I Dolphins ritornano all’Hard Rock Stadium dopo l’inopinato passo falso contro i Titans. Poteva essere l’ennesima buccia di banana sul cammino dei cetacei, poichè la sensazione dopo la sconfitta nel MNF era quella di aver esaurito i bonus. I Jets venivano da una prestazione perentoria contro i rinati Texans, con Zach Wilson reduce dalla miglior esibizione in carriera (AFC Offensive Player of the Week) e guidati dalla solita, magnifica creatura del duo Saleh-Ulbricht. Per soprammercato, Tyreek Hill prova qualche taglio e decide con McDaniel che la ragion di stato deve prevalere, quindi resta in borghese a bordo campo per non aggravare la caviglia (se vogliamo aprire un dibattito sugli hip drop tackle, siamo qui)
Ma a questo punto ci si ricorda ogni tanto che il football è anche un gioco di stati d’animo e di motivazioni. Una squadra ha ancora una ragione per dare tutto in termini di sforzi e di concentrazione, mentre l’altra… l’altra sono i New York Jets.
Mettiamo le cose in chiaro: come dicono gli istruiti “Absit iniuria verbis”, nessuno vuole offendere. Ma quello che si è visto in campo e sulla sideline dei verdi non offre spunti di particolare ottimismo per il prossimo futuro alla loro tifoseria. La stagione è stata impiccata al loro primo drive offensivo con l’infortunio ad Aaron Rodgers, ma la voglia di fare squadra e di dare più del massimo si è vista (quando si è vista) solo dalla parte della difesa. A questo punto della stagione poi gli infortuni fanno ampiamente parte del menu, quindi c’è bisogno di altro. Quello che si è visto sulle sideline non era incoraggiante: Rodgers muto e rassegnato, a masticare l’ennesima gomma. Saleh poco convinto, un clima quasi da smobilitazione. Il traffico quasi caotico intorno alla temutissima tenda blu non aiutava troppo il contesto
Dall’altra parte Miami ha fatto il suo, con una padronanza del quadro che si è vista in tutte le partite casalinghe a meno di una. Tua ha messo da subito il pilota automatico, completando i primi dodici passaggi in fila (per cortesia, abolite le sovraimpressioni che ricordano questi streak: portano sfiga, ormai è dimostrato). E soprattutto è riuscito a gestire la partita con la pazienza che era necessaria, accettando il fatto di avere davanti una buona difesa e cucinando alla grande pur in assenza del suo ingrediente più pregiato, grazie alla solita concretezza di Mostert (che ha superato icone sacre quali Ricky Williams e Mark Clayton) e ad una prestazione imperiale di Jaylen Waddle. Notare semplicemente la finezza della bomba in touchdown da 60 yard dopo che Quinnen Williams nel drive precedente aveva celebrato un sack con la danza del pinguino (a Miami ci fanno caso…).
La partita peraltro era stata già indirizzata da subito dalla difesa dei Dolphins. Wilkins e Chubb hanno un motore decisamente troppo al di sopra della rabberciatissima OL dei Jets e già all’inizio Sieler rischia di andare vicino alla seconda segnatura in due partite, ricoprendo nei pressi della goal line un fumble di Wilson, preso in mezzo dai due di cui sopra.
Non c’è molto da dire su una partita che poco prima dell’intervallo diceva che le yard totali erano 197 a 3.
Troppa differenza fra chi non ha più nulla da chiedere alla stagione e chi si sta accingendo a giocarsi tutto.
Chubb (inarrestabile) e la difesa sapevano che c’era qualcosa da dimostrare dopo i Titans, l’attacco ha avuto pazienza ed è entrato progressivamente in vena ad una squadra con poca identità, con conseguenze inevitabili.
Ora i Dolphins hanno tutta la stagione sul piatto nelle prossime tre partite: “Natale con i Cowboys”, per quanto possa sembrare un titolo da cinepanettone, capodanno con i Ravens a Baltimore e gran finale in casa contro i Bills, che stanno dimostrando di essere molto più forti della grandinata di infortuni che li hanno perseguitati tutto l’anno.
Molto semplicemente, i playoff cominciano ora.