[NFL] Week 4: Perfida Albione (New Orleans Saints vs Miami Dolphins 20–0)

La seconda trasferta londinese dei New Orleans Saints finisce quasi come la prima: con una vittoria. Ma se la seconda, nell’ormai lontano 2008, fu combattuta e sofferta contro i Chargers di Tomlinson e Rivers (e risolta alla fine grazie ad una ‘intentional safety’ che entusiasmò la nostra redazione presente in massa sugli spalti di Wembley) questa è stata liscia e tranquilla come e più dell’acqua del Tamigi.

La quarta trasferta londinese dei Miami Dolphins finisce come già altre due volte, cioè con una sconfitta. Ma se la prima di queste sconfitte, nell’ormai lontano 2007, fu lottata sotto il diluvio (e risolta alla fine grazie ad un grottesco ‘onside kick’ sbagliato che scompisciò dal ridere la nostra redazione presente in massa sugli spalti di Wembley) questa è stata sconcertante ed amorfa come quella di due anni fa contro i Jets. Ah sì, e brutta come e più dell’acqua marrone del Tamigi.

La cronaca è davvero poca cosa, come del resto è facile presumere, trattandosi di uno shutout. Il primo drive è lo specchio fedele di come non è andata poi la partita, con l’attacco dei Dolphins che combatte, conquista yard, riesce anche a risollevarsi dopo due penalità consecutive e un 1&25 che potevano anche far saltare il drive. Corre Jay Ajayi, corre Kenyon Drake, Jay Cutler passa, Devante Parker, Jarvis Landry e Julius Thomas ricevono, Miami tiene palla per 11 minuti, poi arrivano sulle 4 yards… e Cutler esce una mozzarella bifida sul lato destro dell’end zone verso un Thomas che neanche stava guardando il pallone. Intercetto Saints e luce spenta per sempre sull’attacco di Miami.

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Da lì in poi l’unico reparto dei Dolphins che si presenta in campo è la difesa. Che non fa un brutto lavoro, pur affidando tuttora la pass rush al solo Cameron Wake, ma che davanti ad un attacco che nelle prime tre giornate aveva viaggiato a ben più di 400 yards di media fa quello che può. Il che vuol dire concedere a Drew Brees e ai suoi la possibilità di farti male.

kamara saints dolphins

I Saints sembrano poter capitalizzare subito: dopo il primo drive Miami, di cui abbiamo detto, New Orleans chiude il suo primo drive solo ad inizio secondo quarto ma Will Lutz sbaglia il field goal. Da qui inizia un secondo quarto francamente difficile da guardare, in cui si contano addirittura 11 penalità (7 contro i Dolphins e 4 contro i Saints) e 2 fumbles e nel quale il punteggio non si sblocca per indubbi opposti demeriti. Solo allo scadere l’ultimo drive di New Orleans si chiude con Lutz che centra i pali e porta i suoi al riposo sopra 3-0. Tre a zero. Partitona.

L’intervallo porta consiglio ai Saints che ricevono il kickoff e vanno subito a segnare, con Drew Brees che pesca Michael Thomas dalle 3 yard con un passaggino sulla destra che il ricevitore fa entrare in end zone prima di essere spinto fuori campo. Un drive con 11 giochi, 77 yards e l’immancabile penalità contro Miami portano i Saints sopra 10-0.

In tribuna la redazione commenta: “O i Dolphins segnano un touchdown adesso, subito, oppure è finita”. Come volevasi dimostrare, Miami va rapidamente 3&out; lungi dal voler attribuire capacità divinatorie alla redazione di Huddle, ma non c’è più stata partita.

I Saints segneranno ancora, con un altro calcio di Lutz ad inizio del terzo quarto e con un altro passaggino di Brees per Alvin Kamara a 4 minuti dalla fine. I Dolphins, trovatisi sotto nel finale esattamente 20-0 come sette giorni prima contro i Jets, stavolta non hanno neanche la reazione di orgoglio che gli aveva permesso di ottenere il touchdown della bandiera a Meadowlands e la partita finisce con un tristissimo 20-0. Le squadre sfollano, fuori dallo stadio qualche giocatore di Miami esce per salutare amici e parenti e i più cortesi (Kiko Alonso, JaWuan James) si fermano anche per una fotografia, ma l’aria non è propriamente allegra.

I Saints rientrano a casa proiettati verso la settimana di riposo. Non è certo questa la partita che può dare loro chissà che indicazioni, vista la prestazione estremamente sottotono degli avversari, ma un paio di annotazioni si possono sicuramente fare. Dando già per scontate tutte le cose positive che si possono dire su Drew Brees (29/41, 268 yards, 2 TD 0 int, rating 104.5) meritano di essere sottolineate in attacco le prestazioni di Michael Thomas (8 ricezioni per 89 yards, alcune molto belle, e un touchdown), ormai vero ed affidabile punto focale dell’attacco dei Saints e del rookie ormai non più sorpresa Alvin Kamara (5 corse per 25 yards ma soprattutto 10 ricezioni per 71 yards e 1 touchdown).

In queste condizioni e dato per assodata l’imprescindibilità di un power runner come Mark Ingram (14 portate per 45 yards) riesce davvero difficile trovare un posto in questo attacco ad Adrian Peterson. A Wembley è stato chiamato in causa solo 4 volte per 4 yards e, anche se dagli spalti lo si vedeva sempre in prima fila sulla sideline a complimentarsi con i compagni, sicuramente questi numeri non all’altezza della sua fama passata destano più di un interrogativo sul suo ruolo in questi Saints. A meno di un infortunio, che però non si augura mai a nessuno.

Dal lato della difesa, questa partita può rappresentare una iniezione di fiducia per un reparto che fino a prima di attraversare l’oceano era additato da tutti come una barzelletta. Anche priva di Alex Anzalone, fattosi male praticamente subito, la difesa Saints è stata il muro contro cui l’attacco di Miami è andato rovinosamente a sbattere (o forse ha sbattuto contro sé stesso); menzione d’onore per la front seven, vincente nella battaglia contro la linea offensiva Dolphins e capace di lasciare pochissima aria a Cutler e pochissimo spazio al temuto Ajayi.

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Proprio Jay Ajayi, fra tutti i volti delusi nello spogliatoio dei Dolphins, era forse quello più triste. Ci teneva particolarmente a fare bella figura a casa sua, essendo nato a Hackney (quartiere della zona est di Londra) ed invece i suoi tentativi sono stati frustrati dalla quasi totale assenza di spazio nel quale correre. E non è che ai suoi compagni di attacco sia andata meglio. Jarvis Landry ha afferrato solo 6 palloni (che per i suoi standard non sono molti) ma per solo 40 yards; altri 6 li ha ricevuti Devante Parker, per 69 yards, Kenny Stills si è fermato a 3 ma tutti sono sempre stati palloni inutili, che non hanno portato alcun risultato.

cutler dolphins saints

Il grande imputato, inutile negarlo, è Jay Cutler. La sua percentuale di passaggi (20 su 28) racconterebbe anche una storia diversa rispetto a quello che si è visto sul campo, ma allargandolo sguardo alle altre statistiche (164 yards, 1 int, rating 71.1) si arriva più vicini al vero. Vista dalla tribuna la partita di Cutler è stata – senza mezzi termini – brutta, con i due apici nell’azione dell’intercetto in end zone (un passaggio lanciato davvero male, che ha inferto un colpo psicologico da cui i Dolphins non si sono più ripresi) e in una azione giocata in “wildcat” con Cutler schierato come ricevitore (in cui il quarterback ha mostrato un atteggiamento… diciamo non proprio concentratissimo…).

Primo drive a parte, Cutler non è mai riuscito ad accendere la luce, a mettere un po’ d’ordine, a prendere in mano l’attacco e guidarlo in una direzione, che sarebbe poi il lavoro di un quarterback. Ma (siccome c’è sempre un ma) addossargli tutte le colpe sarebbe altrettanto sbagliato.

Perché davanti a Cutler c’è una linea offensiva che sta giocando davvero male. E non è questione di individuare le carenze dei singoli Tunsil, Davis, Pouncey eccetera quanto piuttosto di evidenziare come per la seconda settimana di fila per la maggior parte del tempo che Cutler ha passato in campo era circondato da più maglie avversarie di quante non fossero quelle dei suoi compagni. Che hanno fatto sembrare ottime le pass rush di Jets e Saints, due delle difese statisticamente peggiori della lega fino al momento di affrontare i Dolphins. Che hanno impedito ad Ajayi di essere un fattore come ha dimostrato di saper fare. Che commettono penalità stupide in una successione disarmante. Che hanno posto le basi (perché “it all starts from the offensive line” Madden cit.) perché l’attacco riuscisse, in due partite a segnare un solo touchdown (non trasformato) in pieno garbage time.

Tutto ciò conduce – ovvio – direttamente alla testa. Mentre la difesa sta lentamente migliorando (il rientro di Lawrence Timmons è stato una provvidenziale ancora di stabilità nel mezzo, l’esordio del cornerback rookie Cordrea Tankersley è stato promettente e prima o poi anche la pass rush – e magari anche la prima scelta Charles Harris – arriverà) l’attacco è in pieno caos. Scelta dei giochi, mancanza di protezione, nessuna linea di corsa, penalità, sack, scarso apporto del quarterback: mescolate tutto assieme ed otterrete i Miami Dolphins di questo periodo, un’accozzaglia di problemi più che una squadra.

Neanche il fegato di un arrabbiatissimo Adam Gase sta passando un bel periodo. Se la soluzione fosse facile da trovare, allora il posto di capo allenatore dei Dolphins sarebbe alla portata di tutti, ma siccome “ad un problema complesso non può corrispondere una soluzione semplice” (cit.), allora non resta che sperare che il giovane coach riesca a trovare il bandolo della matassa che anche lui stesso ha contribuito ad aggrovigliare. Magari partendo dall’atteso debutto casalingo, domenica prossima, contro i Titans. Già: quest’anno per i Dolphins, niente giornata di riposo post-Londra. Mancava giusto quello…

Gli highlight della partita

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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