Uno sguardo al 2022: Miami Dolphins

Il 2022 dei Miami Dolphins è stato un viaggio tanto strano quanto entusiasmante.

Il 2022 dei Miami Dolphins è stato un viaggio tanto strano quanto entusiasmante. Molto simile al 2021 come lungo susseguirsi di alti e bassi, ma anche molto diverso perché le sensazioni erano del tutto differenti. Il primo anno della gestione di Mike McDaniel ha riportato Miami all’attenzione dei media nazionali USA come non accadeva dall’anno in cui i Dolphins di Tony Sparano e Chad Pennington sconvolsero la NFL con la wildcat e con un inatteso titolo divisionale; ha riacceso l’entusiasmo del popolo aqua-arancio per una squadra dal chiarissimo potenziale e dall’altrettanto chiarissima incerta gestione sul campo; e ha riportato Miami ai playoff dopo un numero di anni che quantificheremo semplicemente come “troppi”. Il tutto non senza drammi, momenti difficili e, ovviamente, tutto il carico di controversie che a Miami pare brutto farsi mancare.

COME DOVEVA ANDARE…

Hai voglia a dire che per un head coach al primo anno è difficilissimo partire col botto e arrivare fino in fondo. Quando poi ti trovi davanti alla offseason più clamorosa che tifoso Dolphins ricordi, come puoi riuscire a volare basso? Doveva andare bene, dai…

Del resto, come poteva andare in un anno in cui Chris Grier aveva fatto la magata di portarti a casa Tyreek Hill, che solo a pensarlo in coppia con Jaylen Waddle c’era da salivare, oltre a un Terron Armstead e a tutti gli altri; in cui Tua Tagovailoa era finalmente sano e reduce da una offseason di fruttuosi allenamenti; in cui il nuovo allenatore si era rifatto il coaching staff offensivo (con anche un OL coach che sembrava sapere il fatto suo) lasciando quasi intatto il fronte difensivo che tanto bene aveva fatto l’anno prima? Alla fine, in questa rutilante offseason, avevamo solo sacrificato il draft, iniziato per noi solo al terzo giro e comunque pescando un linebacker dall’incredibile difesa dei Georgia Bulldogs che, come ruolo, era proprio quello che ci serviva.

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Però… Tyreek Hill a Miami??? Dai su, onestamente, come doveva andare?

…E COME E’ ANDATA

E’ andata bene, punto. Come altro giudicare una stagione in cui torni ai playoff, con record positivo, per la prima volta dopo sei anni (e solo la seconda negli ultimi 14)? Apriamo pure il dibattito, ma il solo fatto di aver raggiunto la postseason rende il 2022 dei Dolphins una stagione soddisfacente.

Nel mezzo sono successe tante cose. Un avvio sfolgorante, con tre vittorie contro Patriots, Ravens e Bills, inattese non tanto nella sostanza quanto nella forma, con Tua che lancia 469 yard e 6 touchdown contro Baltimore e la coppia Hill-Waddle che inizia farsi notare da tutti. Poi tre sconfitte consecutive contro Bengals, Jets e Vikings, coincise con la(e) prima(e) concussion di Tua. Poi il quarterback torna e i Dolphins capitalizzano la parte più facile del calendario con cinque vittorie di fila contro Steelers, Lions, Bears, Browns e Texans, non senza patemi e problemi assortiti ma sempre vittorie. E così, con un brillante record di 8-3 ed il vento in poppa, Miami si presenta all’appuntamento chiave della stagione, che ne diventerà poi anche il turning point: la sfida con i 49ers a San Francisco. E ne esce con le ossa rotte, soprattutto perché i 49ers (più forti e meglio allenati) trovano l’antidoto all’attacco esplosivo dei Dolphins, mostrandolo a tutta la lega. E da lì arrivano cinque sconfitte consecutive, visto che poi anche Chargers, Bills, Packers e Patriots approfittano di una squadra martoriata dagli infortuni (con Tua di nuovo in concussion protocol dopo la partita contro Green Bay) e incapace di ritrovare gli assetti tattici e mentali di inizio stagione. O anche di trovare semplicemente qualcosa di nuovo.

Così, con il record a 8-8 e la matematica ancora dalla loro parte, i Dolphins sono arrivati a giocarsi tutto nell’ultima partita casalinga contro i New York Jets, eterni rivali, schierando come quarterback un rookie scelto al settimo giro del draft solo pochi mesi prima. E a vincerla 11-6, dopo una gara oggettivamente bruttina se non peggio, e a conquistare così sul filo di lana l’obiettivo stagionale di un posto nei playoffs.

Il posto però, essendo il settimo, ha comportato una nuova gita al freddo di Buffalo, per una partita considerata da tutti in una scala da “difficile” a “fuori portata”. E che invece si è tramutata in una impresa quasi sfiorata, dopo una gara vibrante e combattuta, in cui i Bills ci hanno messo del loro per non vincerla ma nella quale i Dolphins (con il solito quarterback rookie scelto al settimo giro del draft solo pochi mesi prima cit.) hanno dato tutto quello che avevano per provarci fino agli ultimi minuti. Pazienza. Per quest’anno va bene così, ma il prossimo ne riparliamo.

COSA HA FUNZIONATO…

L’attacco. Guardiamolo da qualsiasi angolo ma quella che Mike McDaniel ha portato nell’attacco dei Miami Dolphins è stata una rivoluzione che ha dato i suoi frutti. Ciò che ovviamente risalta di più è stata la coppia Tyreek Hill – Jaylen Waddle, 119 ricezioni, 1710 yard (record ogni epoca di franchigia, in una squadra che di ricevitori più che buoni in passato ne ha visti…) e 7 touchdown il primo, 75 ricezioni, 1356 yard e 8 touchdown il secondo. Per larga parte della stagione i due sono stati immarcabili per chiunque, il vero asse portante di un attacco che, soprattutto con Tua al timone, ha saputo sfruttare la velocità della coppia 10-17 come una vera arma impropria.

Pausa. Rileggere la frase “soprattutto con Tua al timone”.

L’ormai famoso video di Mike McDaniel che, dall’aereo che lo sta portando a Miami per iniziare il suo lavoro con i Dolphins, videochiama Tua Tagovailoa per dirgli che il suo scopo è quello di tirargli fuori tutto il talento che ha è stato assolutamente profetico: Tagovailoa ha dimostrato sul campo nel 2022 di essere un quarterback NFL. Le cifre statistiche con cui ha chiuso la stagione (105.5 di rating, 64,8% di passaggi completati, 8,9 yard di media passaggio, 25 touchdown, 8 intercetti) sono inequivocabili e raccontano di un giocatore che, quando è rimasto in campo, ha fatto la differenza. Il sistema messo in piedi da Mike McDaniel ha poi fatto il resto, riuscendo a sfruttare e a massimizzare le sue innegabili doti come la precisione e la rapidità di rilascio. Per tutto il resto (e sappiamo che c’è altro da dire…) c’è il paragrafo “cosa non ha funzionato”.

Sull’altro lato del campo, va sottolineato il rendimento stellare durante tutto l’anno della linea difensiva. Christian Wilkins ha chiuso l’anno con 98 tackles, un’enormità per un DL, confermando la sua crescita costante e (non meno importante per lui) di essere pronto per passare all’incasso con il contrattone che sicuramente arriverà. Altra garanzia è stato Zach Sieler, che pur non avendo il pedigree di prima scelta come Wilkins è ormai un pezzo imprescindibile del reparto, al pari del meno sbandierato Raekwon Davis, vera e propria ancora nel mezzo. Senza poi spendere molte parole su Jaelan Phillips, edge che al suo secondo anno è letteralmente sbocciato con 61 tackles, 7 sack e una presenza costante. E, in tema di note liete difensive, non si può non citare Kader Kohou, cornerback undrafted e subito proiettato titolare a causa della raffica di infortuni che ha colpito la secondaria dei Dolphins. Ne risentiremo sicuramente parlare.

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…E COSA NON HA FUNZIONATO

Risposta di getto: gli infortuni. La secondaria ha finito per perdere Trill Williams e Nik Needham ancora in preseason, Byron Jones ancora dallo scorso anno, Brandon Jones a stagione appena iniziata e ha giocato gran parte dell’anno con due undrafted rookie in campo (il già citato Kohou e la safety Verone McKinley III). Tutto ciò ha radicalmente impattato sia sugli schemi difensivi di Josh Boyer, che ha dovuto stralciare pezzi del playbook per impossibilità di metterli in pratica con gli uomini a disposizione, sia sulle strategie della squadra. Con la trade per Bradley Chubb, ad esempio, Miami ha cercato di rinforzare la prima linea difensiva, per essere in grado di portare pressione sul quarterback avversario con meno giocatori rispetto al solito, potendo così dedicare più uomini alla copertura; è lecito chiedersi se, con la secondaria titolare in campo, una mossa del genere sarebbe stata cercata ed eseguita ugualmente.

Infortuni a prescindere, la difesa è comunque stata uno dei grandi imputati di quest’anno, per l’impossibilità o incapacità di chiudere le partite, di variare gli schemi, di ritrovare l’efficacia degli anni precedenti (quando però c’era in giro anche un certo Brian Flores, che due cosette di difesa le conosceva). Il reparto è apparso spesso sbilanciato, con una secondaria volonterosa a far da contraltare alla linea quasi dominante già descritta e nel mezzo una pattuglia di linebackers evanescenti. Forse il fatto che lo scorso anno la conferma di Josh Boyer come defensive coordinator fosse stata voluta soprattutto dal management, con un McDaniel ‘non libero’ di scegliersi il proprio DC, potrebbe aver avuto un peso nel licenziamento a fine stagione del DC, ma le performances sul campo del reparto hanno sicuramente avuto il peso maggiore nella decisione.

In effetti ci sarebbe anche la questione McDaniel. Per essere al primo anno non gli si può imputare molto, il cambio di direzione dei Dolphins è stato netto sotto molti punti di vista, dai rapporti con i media al rendimento in campo dell’attacco, ma è chiaro che la sua inesperienza nel ruolo in certi frangenti si è sentita ed ha pesato (esempio? la gestione dei challenge in partita). Insomma, il diritto al rispetto se l’è guadagnato ma nemmeno lui è stato esente da errori. Un anno di esperienza che di sicuro gli servirà.

Ma si parlava di infortuni, ed è chiaro che nel 2022 dici ‘infortuni ai Dolphins’ e pensi a un giocatore solo. Perché le concussion subite da Tua Tagovailoa sono probabilmente state la chiave di volta di tutta la stagione dei Miami Dolphins, condizionandola pesantemente. Per ogni squadra NFL l’infortunio al quarterback titolare è sempre un incubo da evitare, figuriamoci per una come Miami, all’inizio di un percorso evolutivo nel quale tutto l’attacco sembrava cucito su misura sulle caratteristiche di Tua.

Il colpo subito da Matt Milano nella partita contro Buffalo è stato solo l’inizio, con il “barcollamento” che ne è seguito, l’uscita dal campo e le polemiche che subito hanno iniziato a montare. La serata di Cincinnati è stata l’apice, con l’immagine della mano di Tua piegata innaturalmente in diretta nazionale, l’uscita dal campo in barella, i protocolli cambiati e subito contestati e le nuove e più feroci polemiche contro Dolphins, medici, NFL e chi più ne ha più ne metta. E, nel finale di stagione, il nuovo colpo nella partita contro Green Bay, la stagione finita e da concludere con Skylar Thompson, i 38 giorni passati prima di uscire dal concussion protocol. E’ chiaro che tutti questo getta ombre sul futuro di Tua Tagovailoa e, di riflesso, dei Miami Dolphins. Ed è altrettanto chiaro che ciò non dipende dalle potenzialità del giocatore ma esclusivamente dal suo stato fisico. Per molti era chiaro, troppi infortuni anche nella sua carriera scolastica per potersi fidare, per altri è solo sfortuna, come si fa a collegare una concussion con un infortunio all’anca con uno ad una mano? Comunque sia è chiaro che la stagione 2022 con un Tagovailoa sano per i Dolphins sarebbe stata diversa, ma ormai è andata. Ora il front office di Miami è chiamato a prendere decisioni per il futuro, e non saranno sicuramente semplici.

E ADESSO?

L’offseason che i Dolphins si preparano ad affrontare probabilmente non sarà traumatica come la precedente ma di punti aperti ce ne sono, eccome. Tanto per iniziare, la difesa ha già ricevuto il primo grosso scossone con il licenziamento di Josh Boyer e la sua sostituzione nientepopodimeno che con Vic Fangio, una delle mente difensive più apprezzate e rispettate in circolazione. A lui toccherà il compito di far fare il salto di qualità ad un reparto che, pur ricco di individualità di rilievo, non è mai riuscito a salire di livello e diventare una difesa che “vince le partite” con costanza.

Free agency e draft avranno probabilmente ben altro aspetto rispetto al 2022. Le risorse a disposizione dei Dolphins quest’anno non sono cospicue, in termini sia di spazio salariale che di scelte al draft. Certo, poi quando hai un GM come Chris Grier ti puoi aspettare di tutto, ma rispetto allo scorso anno anche le esigenze sono diverse. Non c’è più motivo di attendersi una rivoluzione ma semplici interventi mirati su aree specifiche.

Però, su tutto, chiaramente aleggia la grande incognita che veleggia sopra Miami come la nuvoletta di Fantozzi. Tua Tagovailoa ha finora dimostrato di saper giocare ma, purtroppo, anche non di riuscire a restare in campo una stagione intera. Ha chiuso il suo terzo anno di carriera con numeri alti sia nella percentuale di passaggi completati che, purtroppissimo, anche nelle concussion prese. Entro inizio maggio i Dolphins, con sulla scrivania tutti i pareri medici possibili ed immaginabili, dovranno decidere se far valere l’opzione del quinto anno sul suo contratto. Oppure no. Oppure estendergli già il contratto. Oppure tagliarlo. Oppure taggarlo il prossimo anno. Oppure affiancargli un altro quarterback di peso. Oppure… inserire frase a piacere. Da questa decisione dipenderà molto del futuro prossimo di questa franchigia, e non a caso i Dolphins hanno già detto che si prenderanno tutto il tempo necessario per decidere. Come sempre, i tifosi di Miami faranno la cosa che ormai gli riesce meglio: aspetteranno fiduciosi. Fins Up!

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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