si sostiene con gli annunci pubblicitari visualizzati sul sito. Disabilita Ad Block (o suo equivalente) per aiutarci :-)

Ovviamente non sei obbligato a farlo, chiudi pure questo messaggio e continua la lettura.