Alla scoperta dei tesori del nord: Minnesota Vikings, prossima fermata la storia

Tredici. Tre. Due. Due. Il titolo della NFC North è al sicuro nella cassaforte dei Minnesota Vikings, che ogni settimana hanno aggiornato il codice di sblocco. Fino al 31 dicembre, fine della regular season. A cambiare è stata quasi sempre la prima cifra: quella delle vittorie. Il secondo miglior record di sempre in regular season per i gialloviola. Solo il meraviglioso 1998 con Randy Moss, Cris Carter, Robert Smith, Randall Cunningham, Randall McDaniel, Todd Steussie, Jeff Christy, John Randle, Ed McDaniel e i coach Dennis Green e Brian Billick, è stato ancora meglio: 15-1, prima dello sciagurato unico errore di Gary Anderson nel Championship che spedì al Super Bowl Atlanta.

La partenza stellare contro i New Orleans Saints, parte della terza cifra del codice di sicurezza, una delle due vittorie dopo quattro partite, aveva lasciato intravedere un futuro brillante nell’anno in cui il Super Bowl si giocherà proprio a Minneapolis. Prima che arrivasse la grandine. Sam Bradford si ferma subito ai box. Il ginocchio non funziona come dovrebbe. Lui​, prelevato in fretta e furia dai Philadelphia Eagles nel 2016 per sostituire Teddy Bridgewate​r. Lui, confermato per quanto di ottimo mostrato.​ ​Al punto da far ragionare su chi dei due dovrà essere il leader del domani​ e fornire altri motivi per rinunciare all’opzione per il quarto anno del qb dai due guanti​. Ora però l’incubo infortuni torna a velare la carriera di Bradford. La squadra subisce il contraccolpo nel match con Pittsburgh. Pur sempre gli Steelers. Una corazzata, che ha chiuso anch’essa​ il 2017 con 13 successi.

C’è ancora il rookie meraviglia Dalvin Cook però a reggere il destino vichingo. Correndo si può ancora lottare. La difesa implementata da coach Mike Zimmer farà il resto. È stellare. E Tampa Bay va al tappeto. I mostri si riaffacciano contro i Detroit Lions. Nel 2016 furono sconfitte dolorose nelle sfide a Matt Stafford e compagni. Lo è anche quella della quarta giornata. Cook si infortuna, stagione finita.

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Un avvio da 2W-2L, conclusione del codice di sicurezza.​ E si intravede il capolinea anche per i sogni di gloria gialloviola. A maggior ragione quando il tentativo (fuori luogo) di rimettere in campo Bradford​, la settimana dopo, finisce con l’aggravare la sua situazione. Ne esce comunque una vittoria sui Chicago Bears, che fa bene al morale e dà fiducia a Case Keenum. Sì, Keenum. Perché il football è uno sport di squadra. E cambiarl​o, il gruppo in cui si gioca​, può variare le prestazioni del singolo.

Lo sport di squadra, del resto è dove la qualità del collettivo può superare la somma dei singoli talenti. Non lo si scopre oggi, non lo scopriamo noi. Nel tennis, nella boxe, nei 100 metri, l’atleta più forte vince. Negli sport di squadra deve avere dei compagni validi, degli allenatori capaci​, una società organizzata e seria​. Negli sport di squadra un gruppo di buoni giocatori, ben allenati, fortemente motivati possono superare compagini rivali con più campioni. Specialmente nel football americano, dove le componenti in campo sono tantissime, con il numero di giocatori coinvolti superiore alla gran parte delle altre discipline.

Ecco allora che l’apparentemente inspiegabile prende forma. I Minnesota Vikings dominano la NFC North con un record di tredici vittorie e tre sole sconfitte. Quegli stessi Vikings che hanno perso il quarterback e il running back titolari per tutta la stagione e che per due partite hanno dovuto fare a meno anche del loro ricevitore migliore della passata stagione, Stefon Diggs. Senza contare uno dei loro migliori giovani difensori, Sharrif Floyd, che probabilmente non potrà più tornare a giocare per un intervento al ginocchio apparentemente di routine che gli ha danneggiato un nervo.​ Quegli stessi Vikings che anche nel 2016 videro finire in infermeria il loro quarterback dopo aver centrato i playoff l’anno prima​, e che si sciolsero dopo un inizio di campionato inaspettato. Quegli stessi Vikings che in estate hanno lasciato andare il loro miglior running back di sempre​, un tale Adrian Peterson, pietra angolare per 10 stagioni​.

Allora? Chi sono questi V​ikings?

Coach Mike Zimmer è arrivato nella NFC North nel 2014. Una lunga carriera da assistente finalmente premiata. Le incognite in casi come queste sono più pregiudizi. Ci sarà un motivo se nessuno gli ha mai dato una chance? Non è che sia meglio a disegnare e chiamare schemi? Una stagione di assestamento e poi le nuvole fugate: 11-5 nel 2015 e solo una sciagurata pedata di Blair Walsh a negargli la prima vittoria nei playoff. Le qualità di defensive coordinator non erano in discussione. Dallas e Cincinnati erano lì a testimoniarlo. I problemi di vista sono stati un intoppo che non ha giovato al complicato 2016. L’avvio sprint e il tracollo. L’attacco si inceppa. Norv Turner lascia. Al suo posto Pat Shurmur. Promosso e confermato. Ottima scelta, da parte di un head coach spesso sottovalutato, poco glam ma apprezzatissimo.

Shurmur ha alle spalle due anni da capo a Cleveland. Non indimenticabili, i suoi Browns, ma di certo meno peggio degli attuali. A Philadelphia si trova a lavorare con Chip Kelly e il suo sistema rivoluzionario per i professionisti. Ne escono comunque due stagioni con vittorie in doppia cifra e un titolo divisionale, prima del meno brillante 2015. Subentrato a Norv Turner a metà del 2016, è stato confermato quest’anno e… “bibbidi bobbidi boo” ha trasformato un gruppo senza nomi altisonanti in un’armata con tanto di ricevitore da Pro Bowl, secondo team All Pro: Adam Thielen. Il miglioratissimo Adam Thielen. Meritati i colloqui per tornare a dirigere in proprio una squadra. Detroit e Arizona si sono fatte avanti per prime, i Giants hanno buone possibilità.

week 11 thielen vikings

L’attacco, dicevamo. Case Keenum aveva sorpreso nel secondo passaggio a Houston, dopo lo 0-8 iniziale (con 9 TD e 6 INT a renderne comunque dignitose le statistiche) piazzò un 2-0. Lampo nella notte del ragazzo a cui è appartenuto il record per il maggior numero di yard lanciate nella Ncaa ai tempi dei Cougars di Houston. Era piaciuto per l’approccio in Hard Knocks nella prima stagione del ritorno a Los Angeles dei Rams. Non bastò in campo ad evitare la mediocrità. Situazioni sbagliate. Quest’anno la squadra giusta, in grado di enfatizzarne i lati positivi. In grado di far rendere il singolo oltre il proprio talento. Si è guadagnato la possibilità di restare titolare vittoria dopo vittoria: ne ha infilate più di quante ne aveva raccolte nei quattro anni precedenti. Nei playoff avrà il compito di rimettere la musica che ha suonato per gran parte dell’annata, escludendo i dischi lenti del finale di stagione.

A far ballare le difese avversarie toccherà ad Adam Thielen e Stefon Diggs. La sostanza fatta a ricevitori. Pochi fronzoli, tante ricezioni. La maturazione di Thielen è stata eccezionale. Lavoro e talento, in quest’ordine, l’hanno proiettato nell’elite della lega. E i Vikings sono tornati ad avere un ricevitore da mille yard in stagione. L’ultimo era stato Sidney Rice nel 2009. Sì, quel 2009: quello con Brett Favre. Quello del Championship contro i New Orleans Saints, proprio loro. Proprio quello. Non è da meno Diggs, perla pescata al quinto giro del draft 2016 a Maryland.

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Non di soli passaggi, però, vivono i Vikings. Al contrario, quando la stagione (meteorologica) si è fatta più impervia ad aumentare sono state le corse. Con Cook fuori causa, il testimone è stato raccolto dalla coppia Latavius Murray-Jerrick McKinnon. Il primo è approdato, ben pagato, a Minneapolis nella scorsa free agency. In arrivo da Oakland. Sembrava dover essere il running back titolare designato, finché dalle scelte non si è materializzata la possibilità di abbracciare Cook, che il general manager Rick Spielman non si è lasciato sfuggire. Gli acciacchi dell’avvio hanno avuto modo di alleviarsi mentre i gialloviola poggiavano sulle spalle di Cook. Murray si è poi messo in moto arrivando all’apice in dicembre. Sarà un punto focale nella post season, alternato alle caratteristiche opposte di McKinnon, più reattivo, veloce e preferibile fuori dal backfield. Si integrano bene, i due, e sono frecce temibili.

vikings cook buccaneers

Sfrutteranno una linea d’attacco che ha trovato una quadra dopo anni complicatissimi. Dal fondo dello scorso anno sono risaliti, dopo un profondo rinnovamento, ai vertici statistici in questa stagione. Se la torta è riuscita alla perfezione i ragazzi dell’offensive line hanno una buonissima parte di merito. L’innesto del centro rookie Pat Elflein non è passato inosservato. A cavallo tra i due gruppi sta Kyle Rudolph. È il più noto del reparto. Gli otto touchdown segnati sono le gemme di un 2017 concreto.

Poi ci sono loro. L’altro lato della palla. E qui le cose cambiano. Perché di sconosciuti ce ne sono davvero pochi, nonostante i riflettori arrivino meno spesso che altrove ad illuminare i gelidi laghi del Minnesota. A guidare la miglior difesa della NFL (prima sia per punti sia per yard concessi), come non accadeva da un pezzo per i gialloviola, è Harrison Smith. Snobbato dal Pro Bowl, la safety ha la miglior valutazione tra tutti i giocatori di football per Pro Football Focus: un incredibile 98.8. Il top per una safety nella storia. Nell’annata ha sbagliato solo una manciata di tackle. Primo team All Pro. È il comandante in campo dei vichinghi. Giocatore portante ancor prima che importante. Intorno a lui è cresciuto Trae Wayne. Ha trovato completamento con Andrew Sendejo. L’altro gioiello della corona di Zimmer è Xavier Rhodes, cornerback capace di zittire anche Julio Jones, giusto per citare un nome non a caso. È tra i top della posizione. Anche lui primo team All Pro. Non c’è più, tra questi, Terence Newman. Lui però è un caposaldo di Minnesota, su cui Zimmer ha puntato forte all’arrivo e che ha permesso di crescere tanti giovani talenti nella giusta direzione. Non sarebbero questi i Vikings se non ci fosse stato lui.

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Vi siete accorti che erano solo le secondarie, giusto? Non crediate che ci sia meno talento nel resto del reparto. Non potrebbe essere altrimenti, però. Stiamo parlando della miglior difesa ogni epoca sui terzi down. Nessuno nella storia ha mai tenuto gli avversari a poco più del 25%.

Tra i linebacker Anthony Barr ha ripreso a macinare e intimidire con una fisicità fuori dal normale. Il 2016 delle ombre è alle spalle. Spalle… Il colpo che ha infortunato Aaron Rodgers ha fatto discutere a lungo. Le immagini però non chiariranno mai se fosse o meno vizioso. Al centro del reparto c’è il suo compagno di mille battaglie, vichinghe e bruins, Eric Kendricks.

Si arriva alla linea difensiva. E le note liete suonano sempre una melodia gioiosa. Everson Griffen è la punta di diamante. Pass rusher d’oro e leader (secondo team All Pro, 13,5 sack in stagione). Danielle Hunter ha avuto alti e bassi. Non è ancora esploso definitivamente ma il fisico di da Superman e l’età sono dalla sua. Alle spalle l’esperienza e il carattere di Brian Robison. Nel cuore l’importanza strategica di Linval Joseph. Il suo arrivo dai New York Giants è passato sotto silenzio nel resto della NFL ma non nel Minnesota. Un muro al centro.

Marcus Sherels, nei ritorni, è il valore aggiunto di special team forse meno incisivi rispetto al resto del roster. Passare dai calci di Kai Forbath per proseguire nella post season potrebbe essere un rischio. Anche perché il cambio di long snapper a causa dell’infortunio di Kevin McDermott potrebbe essere una complicazione da non sottovalutare.

Chi è rimasto ai margini di una stagione da incorniciare sono soprattutto due ricevitori: Michael Floyd e Laquon Treadwell. Il percorso di crescita del secondo è molto più lento del previsto. E se non ci sarà la bacchetta magica di coach Shurmur i Vikings in futuro potranno sempre contare sulla sagacia di Zimmer, che l’ex Greg Jennings arriva addirittura paragonarlo a Bill Belichick, per renderlo un tassello importante. Sempre che il ragazzo abbia il fuoco che serve e che arde nei compagni con i numeri 19 e 14.

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Ora però è solo tempo di concentrarsi sui playoff 2018. I Vikings hanno un altro record da inseguire: essere la prima squadra della storia a giocare un Super Bowl in casa. E per un gruppo coeso che sa esaltare il talento dei singoli oltre i limiti personali, per una squadra vera, nulla è impossibile.

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