Defining the MVP’s

Arrivare a giocarsi tutto in una partita secca dove “spremersi per una buona causa” (Vince Lombardi) è di solito una delle ambizioni massime, quando non il traguardo, della carriera di un giocatore di football.
jim kellyL’iconografia classica vuole l’eroe di un giorno che esce dal campo con l’indice verso il cielo, “Disneyworld bound”. Giocatori immensi che non sono mai arrivati al gran ballo, come Barry Sanders, oppure che ci si sono avvicinati senza riuscire a vincere, come Marino, oppure ospiti nel cortile di casa della sconfitta, come Jim Kelly e Fran Tarkenton, resteranno sempre con la macchia di un quid mancante ad una carriera che ha comunque costretto la National Football League a costruire un’ala in più nella Hall of Fame di Canton. Dan Marino
E’ forse ingeneroso marcare a fuoco la carriera di giocatori di quella levatura per quella mancanza, anche alla luce del fatto che talora l’eroe di un giorno ha avuto un impatto sulla storia del football irrilevante rispetto a quello degli “illustri sconfitti”. Fa piacere che John Elway sia riuscito a ritirarsi con un duplice trionfo, e come “reigning MVP”, come dispiace appunto aver visto fior di talenti (Marino, Sanders e Kelly le punte più eclatanti…) invecchiare e sfiorire senza quel degno coronamento al loro talento e alla loro dedizione. Ma che ingredienti servono ad un mvp? Quale casistica troviamo?
Beh, è abbastanza semplice trarre alcune indicazioni sul trend, come pure può essere divertente tuffarsi un po’ nelle varie curiosità intorno alla definizione stessa, a quelle tre letterine per cui all’inizio dell’anno, ogni giocatore desidererebbe vedersi affiancato, vuoi per ritorni economici, vuoi per celebrità “imperitura”.

Fredda cronaca…

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Prima osservazione: una volta su due tocca al quarterback della squadra vincente. In questo momento, infatti, su 43 SuperBowl e 44 MVPs (un ex-aequo), ventidue volte il riconoscimento è andato al QB dei campioni. La suddivisione per ruoli è un po’ un avallo al vecchio mantra “l’attacco vende i biglietti, la difesa vince le partite”.

Infatti la distribuzione del premio è la seguente

22 QB (Joe Montana 3, Terry Bradshaw 2, Tom Brady 2, Bart Starr 2, Joe Namath, John Elway, Peyton Manning, Eli Manning, Steve Young, Mark Rypien, Doug Williams, Phil Simms, Len Dawson, Jim Plunkett, Kurt Warner, Troy Aikman, Roger Staubach)
7 RB (Larry Csonka, Franco Harris, Terrell Davis, Marcus Allen, John Riggins, Emmitt Smith, OJ Anderson)
6 WR (Deion Branch, Hines Ward, Lynn Swann, Santonio Holmes, Fred Biletnikoff, Jerry Rice)
3 DL (Harvey Martin & Randy White, Richard Dent)
2 LB (Ray Lewis, Chuck Howley)
3 DB (Jake Scott, Dexter Jackson, Larry Brown)
1 KR (Desmond Howard)

Quindi 35 volte il titolo è andato ad un giocatore dell’attacco, 8 volte ad un difensore, 1 volta ad uno specialista (un returner)

Numerologia...

Namath Il numero magico per l’MVP è il 12 (Brady, Bradshaw, Namath, Staubach), con 6 titoli, seguito dal numero 16 con 5 (Montana 3, Plunkett, Dawson), ma in barba alle credenze americane, anche il 13 ha strappato i suoi biglietti per Disneyworld in ben due circostanze, prima con Jake Scott, safety numero 13 dei Miami Dolphins e poi con Kurt Warner, QB dei Saint Louis Rams. Il numero più alto è stato il 95 di Richard Dent, il più basso il 7 di John Elway. La distribuzione, ovviamente, è polarizzata sulle cifre inferiori al 20, perchè oltre ai quarterback, anche Jake Scott (13) e Santonio Holmes (10) hanno incrementato il conteggio in quella fascia.

“Ne abbiamo la cantina piena”…

I Dallas Cowboys hanno un record singolare e probabilmente non eguagliabile, causa le anomalie che lo hanno generato… 5 titoli vinti e 7 MVP, dovuti a Chuck Howley, premiato anche dopo la sconfitta in uno dei Superbowl più grigi mai visti, e all’ex-aequo di Harvey Martin e Randy White.


“Perchè io no”?
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Timmy Smith stabilì il record assoluto per yards corse in un superbowl, unico giocatore ad infrangere la barriera delle 200 yards in una finale. Il trofeo del Most Valuable Player, in quel caso lì, venne assegnato a Doug Williams. Forse, viste le performance stratosferiche dell’attacco dei Redskins e il modo in cui maturarono, quel giorno sarebbe stato un bel segnale dare il riconoscimento a tutta la loro Offensive Line, almeno per una volta. Peraltro, dopo quella memorabile partita i due protagonisti principali entrarono nell’anonimato più totale.
McGee Max McGee (scomparso nel 2007), improbabile punter poi convertito ricevitore dei Packers di Vince Lombardi, nel primo Superbowl registrò 7 ricezioni, 138 yds e due TD, fra cui il primo mai segnato in un Superbowl. McGee era talmente “concentrato” sull’evento da violare tutte le policy imposte da Vince Lombardi la notte prima dell’incontro, e quando Boyd Dowler si infortunò entrò in partita con l’aria di quello che era lì per caso. Il premio andò a Bart Starr, gran QB per i sistemi offensivi di quel periodo, magari un po’ più “aziendalista” di McGee.
Jeff Hostetler, nel 1990 guidò i Giants di Parcells in uno dei più celebri upset nella storia del grande evento, contro una delle migliori macchine da punti degli anni 90, i Bills di Marv Levy, Jim Kelly, Thurman Thomas e Bruce Smith (e ci si ferma per motivi di spazio). Hostetler prese in mano l’attacco dei Giants a metà campionato, quando Phil Simms si infortunò al Giants Stadium nella partita di regular season persa proprio contro i Bills. L’attacco di quei Giants era riassunto dal motto “Run the ball first, ask questions later”. Hostetler condusse i suoi fino a Tampa limitandosi semplicemente a compiere meno errori possibili, poichè quell’attacco poteva controllare le partite, ma difficilmente rimontare più di dieci punti. Durante il Superbowl giocò una partita inappuntabile, sia dal punto di vista statistico (20 su 32, 222 yds, 1 TD) sia dal punto di vista della gestione dell’incontro, convertendo terzi down cruciali e controllando il tempo in modo decisivo. Il MVP andò a OJ Anderson, ma francamente non c’è molto da eccepire sulla decisione.

“A Family Affair”

Nel periodo 2006-2007 il premio di MVP è passato da Peyton a Eli Manning, tanto “scienza esatta” il primo, quanto istintivo ed emotivo il secondo. Le circostanze in cui maturò l’assegnazione del premio furono appunto in linea con i dati caratteriali dei due fratelli.
Peyton non si trovò mai in difficoltà, neppure quando i Bears avevano tutta l’inerzia possibile dopo un KO return in TD sul primo gioco e un intercetto nel Peyton Manning primo drive offensivo dei Colts. Sistematicamente iniziò a “incidere” i punti deboli di una difesa che ne aveva pochi, deviando la partita verso un copione che pareva aver scritto lui, anche senza tirar giù statistiche eclatanti. Ma diede proprio l’impressione che quella sera lo spettacolo era intorno a lui, come accade nelle partite che giocano i Colts da 12 anni a questa parte.
Eli fu il protagonista di quello che venne definito il più grande upset della storia della NFL. La squadra che non poteva vincere contro la squadra che non poteva perdere. La memoria è fresca. L’ultimo drive dei Giants, con il “Miracle Play” verso Tyree e il lob quasi facile verso Burress sono ancora lì negli occhi di tutti gli appassionati NFL (concedendo il beneficio della damnatio memoriae ai tifosi dei Patriots).

Paradossi

Gli Steelers negli anni hanno guadagnato fama e titoli grazie a una difesa che quasi “nei secoli” si è imposta come il loro trademark. Nessun difensore di Pittsburgh è mai stato MVP di un Superbowl (forse ci si è avvicinato James Harrison, ma i forse non contano…).
Jake Scott MVP del superbowl VII, safety dei Miami Dolphins “perfect edition” indossava il numero 13. Sì. Un numero 13 dei Miami Dolphins è stato MVP del Superbowl.

Conclusione?

Nessuno scoop, è ovvio. L’assegnazione del premio di solito non genera troppe discussioni, sia per il valore più simbolico  che altro (è un riconoscimento ambitissimo, ma solo personale), sia per il fatto che è raro che il premio vada a chi ha “bucato” la partita. Quando c’è stata la possibilità di assegnarlo “alla carriera” (Walter Payton, ad esempio) non è stato fatto perchè sarebbe andato a scapito del dato oggettivo.
Ma l’ultimo MVP è andato a un ricevitore, quindi…

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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