[NFL] Week 11: Playoffs di sera a novembre (Buffalo Bills vs Miami Dolphins 9-22)

Al momento di stilare i calendari per gli anticipi del giovedì sera (il ‘Thursday Night Football’) includere Miami Dolphins – Buffalo Bills era sembrato un ottimo modo per proporre una sfida divisionale ricca di significati, fra due squadre che non si amano molto (specialmente da un lato) e storicamente contrapposte, proprio come il caldo e il freddo da cui provengono. E poi, cammin facendo, è successo che la partita, oltre a tutto ciò, è diventata anche una vera e propria sfida “dentro o fuori”, quasi un anticipo di playoffs. A 5-4 e con la division per l’ennesima volta ormai nelle mani dei Patriots, nessuna delle due squadra poteva permettersi di perdere: trovarsi a 5-5 avrebbe significato non aver più nessun margine di errore per centrare la postseason, andare 6-4 voleva dire ipotecare il secondo posto nella AFC East e continuare a poter correre per una qualificazione ai playoffs (evento che, per Buffalo, avrebbe significato interrompere una striscia negativa di 15 anni, la più lunga di tutta la NFL). Come è finita, si sa: la vittoria, più netta e convincente del previsto, l’hanno conquistata i Miami Dolphins.

Ryan Tannehill DolphinsLe chiavi della vigilia per la partita erano chiare, e risiedevano nella capacità dei rispettivi attacchi di superare le rispettive difese. Quella dei Dolphins aveva forse il compito più semplice, perchè l’attacco di Buffalo si presentava privo dei due runners principali (CJ Spiller e Fred Jackson) fermi ai box per infortunio e soprattutto poteva approfittare delle precarie condizioni di salute di Sammy Watkins, l’uomo che da solo poteva cambiare la partita. Però aveva la pressione addosso di dover dimostrare – anche a sé stessa – di poter chiudere una partita, mettendosi alle spalle i fantasmi delle due sconfitte all’ultimo secondo concesse contro Green Bay e Detroit.

La difesa dei Bills, di contro, aveva un problema più difficile, perchè l’attacco di Miami aveva dimostrato di essere in un buon momento; anche lì però pesavano le incognite sullo stato fisico del running back Lamar Miller e soprattutto sulla tenuta di una linea d’attacco rimescolata dopo l’infortunio al left tackle Barnen Albert. Dalla sua, però, poteva contrapporvi la ‘front four’ più forte di tutta la NFL, con quattro uomini (Jerry Hughes- Kyle Williams- Marcel Dareus-Mario Williams) in grado di arrivare contemporaneamente su Tannehill e quindi di metterlo nella situazione per lui peggiore. Insomma, gli ingredienti per fare una levataccia notturna e vedere una partita sulla carta equilibrata e combattuta c’erano tutti.

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E l’inizio ha confermato le premesse che si attendevano. Due drive quasi speculari (14 giochi per entrambi) da parte delle due squadre conclusi nello stesso modo, cioè con un field goal, consumavano tutto il primo quarto di gioco. Poi, nel secondo, il successivo drive dei Dolphins si chiudeva con uno sciagurato fumble di Tannehill nella red zone avversaria.

I tifosi di casa iniziavano a percepire cattivi presagi ma i Bills non erano capaci di sfruttare l’occasione; una volta navigato tutto il campo si arenavano nella red zone (curiosamente, sia Miami che Buffalo vantano il dubbio primato di avere due fra le peggiori ‘red zone offense’ di tutta la NFL) e si limitavano ad un nuovo field goal di Dan Carpenter. I Dolphins forse accusavano il colpo e non erano capaci di replicare, chiudendo il drive successivo con un punt praticamente allo scadere del tempo e rientrando nello spogliatoio sotto 3-6.

Mario Williams BillsIl secondo tempo iniziava con due drive che non portavano a nessun risultato: Buffalo andava 3/out subito e Miami resisteva un po’ di più ma un sack di un incontenibile Mario Williams (per lui alla fine saranno 3,5 sacks e un sacco di grattacapi per il tackle sinistro di Miami che non è mai riuscito a contenerlo) comprometteva il drive. I Bills riprendevano palla e guidati da Kyle Orton e dal sorprendente ricevitore Chris Hogan (parentesi: noto al pubblico per essere stato un membro proprio dei Dolphins nell’edizione del reality HBO Hard Knocks di due anni fa, nella quale – da rookie – era stato poi tagliato essendosi però prima guadagnato il soprannome di “7-11, always open”) riportavano Carpenter a distanza sufficiente per il calcio che li portava 9-3.

Sembrava che i Dolphins stessero cedendo. A differenza di quella di Buffalo, che fin lì era riuscita a mantenere sempre una buona pressione su Tannehill, la difesa dei padroni di casa non stava facendo molto per contenere Kyle Orton e i suoi, almeno fino alla red zone. Invece, proprio quando ce n’era più bisogno, Ryan Tannehill saliva in cattedra. In 9 giochi i Dolphins macinavano 80 yards, e un bel drive da 4 minuti (impreziosito da un ottimo passaggio su Brian Hartline che si involava sulla sideline per 37 yards) si chiudeva con il passaggio in touchdown per Brandon Gibson che portava i Dolphins di nuovo in testa per 10-9. Ancora nessuno lo sapeva, ma da lì Miami non si volterà più indietro.

Un passaggio chiave della partita succedeva subito dopo: confinati sulle proprie 10 yards da una penalità, i Bills subivano una chiamata dubbia che sfocia in una safety. Kyle Orton, da dentro la propria end zone, lanciava profondo; se fosse stato un tentativo di lancio per Watkins che era nei paraggi – ancorchè non nella stessa direzione del lancio – o un maldestro tentativo di liberarsi della palla sarà oggetto di dibattito ancora per molto fra i tifosi, ma gli arbitri decidevano per la seconda interpretazione e chiamavano la safety che porta i Dolphins sopra 12-9. Il divario era ancora recuperabilissimo ma l’impressione è che per i Bills sia stato più forte il colpo psicologico.

Jarvis Landry DolphinsSfortunatamente per loro, ne arrivavano altri due: prima Dan Carpenter sbagliava un field goal che avrebbe pareggiato la partita e poi, nel drive successivo, al cornerback Stephan Gilmore veniva chiamata un’interferenza su Mike Wallace forse labile; su questa penalità i Dolphins arrivavano alle 13 yards avversarie e due giochi dopo, a circa 11 minuti dalla fine, Tannehill passava al rookie Jarvis Landry che segnava e portava i padroni di casa sopra 19-6 per il break decisivo.

Da lì in poi, al di là dei patemi d’animo dei tifosi, non succederà quasi più nulla di rilevante. Buffalo perdeva la convinzione che aveva all’inizio della partita e, anche se la difesa non si arrendeva e Mario Williams riusciva ancora a mettere le mani addosso a Tannehill, l’attacco pagava la stanchezza e le assenze; stavolta, inoltre, la difesa di Miami non mollava la presa e l’unica cosa che succedeva è un altro field goal di Caleb Sturgis per il definitivo punteggio di 22-9.

I Bills escono da questa partita con le ossa rotte. A parte la sconfitta in sé, si trovano ora con le spalle al muro, costretti a non poter più sbagliare nulla e con un calendario in salita (in cui spiccano, oltre alle trasferte a casa di Peyton Manning e Tom Brady, gli scontri casalinghi con i Packers e i tostissimi Browns di quest’anno) ma, soprattutto, minati nelle loro certezze. La difesa è ottima, ma solo per metà e l’infortunio del cornerback Leodis McKelvin ha rivelato alcuni buchi preoccupanti nell’altra metà. In attacco, invece, la croce è stata rapidamente buttata addosso a Kyle Orton (22/39, 193 yards) in modo anche ingeneroso. Orton non è stato certamente il motivo della sconfitta – anzi è probabilmente il motivo per cui i Bills sono ancora teoricamente in corsa in classifica -, non ha commesso grossi errori contro i Dolphins e non ha mai perso palla; non è mai riuscito ad incidere ma ha pagato anche la cattiva serata dei suoi compagni, con i running back titolari assenti e la propria stella (Sammy Watkins, 3 ricezioni per 32 yards), controllata a vista da uno dei migliori cornerback della NFL, incapace anche per motivi fisici di fare la differenza come era successo all’andata.

Nello spogliatoio dei Dolphins, ovviamente, l’aria è diametralmente opposta. A 6-4, con un attacco che ha iniziato a girare, un Ryan Tannehill che continua ad essere preciso ed efficiente (i suoi numeri contro i Bills recitano 26/34, con passaggi completati su 10 ricevitori diversi, 240 yards, 2 touchdown, 1 fumble, 114,8 di rating) e una difesa che si sta confermando una delle migliori della lega, improvvisamente a Miami c’è aria di cauta speranza. Cauta, perchè il ricordo del collasso finale dello scorso campionato è ancora ben vivo e perchè i problemi, comunque, non mancano a partire dallo stato di salute della linea d’attacco (rimescolata giocoforza per l’ennesima volta). Ma è chiaro a tutti che il talento in questa squadra c’è, la questione è nella resa sul campo; e siccome il calendario è complicato ma non impossibile (domenica prossima si va a Denver, poi ci sarà la gita a Foxboro, ma anche due partite con i Jets e una con Minnesota), l’importante è non fasi male da soli. Sarà compito di coach Philbin assicurarsi che ciò non succeda.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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